IL POLLO DI GRAMSCI (scritto per Tiscali)
Nelle chiacchiere dei politici c’è sempre un “Paese reale” che si contrappone a qualcosa di meno fattivo, irrealistico, virtuale e persino fantasmagorico, “casualmente” coincidente con le convinzioni altrui. Vale a dire, è reale quel che loro pensano e percepiscono mentre quanto enunciato da bocche diverse da quelle “onorevoli” diventa favola, grande narrazione, finzione. Ma tale affermazione è essa stessa mitologica, laddove la politica è in sé, o almeno dovrebbe essere, discorso pubblico, di concorde discordia, sulla società presente e futura, finalizzato a risolvere problemi, programmare obiettivi, migliorare la vita dei cittadini. Insomma, non ci sarebbe bisogno di alcuna specificazione se essi facessero il loro mestiere e non si perdessero in fanfaluche senza costrutto. Del resto, a voler essere precisi, questa fantomatica Italia irreale è proprio un prodotto dei loro ragionamenti da realisti immaginari che si dividono in progressisti antiquati ed in conservatori postmoderni. Chiarito il punto, quando sentiremo nuovamente pronunciare il citato sintagma, sapremo di essere di fronte, nel migliore dei casi, ad un inutile truismo da affabulatori domenicali, mentre, nel peggiore, al cospetto di una sottile sofisticazione da venditori di fumo politico in una giornata di nebbia epocale. Con ciò però ci è finalmente comprensibile perché quest’ultimi predicatori usano spesso l’aggettivo “reale” dopo il sostantivo “Paese”: esso serve a confondere i pensieri piuttosto che ad esplicitare le argomentazioni. E questo spiega anche come mai i nostri rappresentanti regionali abusino di siffatto logaritmo giallo: vogliono coprire le cose che non hanno da dire e quelle che non sanno fare. C’è poi qualcuno, ancor più furbino e baffino, che si smarca da questo regno dell’ovvietà dilagante preferendogli quello della banalità esondante. Costui, apparentemente più savio dei suoi compagni di partito, tira fuori dal cilindro una di quelle astuzie semantiche delle quali nessuno sentiva il bisogno. Per lui, Icarus con le ali a vela, il Paese dovrebbe essere semplicemente normale per vivere felice. Ma, santo cielo, è proprio la sua presenza all’interno della classe dirigente italiana che smentisce e rende irraggiungibile l’auspicata speranza. Dunque, lo stato di fatto dovrebbe essere limpido e assodato da Trento a Canicattì, ed invece, i nostri conterranei del Pd lucano, che ti fanno? Uniscono impunemente errori e loro portatori in uno stesso corpo associativo sperando così di rifondare un’organizzazione bagnarola che è già affondata nel mare della microscopica storia. Prima si affidano alle lamentele del Presidente della Giunta, il quale critica la manovra sconclusionata ed iniqua del Governo (e nessuno nega niente), chiedendo “una dieta drastica ma sostenibile per tutti che tenga insieme conti, coesione e stato sociale”. E fin qui tutto bene su quel che va male. Poi però, proprio per segnalare che nemmeno egli crede a quel che dice, tira fuori la solita frase da bancarella istituzionale: “Ciò che chiediamo è una manovra che salvi il Paese reale”. Era partito in maniera accettabile ma con la chiosa si è guadagnato un colpo d’accetta. A noi gente comune, comunemente vessata, basterebbe vedere la nazione e la regione fuori dalla crisi, ma non nutriamo grosse speranze perché sappiamo di essere governati da alici nel barattolo delle meraviglie che ostentano una conoscenza del mondo oltre lo specchio di cui non sono in possesso. Da Policoro dove si è tenuta l’ultima festa del Pd, l’altra anima della compagine democratica, per non essere da meno e sbagliare di più, ha ospitato in carne, ossa e moustaches il normalizzatore secolare, di cui sopra, per “rilanciare una leadership diffusa e plurale…[ed] un aggiornamento del profilo progettuale del partito”. Ecco un’altra di quelle normalità sinonimo di mediocrità che piacciono tanto al loro sopravvalutato leader romano-gallipolino, il quale è normalmente presente ovunque il conformismo la fa da padrone. Forse, in quella stanca platea di fine stagione e di saldi politici, la cosa meno ridondante è venuta dall’ugola spigolosa del Presidente del Consiglio regionale il quale, poco avvezzo alle perifrasi e alle edulcorazioni, ha detto che ci sono intellettuali locali con le mestruazioni che confondono la società con i loro contorcimenti cerebrali. Per una volta ha ragione, anche se più che di mestruazione sarebbe stato meglio parlare di masturbazione, essendo la prima una sequenza di modifiche fisiologiche che danno l’idea di un ricambio organico e la seconda solo un’eccitazione del tutto autoreferenziale che si conclude con un penoso afflosciamento. Gli intellettuali sono fatti così, si “smanettano” nel chiuso di una stanza e credono che il loro aggeggino sia l’alabarda di Don Quijote de la Mancha. Epitome e morale di tutta la vicenda: nonostante imperversino sulla scena lucana politici realistici e pensatori sognatori si va analogamente allo sprofondo. Ergo, facciamo volentieri a meno di sogni e di realismo (e dei loro propugnatori) se il risultato è questo incubo sociale infinito. Tra morire di realismo e morire di sonno preferiamo ancora il pollo di Gramsci!