IL SOUTH STREAM E GLI SMIDOLLATI EUROPEI
L’Italia è il Paese delle varianti in corso d’opera, dei costi infrastrutturali che schizzano alle stelle, nonostante i contratti stipulati e quasi mai rispettati nel “conquibus”, e degli sprechi gestionali con i quali vengono coperti i costi di accomodamento delle pratiche amministrative, nonché le copiose regalie ai consulenti amici dei politici. Nel Belpaese non c’è investimento che rispetti le aspettative di spesa, in tutti settori dove s’impiega denaro pubblico, eppure ci sentiamo raccontare dall’AD di Eni che l’azienda di San Donato potrebbe uscire dal South Stream per non sforare i bilanci.
Dice Descalzi: “Dobbiamo guardare i nostri conti. O l’Eni riesce a mantenere il suo impegno budgetario di 600 milioni o i conti verrebbero ad essere messi in pericolo. Eni non spenderà più di quello messo in budget, abbiamo l’opportunità contrattuale di uscire e la valuteremo”.
Questa improvvisa attenzione agli stanziamenti preventivati in un affare così strategico, che potrebbe garantire alla Penisola forniture di gas sicure per i prossimi decenni, desta molti sospetti. Si tratta di una questione dettata puramente da valutazioni finanziarie o siamo in presenza di una precisa scelta politica camuffata dietro le prime? La domanda sorge spontanea all’indomani delle intimidazioni americane rivolte a tutti i paesi coinvolti a vario titolo nell’impresa, con l’Ue che non è stata da meno minacciando, da par suo, sanzioni nei confronti di quegli Stati membri che dovessero giungere a violare le prescrizioni del Tpe, le quali sembrano pensate apposta per creare ostacoli all’accordo coi russi.
Ma mentre il nostro governo, more solito, si è immediatamente piegato ai diktat di Bruxelles e di Washington, accampando scuse pretestuose e difficoltà immaginarie, come quelle di Descalzi, gli altri partner comunitari procedono spediti nella collaborazione con Mosca. L’Ungheria è tra questi. Il Presidente Orban non si è fatto intimorire dalla Commissione e dalla Casa Bianca, ribadendo la sua determinazione ad attuare il progetto: “La Germania ha già costruito il gasdotto Nord Stream, con il quale è in grado di aggirare l’Ucraina che è una potenziale fonte di pericolo. E noi non vogliamo niente di più”.
Come dargli torto alla luce delle innumerevoli crisi aperte da Kiev con il Cremlino che hanno più volte messo a rischio le forniture per il vecchio continente? Per prevenire qualsiasi problema legale il parlamento ungherese ha approvato una legge che bypassa il pacchetto europeo sull’energia.
Gli euroburocrati, abituati a sentirsi rispondere signorsì, non l’hanno presa bene. Budapest potrebbe pagare un prezzo salato per questo atto di coraggio ma, evidentemente, gli ungheresi ritengono che esercitare la propria sovranità decisionale su tali temi alla lunga premi di più che non cedere a testa bassa ai ricatti di terzi.
Washington, per ritorsione, è già ricorsa alle sanzioni contro l’Ungheria precludendo l’ingresso nel suo territorio a uomini d’affari ungheresi legati ad Orban. Se il Presidente non torna sui suoi passi dovrà attendersi ancora brutte sorprese, magari un altro ubriaco che col carrello urta il suo aeroplano e gli fa fare la fine di Christophe de Margerie. Invece, a Roma non l’hanno ancora capito e fanno a gara a rilanciare le intemerate della Commissione e i consigli che non si posso rifiutare degli statunitensi sull’argomento, per accreditarsi verso i potentati internazionali che garantiscono le loro carriere.
Non ci aspettiamo nessuno scatto d’orgoglio da una classe dirigente che si regge in piedi solo coi giochetti trasversali di Palazzo, ma almeno non ci vengano a prendere in giro anteponendo geroglifici contabili ai nostri interessi strategici che non hanno prezzo. E’ già successo con lo spread e gli italiani non ci ricascheranno un’altra volta, almeno lo si spera. I nostri politicanti da strapazzo si trovino una giustificazione migliore per le loro menzogne o, infine, dicano la verità, anche se dubitiamo che essere sinceri sia mai stato nelle loro corde. Piuttosto, è utile sapere che la sfida per il South Stream è appena agli inizi. Gli Usa non intendono cedere sul punto e quando non ci riescono con le buone ricorrono alle cattive maniere. Lo sanno i dirigenti bulgari e serbi, rappresentanti di territori interessati dalla posa dei dotti e dipendenti dal gas di Mosca, che sotto le pressioni del senatore McCain, in visita a Sofia, furono costretti a dichiarazioni contro il South Stream, come ammesso anche dallo stesso Premier bulgaro.
Come mai John Sidney McCain III, un senatore yankee dell’Arizona, abbia una tale influenza fuori dal suo ranch, tanto da mettere in riga presidenti e parlamentari europei, resta un arcano che può essere spiegato unicamente constatando l’assenza di uomini seri nell’UE. Del resto, qui sta tutta la superiorità della democrazia all’occidentale che rispetto alle “dittature orientali” ha affinato le tecniche di condizionamento: sotto le tirannie non esistono che servi e leccapiedi (o almeno così ci descrivono i collaboratori e gli amici di Putin o di Xi Jinping i nostri giornali), mentre in democrazia sono gli uomini liberi che servono, ossequiano e ungono i prepotenti! E noi in Europa siamo tutti uomini liberi, vuoi mettere la differenza?