IL PROBLEMA DELL’EURO
Alla vigilia di un voto europeo (25 maggio) si teme una débacle degli euro positivi a favore degli euro scettici rinfocolando nei movimenti le proteste di chi vuole alla gogna l’intera Europa, così per come finora l’abbiamo conosciuta.
La crisi dell’Euro è sempre presente nella sua drammatica evoluzione con rischi di implosione nonostante i mercati finanziari abbiano assicurato una sorprendente stabilità ed un abbassamento degli spread ai livelli precedenti la crisi; e ciò sta scritto nel piano (di stabilità) della Bce, allorché per fronteggiare la crisi di liquidità di molti paesi (tra cui l’Italia) si favorì l’acquisto in quantità illimitata dei titoli del debito pubblico.
Dunque l’euro è in salvo, ma non lo sono la maggior parte delle economie europee, che dopo sei trimestri di grave recessione devono a tutt’oggi scontare una nuova e aggravata recessione. Si pensi all’Italia che secondo i recenti dati Istat (primo trimestre del 2014) vedrà una ulteriore diminuzione dello -0,1% di pil: una recessione senza fine nonostante i tanti strombazzati deliri di una ripresa a venire.
Andiamo peggio di altri Paesi europei in termini di prodotto interno lordo e siamo quelli che perdiamo di più sui mercati. I capitali affluiti in quantità notevole sui nostri titoli sovrani sono di portafoglio e non di investimento e possono migrare altrove. L’Europa è ferma e la sola Germania non può fare da locomotiva. L’Olanda va male, pure il Portogallo e la Francia con la Spagna. Lo scudo tedesco non serve a niente se l’intera economia europea sprofonda.
Né, d’altro canto, questa tanto osannata ripresa estremamente fragile nei suoi possibili sviluppi riuscirà a sconfiggere la bestia della disoccupazione, anche perché sono venuti meno i percorsi in investimenti graduali in grado di trasformarsi in un input di crescita; ed è indubbio che in un processo di assestamento dell’intera area euro l’onere si è interamente scaricato sui paesi più indebitati.
Le conseguenze più negative sono state l’effetto deflazionistico e recessivo dell’intera area euro, con conseguenti effetti di svalutazione per i paesi più indebitati e conseguente riorganizzazione della propria produzione rivolta alla esportazione; anche se ciò risulterebbe una base troppo fragile per la presenza di tendenze deflazionistiche e potere di innescare nel contempo il rilancio di una crescita sostenibile.
Nel frattempo, la condizione più concreta e realistica è quella di una lunga recessione per l’intera zona europea per la presenza di due fattori concomitanti: per la presenza di enormi debiti nazionali accumulati in particolare negli stati periferici; la presenza massiccia di partiti e movimenti di euroscettici.
GIANNI DUCHINI, maggio ‘14