IL SISTEMA DI POTENZA di M. Tozzato
Sul Corriere del 02.11.2008 è uscito un articolo di Emanuele Severino che tratta della sua interpretazione filosofica della realtà sociale odierna, portata avanti dal filosofo a partire dal libro Il declino del capitalismo e successivamente sviluppata in vari interventi. Il titolo dell’articolo che è Il “sistema di potenza” mi aveva fatto pensare ad alcune modifiche rispetto alla precedente elaborazione severiniana ma dopo la lettura ho dovuto ricredermi. Per Severino la società contemporanea è una interazione di forze tra di loro in lotta per la supremazia, ma queste forze sono, in prima istanza, di natura puramente ideale o meglio logico-ontologica. L’idealità – il più delle volte (vedi Hegel) – appare, infatti, come una determinazione in cui la finitezza “dileguante” è affetta da astrattezza, così che essa risulta isolata dal contesto in cui è situata, mentre il carattere logico e ontologico dei concetti implica immediatamente il loro calarsi nel concreto, in modo che – nel suo insieme – il tutto (concettuale), in questo caso storico-sociale, si presenta come la struttura fondamentale dell’effettualità la quale consiste nella realtà, colta e compresa, e nello stesso tempo “costruita”, dalla ragione. Le forze di cui parla Severino sono, tra le altre, la morale, il Cristianesimo, la democrazia e il capitalismo. Severino, quindi, afferma:
<<La ricchezza […]è la condizione perché una società abbia potenza, ossia capacità di realizzare certi scopi e ostacolarne altri. Nel capitalismo la produzione della ricchezza-potenza ha come scopo la crescita indefinita del profitto privato, che tende quindi a diventare lo scopo dell’intera società.>>
Ma quale tipo di potenza è quella che viene alimentata dalla produzione della ricchezza mediante un sistema economico di rapporti sociali che si pone come scopo principale la crescita indefinita del profitto ? Secondo il filosofo è la società presa come un Intero – e difatti, anche per Hegel, ad esempio, solo l’Intero poteva essere considerato “vero” – che incrementa la sua potenza grazie all’aumento dei profitti e alla crescita delle ricchezze. Ma non solo:
<<A parità di condizioni, il capitalismo è meno potente di un sistema che produce ricchezza-potenza per far crescere indefinitamente la propria potenza, in modo che sia questa crescita a diventare lo scopo dell’intera società. […]Chiamiamo questo sistema “sistema della potenza”. Il capitalismo non si propone la crescita indefinita della potenza, ma la proprietà privata di questa crescita, ossia qualcosa di diverso da tale crescita: l’incremento del profitto privato, appunto.>>
Da questa frase sembrerebbe conseguire che Severino possa accettare, in qualche modo, la tesi che i capitalisti abbiano come obiettivo principale, non l’indefinito accumulo di profitti monetari, ma la “crescita della potenza”. Ma, per lui, il fatto che siano gruppi di “proprietari privati” a perseguire questa crescita – ovviamente per ottenere la supremazia nei confronti di altre coalizioni e aggregazioni – e non un soggetto unico e indiviso, è una manifestazione di debolezza e insufficienza di quella forza che egli chiama “capitalismo”. In realtà, sembra evidente, che il riconoscimento dell’autentica struttura dei rapporti sociali che – nei singoli Stati-nazione come anche nella formazione sociale globale – manifestano il ruolo prevalente del conflitto strategico tra classi e gruppi dominanti per la supremazia, costringerebbe il filosofo a “prendere posizione” se non altro nei confronti di quella dinamica che sta portando il sistema globale dalla fase monocentrica dominata dagli Stati Uniti a una nuova situazione di tipo multipolare. Ma siccome a questo punto il discorso rischia di farsi confuso ritorniamo a far parlare Severino:
<<Ma, dunque, a quale sistema ci riferiamo parlando del “sistema della potenza”, rispetto al quale il capitalismo è meno potente ?[…]Si tratta del modo in cui si sta sviluppando il rapporto tra lo scopo del capitalismo e l’insieme dei mezzi che lo realizzano. Questo insieme è l’apparato tecnologico guidato dalla scienza moderna.[…]Infatti lo scopo che è proprio di questo apparato è appunto l’incremento indefinito della potenza, cioè della capacità di realizzare scopi, ossia è appunto lo scopo di quel “sistema della potenza”, rispetto al quale, si è visto, il capitalismo è essenzialmente meno potente.>>
Dal passo sopra citato sembra proprio che per il filosofo – in analogia con certe interpretazioni estremamente riduttive del modo di produzione in Marx – l’ossatura tecnico-organizzativa e la divisione tecnica del lavoro costituiscano il “nocciolo” della struttura della società nel suo complesso e nelle sue varie sfere. Il capitalismo, dovrebbe, per “realizzare il proprio scopo primario […] dare spazio e far valere e potenziare sempre più tale apparato, che è l’insieme dei mezzi capaci di realizzare quello scopo” che è proprio del “sistema della potenza”. Secondo Severino, quindi, non la potenza degli attori sociali concreti – organizzati e strutturati in determinati rapporti di tipo cooperativo in funzione del conflitto generalizzato – ma quella di un apparato impersonale tecnico-scientifico, nuovo dio e nuovo idolo dell’umanità, dovrebbe rappresentare il senso e lo scopo del nostro agire politico e sociale. E, in effetti, Severino in alcuni passi delle sue opere ha utilizzato l’espressione “paradiso delle tecnica” inteso come orizzonte futuro possibile di questo tipo di “sistema della scienza e della tecnica” manifestando così, lui sì veramente, una fede cieca nello sviluppo delle forze produttive come sola condizione e solo motore del passaggio ad una nuova forma di società caratterizzata dall’abbondanza di beni e dalla completa scomparsa di qualsiasi tipo di conflitto, non solo sociale ma anche culturale, interpersonale ecc. Non so se gli scrittori che hanno sviluppato il genere definito dell’utopia negativa o distopia possano essere utilizzati come riferimento critico rispetto a questa ricostruzione filosofica severiniana ma certamente queste riflessioni del filosofo – che non si discostano dalle tesi del suo libro Il declino del capitalismo – non ci fanno andare da nessuna parte per quanto riguarda la comprensione della realtà e della dinamica della società in cui viviamo.
Mauro Tozzato 10.11.2008