IL PRIMO ATTACCO ALL'ITALIA (di G. Gabellini)
Per inquadrare con precisione ciò che accadde in Italia nei primi anni Novanta è sufficiente rimandare la memoria alla spudorata affermazione resa dall'allora direttore della CIA William Webster, secondo il quale, all'indomani del crollo dell'URSS, "Gli alleati politici è militari dell'America sono ora i suoi rivali economici". In sostanza, dal punto di vista di lorsignori, alla defunta Unione Sovietica si erano immediatamente andati a sostituire Europa e Giappone, nani militarmente parlando ma giganti sotto l'aspetto economico.
E' forse superfluo sottolineare il fatto che, in un contesto simile, un paese debole o comunque privo di solidità strutturale non avrebbe potuto far altro che crollare sotto i terribili colpi inferti dall'"alleato" e diventarne una sorta di feudo. Solo rifacendosi a questi precisi presupposti è possibile comprendere a fondo la natura e le modalità dell'inaudita aggressione di cui fu vittima il nostro sciagurato paese nel non lontano 1992. L'aggressione si palesò in tutta la sua gravità in occasione degli attentati che stroncarono le vite di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (e rispettive scorte), dell'improvviso vortice giudiziario scatenato dal pool milanese di "Mani Pulite", che risucchiò tra le proprie spire un'intera classe politica nata, cresciuta ed invecchiata all'ombra del Muro di Berlino, della privatizzazione ai saldi dell'intero patrimonio industriale e bancario di stato e del violentissimo attacco alla lira.
Tangentopoli
Il 17 febbraio 1992 l'arresto della pedina Mario Chiesa innescò un impressionante effetto domino, una reazione a catena di politici, imprenditori, faccendieri e compagnia bella che si decisero improvvisamente a vuotare il sacco. Emerse un desolante ma arcinoto quadro fatto di clientelismi, tangenti, bustarelle, connivenze, contiguità e quant'altro che portò alla decapitazione e al conseguente disfacimento dei due storici partiti di governo, Democrazia Cristiana (DC) e Partito Socialista Italiano (PSI), crollati sotto i colpi di un'agguerritissima magistratura (con la superstar Antonio Di Pietro in prima linea) sponsorizzata in tutto e per tutto dalla consueta stampa ("La Repubblica", "La Stampa", "Corriere della Sera") di riferimento dei poteri forti che monitoravano (e molto probabilmente orchestravano) la situazione. Nel frattempo, una congrega di rinnegati del comunismo e di transfughi della DC (come Romano Prodi e Oscar Luigi Scalfaro) si attrezzava di tutto punto per "traghettare", come Caronte, il paese in vista delle nuove elezioni, che in quel momento pareva dovessero celebrare il successo della variegata e policromatica Armata Brancaleone in questione.
Gli attentati
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone saltò per aria assieme a sua moglie e agli uomini della sua scorta nei pressi di Capaci e cinquantasette giorni dopo la stessa sorte toccò a Paolo Borsellino, anch'egli in compagnia della scorta. Costoro avevano processato e fatto incarcerare il braccio armato di "Cosa Nostra", ma stavano anche risalendo le vie impervie che conducevano agli storici intrecci che sono sempre intercorsi tra mafia e settori dello stato, dell'economia, della finanza e che hanno costantemente e pesantemente influenzato la storia d'Italia. E' bene sottolineare il fatto che la mafia giocò sempre un ruolo attivo nel determinare gli equilibri che regolano questo paese fin dal giorno in cui gli USA se ne servirono per agevolare lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943. Da allora la mafia è sempre stata un interlocutore obbligato per i governi di qualsiasi colore e più volte è scesa in capo per risolvere a modo suo questioni che riguardavano direttamente alti esponenti delle istituzioni (come nel caso degli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Mino Pecorelli). Nella logica bipolare della "Guerra Fredda" la mafia (come Gladio) è stata un bastione dell'atlantismo, ed è sempre stata utile a sventare i pericoli di slittamento "rosso" in Italia, ed è a questo specifico fattore che si deve il supporto incondizionato fornitole pressoché ininterrottamente fino ad oggi e il suo coinvolgimento nei vari progetti di golpe (golpe Borghese, piano Solo) tentati in Italia. Una volta caduta l'URSS, la mafia ha indubbiamente visto restringere la propria sfera di "competenze", pur rimanendo un solido e fido alleato "atlantico".
La crociera sul Britannia
Il 2 giugno 1992 il panfilo Britannia, con a bordo la regina Elisabetta II e un nutrito "team" di finanzieri angloamericani (rappresentanti di Barclays, della Baring & Co., della Warburg, ecc.), gettò l'ancora al largo di Civitavecchia per far salire il gotha dell'industria e della finanza italiana di stato. Salirono Beniamino Andreatta (ENI) e Riccardo Gallo (IRI), Mario Draghi (direttore generale del tesoro) e Giovanni Bazoli (Ambroveneto), assieme a tanti altri. In sostanza, alti rappresentanti dell'industria e della finanza pubblica italiana si ritrovarono in "trasferta" a discutere coi loro potenziali acquirenti dei destini da riservare all'ingente patrimonio in questione, stimato in decine e decine di miliardi di dollari. La "trattativa" diede, a quanto pare, i frutti sperati (dalle parti della City, per lo meno), se è vero che nell'arco di pochi anni la finanza anglosassone ebbe modo di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, come IRI, Enel, ENI, Telecom, Comit, Buitoni, Locatelli, Ferrarelle, Perugina, Galbani, Negroni. I pochi giornali che si degnarono di sottrarre qualche angusto spazio a "Tangentopoli" per concederlo a questo scempio corsero comunque, come sempre, in aiuto dei più forti, adducendo ridicole e strampalate legittimazioni all'operazione. Furono tirati in ballo l'elevato debito pubblico e la necessità di "aprire" le frontiere ai mercati, motivazioni false alla radice, che si rivelarono ben presto come tali, poiché si tradussero nella formazione di giganteschi oligopoli di cartello che sono andati a distruggere la concorrenza e nell'incasso dell'irrisoria cifra di 198.000 miliardi di lire (8% del debito) da parte dell'erario a fronte dei 2.500.000 miliardi di lire di debito, con il gigantesco particolare che così facendo, i filibustieri che guidarono le svendite non fecero altro che privare definitivamente lo stato italiano delle industrie strategiche in grado di garantire all'Italia un margine di manovra in politica estera e di far ripartire l'economia in corrispondenza di congiunture di crisi.
L'attacco alla lira
Pochi giorni dopo la crociera del Britannia si insediò il governo presieduto da Giuliano Amato. In puntuale corrispondenza dell'insediamento, l'agenzia di rating Moody's decise di retrocedere drasticamente l'Italia, in risposta ai mancati tagli di bilancio e all'ostinata politica assistenziale portata avanti dai passati governi. Questa scelta improvvisa fu varata di punto in bianco nonostante i dati relativi al deficit fossero pressoché inalterati da un paio d'anni. Amato corse immediatamente ai ripari, disponendo di colpo un cospicuo innalzamento dei tassi di interesse sui buoni del tesoro per evitare che i mercati si interrogassero, riflessivi come sono, sull'instabilità italiana e interrompessero, di conseguenza, il flusso degli investimenti. All'epoca
il dollaro galleggiava ai minimi storici sul marco tedesco mentre la lira arrancava nella disperata rincorsa ai parametri fissati dal Sistema Monetario Europeo (SME). In questo desolante contesto, il governo Amato e Bankitalia decisero di comune accordo di accedere al credito illimitato concesso momentaneamente dalla Bundesbank, allo scopo di difendere la lira dalle torve manovre speculative internazionali senza ricorrere alla svalutazione. La corpose iniezioni di denaro parvero però non frenare la pericolosissima inerzia innescatasi, cosa che spinse la Germania a chiudere i rubinetti finanziari lasciando così la lira al suo destino. La svalutazione diventava così l'ultima carta da giocare, e infatti la lira subì in breve tempo un deprezzamento del 7% e fu costretta ad uscire dallo SME. Nei quattro anni successivi la lira fu svalutata del 30% rispetto al dollaro. Dietro la colossale manovra speculativa si celavano i soliti noti della finanza internazionale, ovvero il gruppo Rotschild, le banche d'affari Goldman Sachs e Merrill Lynch e soprattutto il magnate popperiano George Soros, il quale usufruì del fiume di denaro anticipatogli dalla Goldman Sachs per l'acquisto all'estero di lire deprezzate da rivendere poi in Italia alla massima quotazione. Una tecnica assai cara al famigerato nababbo ebreo, quella di architettare crisi valutarie per mezzo dei propri ingenti fondi, per poi acquistare i capitali a prezzi oscenamente bassi in dollari. Della svalutazione della lira non beneficiarono tuttavia solo Soros e banche d'affari sopra citate, ma tanti altri squali della finanza, che ebbero così la possibilità di approfittare dell'allora vantaggiosissima situazione di cambio lira – dollaro per accaparrarsi gran parte del patrimonio bancario e industriale di stato a prezzi incredibilmente bassi.
Conclusioni
I sicari mediatici e giudiziari profusero enormi sforzi per fare in modo che le gravissime vicende sopra descritte rimanessero rigorosamente slegate le une dalle altre, al fine di occultare il terribile progetto eversivo nei confronti dell'Italia, e in parte ci riuscirono. Giornalisti pennivendoli assai in voga tentano ancora oggi di ridurre la "stagione" di Tangentopoli a una mera campagna giudiziaria volta a smantellare il sistema di endemico malaffare che attanagliava l'Italia e di spiegare i terribili attentati del 1992 con l'esclusiva follia sanguinaria dei corleonesi assecondata da qualche settore, rigorosamente "deviato", dello stato. Della crociera del Britannia non si è invece mai parlato seriamente, quasi si trattasse di cronaca locale di quart'ordine. Vecchi trucchi che non smettono mai di garantire risultati, a quanto pare. Tuttavia, nel corso di un'intervista resa al quotidiano romano "Il Tempo" il 6 dicembre 1996, l'ex ministro degli interni Vincenzo Scotti spiegò che nel febbraio 1992 i servizi segreti e il capo della polizia Vincenzo Parisi redassero e fecero pervenire sulla sua scrivania un rapporto in cui erano sommariamente elencate e descritte le modalità di un imminente piano di destabilizzazione politico, sociale ed economico dell'Italia, orchestrato da svariate forze internazionali in combutta con alcune potentissime lobbies finanziarie. Il piano in questione, secondo quanto affermato da Scotti, comprendeva attacchi diretti di varia natura ad alti rappresentanti delle istituzioni e al patrimonio industriale e bancario di stato. In effetti le tessere si inseriscono alla perfezione nel mosaico descritto da Scotti. Una classe politica completamente screditata e conseguentemente distrutta da un lato dalla campagna giudiziaria "Mani Pulite" portata avanti da una magistratura a orologeria, che ha agito con modalità decisamente discutibili e una tempistica assai sospetta, dall'altro dall'incapacità di tenere a bada i deliri di onnipotenza della mafia, che mai in passato era apparsa così invincibile. Le due vicende, mixate e strumentalizzate a dovere dai media di riferimento dei poteri forti sopra nominati, portarono all'inevitabile esautorazione degli esponenti del cosiddetto "pentapartito" (DC, PLI, PSI, PSDI, PRI) retto sull'asse DC – PSI e alla loro sostituzione con rinnegati del comunismo, che sono andati a formare governi pieni zeppi di tecnocrati reduci dalla crociera sul Britannia e di altri ben noti elementi come Prodi (ex "senior advisor" della Goldman Sachs), Ciampi (lo strenuo "difensore" della lira), Padoa Schioppa (membro attivo dei quel covo di vampiri che risponde al nome di BCE) o Amato (il primo "svenditore"), personaggi sul cui operato e sulle cui "amicizie" urgerebbe fare un minimo di chiarezza, che per ora non si intravede. Visti i miracoli compiuti dai santi e beati, dai "salvatori" (Draghi su tutti) che ancora oggi vengono acclamati a gran voce dalle masse manifestanti ossessionate dall'ingordigia del "Caimano", è forse opportuno chiudere questa rapida disamina degli orrori con un passo scritto dall'Innominato, colui il quale è stato assurto a status symbol della corruzione, il ladro per antonomasia, la figura su cui si è abbattuta con inedita furia la scure di "sacrosanta" (e altrettanto idiota e sconsiderata) indignazione popolare; il borioso Bettino Craxi che, nell'isolata latitanza di Hammamet, ebbe a scrivere che "Sarebbe interessante riuscire a ricostruire, almeno in parte limitata, la lista dei maggiori soggetti, internazionali e nazionali, che parteciparono allora alla grande manovra speculativa. E' evidente che nelle acque della speculazione si mossero a proprio agio anche astuti squali della finanza italiana e forse anche banche nazionali, presumibilmente tutti bene informati di dove si sarebbe andati a finire. Secondo notizie di stampa, uno degli operatori internazionali sarebbe stato il solito Soros, finanziere americano di larghe vedute e di grandi possibilità, quello che ebbe a dire che l'Italia era un "Boccone ghiotto". Speculando contro la lira, sempre secondo queste notizie, avrebbero realizzato in quattro e quattr'otto utili intorno ai 280 milioni di dollari, con un investimento di 50 milioni (…). Tutto questo naturalmente è finito di corsa in cavalleria. Nessuno si è mai preoccupato di ricostruire la stravagante e singolarissima vicenda, e di chiederne conto agli autori che, con la loro condotta inadeguata, furono responsabili di un autentico disastro finanziario. Alcuni di loro appartengono semmai al gruppo di quanti vediamo sempre, ancora oggi, candidati a tutto e circondati da aureole di olimpica sacralità. Un brutto vezzo di un "Bel Paese". Uno di loro, che di quella assurda e inspiegabile strategia della sconfitta fu il principale responsabile [Ciampi], fu poco dopo persino premiato con la carica di presidente del Consiglio e ancora oggi è nientemeno che il ministro del Tesoro, che pontifica sul risanamento delle finanze pubbliche che, almeno in quel caso, certo non secondario, ha contribuito non poco a dilapidare. Ma, come vediamo, quello che succede in Italia non succederebbe in nessuna democrazia e in nessuna società industriale avanzata del mondo".