IL PUGNO DI FERRO NEL GUANTO DI VELLUTO di G.P.

 

 

Il riconoscimento da parte della Russia delle due Repubbliche separatiste dell’Ossezia Meridionale e dell’Abkhazia, è un atto dovuto, come ribadito dal presidente Medvedev, ma soprattutto, sarebbe meglio dire, è una mossa inevitabile dopo l’aggressione mossa dalla Georgia, seppur indirettamente, nei confronti del suo potente vicino. I russi sono più che mai convinti che dietro la temerarietà di Shakasvili si nasconda la longa manus degli Usa. L’Ossezia, nei piani americani, doveva essere appena l’aperitivo prima di dare l’avvio ad una più completa destabilizzazione dell’area caucasica, laddove rendere instabile significa impedire agli altri di esercitare il pieno controllo della situazione. E la questione non può che essere messa in questi termini se si ragiona dal punto di vista geostrategico. La tempistica diviene allora evidente: dopo gli accordi con Polonia e Repubblica Ceca, che avevano puntellato il fronte occidentale a favore delle forze americane, restavano da regolare i conti in quest’area ugualmente cruciale. Ma la reazione repentina dei russi, che il governo Usa non si aspettava di tale portata, ha trasformato l’iniziativa in una disfatta su tutta la linea.

A questo punto però gli americani si trovano a dover ingoiare il boccone amaro, nell’attesa di mettere a punto un qualche piano di emergenza. La riprova di ciò sta nel numero di navi da guerra che la Nato ha schierato nel Mar Nero. Che sia semplice deterrenza o volontà di ripristinare lo statu quo ante non è dato saperlo, almeno per il momento, ma è palese il desiderio di prendere tempo per riorganizzarsi militarmente ricostruendo le armate georgiane.

La gran parte degli analisti occidentali, casta prezzolata al servizio dei predominanti centrali e dei subdominanti nazionali legati ai primi, cerca di far passare una propria lettura di tipo psicologico-patologica degli ultimi avvenimenti che hanno visto scontrarsi russi e georgiani (la sindrome da guerra fredda, la paura dell’annientamento, la nemesi storica), al fine di inculcare nell’opinione pubblica mondiale l’idea per cui il non allineato è, quanto meno, un pazzo criminale (e non è la prima volta che questi screditamenti vengono messi in atto, vedi Milosevic, Hussein, ecc. ecc.) affetto da frustrazione storica. Ma tutto ciò serve solo a coprire le reali responsabilità della comunità internazionale verso un paese che si vuole colpire nella sua sovranità. E’ scandalosa, al proposito, la posizione dei governi europei, tutti compatti nella loro condanna dell’intervento armato russo e del successivo riconoscimento di Ossezia e Abkhazia. Eppure, solo qualche mese fa, gli stessi governi europei si erano precipitati a riconoscere il Kosovo in mano ai criminali di guerra e ai contrabbandieri, sottratto alla legittima sovranità serba.

A prescindere da detti tentativi mediatici, decisamente ricorrenti da quando gli americani hanno deciso di dividere il mondo secondo categorie morali e religiose, non vi è più alcun dubbio che, d’ora in avanti, tutti gli attori in gioco dovranno alzare la posta delle loro pretese, solo per poter conservare gli attuali equilibri (la qual cosa non va affatto giù agli americani che comunque devono registrare un arretramento di posizione).

E’ innegabile che i tentativi di encerclement messi in atto dagli Usa, con la sottrazione di aree tradizionalmente sotto l’influenza russa, non potranno più essere condotti per la via tradizionale.

L’attacco portato dalla Georgia nei confronti dell’Ossezia del Sud ha decisamente spostato il livello del conflitto su un piano differente. In futuro non si tratterà necessariamente di assistere a scontri frontali di tipo militare, ma i meccanismi di copertura ideologica di qualsiasi azione volta a determinare instabilità o diretta a mettere in difficoltà la Russia sul suo territorio d’influenza, dovranno seguire tutt’altro registro. Di fatti, almeno finché i propositi di isolamento della Russia si erano limitati al condizionamento sociale e politico, quest’ultima aveva agito sulla difensiva, suonando le stesse corde dei destabilizzatori e corazzandosi di ideologia nazionalistica. Se, ad esempio, gli americani sponsorizzavano una pletora di ONG per avvelenare la gioventù dell’est essi reagivano opponendo un più forte spirito nazionale. E quando poi le rivoluzioni colorate hanno ottenuto cambi di regime sfavorevoli a Mosca, il governo russo ha risposto chiudendo, come misura estrema, i suoi rubinetti energetici (vedi quanto è accaduto con l’Ucraina di Yushenko).  Dopo l’intervento militare in Ossezia, intentato dalla Georgia su commissione, lo scenario è totalmente cambiato. La pazienza russa si è trasformata in intransigenza e difficilmente tornerà ai livelli normali, almeno finché non verrà rinegoziata la sua posizione nel mondo e in tutti gli organismi internazionali. Se a ciò aggiungiamo che l’Alleanza Atlantica, schierandosi apertamente con il governo fantoccio di Shakasvili, ha praticamente ammesso le sue responsabilità, si comprenderà meglio il tenore delle ultime affermazioni di Medvedev, il quale sta minacciando di interrompere gli accordi precedentemente presi con la Nato anche sulla guerra al terrorismo. A questo punto non è più pensabile nessun passo indietro di Mosca, ed è bene che non avvenga. Nel frattempo si deve sperare che l’Europa giunga, infine, ad adottare una linea più aperta nei confronti del suo vicino dell’Est, non per semplice solidarietà (che comunque andrebbe data ad un paese sotto continue provocazioni) ma perché da qui passa la possibilità di ricostituire un suo profilo mondiale meno succube da Washington