IL POPOLO AL “PODERE”
Quando gli intellettuali di sinistra si mettono il popolo in bocca è soltanto per sputarlo in terra. Nonostante quel sintetico e struggente afflato empatico che cinge le loro parole e le trasforma in un nastro rosa per celebrare il loro sodalizio spirituale col popolo, essi non vedono l’ora di scioglierlo, come dice Brecht, di farlo sparire, di toglierlo di mezzo perché c’è il rischio di ritrovarsi troppo contigui alla plebe, di essere scambiati per populisti, cioè volgari, e di non sapere più come svincolarsi dall’abbraccio della marmaglia utile per il discorso teorico ma non per il percorso storico-economico. Per quest’ultimo è meglio rivolgersi ai banchieri, ai faccendieri, ai predoni della politica e dell’economia, tutta gente concreta che garantisce diponibilità liquida nella fantomatica società liquida. E l’intellettuale di sinistra è molto sensibile alla pecunia come tutti quelli che disprezzando comprano e per comprare si vendono. In questo mercato del pensiero preconfezionato, tutto fumo e niente arrosto, i concetti falsamente rivoluzionari, popolari, dalla parte degli ultimi e dei diseredati sono quelli che la classe dirigente retribuisce meglio. Lo studioso che si sente tutt’uno col mondo degli sventurati, ma preferisce il boudoir alla taverne, lo sa e si butta come uno sciacallo sul lavoro dei lavoratori, sui mali della folle, sulle emozioni collettive, sulla solidarietà per i pezzenti, sul pane e sulle rose che gli garantiscono di soddisfare la fame e la fama poiché da decenni la moda è quella. Per essere in simbiosi mistica con gli sfruttati, i dissanguati, i salassati, gli immiseriti, i vessati e i raggirati costoro si arrampicano su altissime torri d’avorio da dove è possibile amare meglio la comunità in quanto lassù non arriva l’olezzo del sudore della fronte (il popolo al podere!) ma salgono chiaramente le acclamazioni generali. Popolari, dunque, sì, ma mai popolareschi, al massimo un po’ folkloristici per salire sui palchi estivi della festa della piadina a discettare, con la faccia di bronzo, di economia dal volto umano, finanza dal volto umano, capitalismo dal volto umano, liberalismo dal volto umano e chi più ne ha più ne infetta. Questi intellettualucci diventano poi commoventi quando, non riuscendo a dire nulla di sensato sul presente che non capiscono ma pretendono di categorizzare, sceverare, commentare, propongono di ritornare alla semplicità romantica dei tempi passati, ai giorni in cui la moralità della società era ancora vivida, escludendo ovviamente il periodo fascista, la fine della Prima Repubblica, la discesa in campo di Berlusconi e l’ultima degenerazione della generazione dei Batman, i supereroi che escono dai fumetti per fondare bande di malviventi di partito. Cittadine e cittadini fate largo al dotto che vi parla con amore fraterno senza rivolgervi mai la parola, senza guardarvi mai in faccia, uno ad uno, perché in fondo vi disdegna essendo lui è colto e voi volgo. Il popolo è un’astrazione utile al professore per la manipolazione demagogica delle coscienze di chi ha il reddito a destra, l’identità a sinistra e l’ipocrisia dappertutto. E così che lo usano e che lo usa, per citarne uno a caso, anzi a caos mentale, Albero Asor Rosa, il quale dietro ogni corruzione italiana vede: l’avventura craxiana o età del cinghialone, la fase berlusconiana o era del porcone, il periodo fascista o epoca del plotone e del pelatone. In questi punti storici o segmenti temporali, secondo Asor Rosa, ognuno depositario di proprie specifiche nequizie, sono stati piantati i semi della corruzione e del malaffare che ogni tanto rinascono come erbacce, anche quando al Governo vanno i buoni, cioè quelli della sua fazione politica che con la gramigna non c’entra niente ma già che se la ritrova sul cammino la raccoglie, con la puzza sotto il naso, e la schiaffa in gola al popolo al pari dei cattivi di cui sopra. Finché furono marxisti, questi pensatorini, tentavano ancora delle piccole distinzioni. Parlavano di proletariato più che di popolo, i più raffinati poi giocavano ai piccoli chimici della sociologia, un po’ di classe-in-sé di qui, un po’ di classe-per-sè di là e voilà che prima o poi il lavoratore la trionferà perché la Storia, come il vate, ha le sue necessità fisiologiche. Adesso che sono orfani di qualsiasi apparato interpretativo strutturato, ora che si vergognano della fede antica che aveva nel partito la sua chiesa, nell’ideologia i suoi sacri comandamenti e nella marcia verso il sol dell’avvenire la predestinazione del suo popolo di militanti, non usano nemmeno di questi accorgimenti, sostituiscono il comunismo con il moralismo e ci fanno le prediche per i vizi privati dei personaggi pubblici e per l’ involuzione valoriale della società dello show che ci ha resi tutti simili a delle bestie senza anima. Ecco qui come vede la cosa il prete Asor Rosa: “Dallo spappolamento e dalla scomposizione della “figura popolo”, e di coloro che per un certo periodo di tempo avevano più o meno legittimamente preteso di assumerne la rappresentanza, è emerso un nuovo ceto sociale, il residuo immondo che sopravvive quando tutto il resto è stato digerito e consumato. Il vero, grande protagonista della corruzione italiana è questo ceto sociale, una classe tipicamente interstiziale, frutto dello spappolamento o dell’emarginazione o del volontario mutismo delle altre, priva assolutamente di cultura e di valori, ignara di progetto, deprivata all’origine e secolarmente di ogni potere, oggi famelicamente alla ricerca di un indennizzo che la risarcisca della lunga astinenza… Insomma, come in un incubo notturno il sogno berlusconiano ha preso corpo.” (http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scomparsa-del-popolo/?printpage=undefined)
Sempre lì si va a finire, nella demonologia notturna berlusconiana, nell’opera del diavolo serotino che s’impossessa del corpo sociale dopo aver occupato tutte le reti, televisive ed ortopediche. Ditemi se costui non è il tipico esempio di prete di sinistra con manie esorcistiche e apocalittiche. “Le peuple”, “das Volk”, la “populace” “le peuplenon”….ma Vaffanvolks! Questo eruditismo d’accattonaggio, condito con un moralismo da quattro soldi e trenta denari, è il vero problema del nostro paese che non avrà altra sorte che la decadenza finché il discorso politico sarà usurpato dal sermone cattedratico.
Tuttavia, quello che più irrita è proprio la doppiezza di questi maestri di ballo del potere i quali per amore del popolo si schierano con i peggiori poteri forti. Per allontanare B. dal governo Asor Rosa arrivò ad augurarsi l’intervento dei carabinieri in Parlamento, ora, invece, con l’Esecutivo in mano ad un uomo della Trilaterale che prende ordini da Washington non avremmo noi il diritto di auspicare i carrarmati di fronte a casa sua e dentro Montecitorio?
Cari signori dell’altare camuffato in cattedra, il popolo non è mai scomparso, siete voi che non avete mai voluto vederlo né sentirlo!