In Afghanistan, la fine della missione NATO porta pochi cambiamenti
[Traduzione di Francesco D’Eugenio da:http://www.stratfor.com/geopolitical-diary/afghanistan-end-natos-mission-brings-few-changes#ixzz3NwNwmGlg]
Con la fine dell’anno, scade il mandato <http://www.stratfor.com/video/conversation-afghanistan-after-nato> della missione della NATO in Afghanistan <http://www.stratfor.com/regions/south-asia/afghanistan>, la Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza [International Security Assistance Force, ISAF, NdT], e arriva la consapevolezza che non è cambiato molto. Ci sono diversi cambiamenti nel contesto legale attorno allo schieramento di truppe straniere in Afghanistan, uno dei quali è l’Accordo sullo Stato delle Forze Militari tra USA e Afghanistan [U.S.-Afghanistan Status Of Forces Agreement, NdT], valido dal 1 gennaio, ma all’atto pratico tutto è già stato stabilito e continuerà secondo le vecchie linee guida. Sotto ogni aspetto, cambieranno poche cose.
Il corpo principale dell’operazione ISAF, così come la maggior parte dell’equipaggiamento USA in Afghanistan, sono stati già rimossi, e nel corso degli ultimi anni le forze rimanenti hanno assunto già il loro nuovo ruolo <http://www.stratfor.com/analysis/afghanistan-fragmented-taliban-plans-us-withdrawal>.
Attualmente sono meno coinvolte in operazioni di combattimento vere e proprie, sebbene continuino i ruoli di addestramento e consulenza atti a preservare le capacità delle forze di sicurezza afghane. Tali forze hanno già assunto la responsabilità principale delle operazioni di sicurezza, sebbene la loro capacità di adempiere a tale ruolo dipenda ancora molto dal supporto estero. Kabul non può ancora fornire la copertura finanziaria per mantenere autonomamente l’esercito afghano e le forze di polizia, perciò saranno gli altri paesi, con gli Stati Uniti in prima linea, a dover procurare i fondi necessari per evitare il collasso degli apparati di sicurezza.
Anche così permangono i dubbi sull’effettiva capacità di Kabul di tenere sotto controllo gli esponenti delle forze di sicurezza. Molti potrebbero abbandonare il proprio lavoro o addirittura unirsi ai Talebani, e l’efficacia degli apparati potrebbe appassire rapidamente man mano che aumentano i loro compiti. Proprio come è avvenuto in Iraq, il ritiro dal teatro delle operazioni non è garanzia che in futuro non ci sarà bisogno di altri interventi in Afghanistan. Tuttavia, a differenza che in Iraq, le rimanenti forze USA disporranno di una considerevole capacità di fuoco, per aiutare, qualora fosse necessario, a mantenere lo status quo.
Sebbene l’ISAF abbia raggiunto l’obbiettivo originale di impedire che l’Afghanistan diventasse un rifugio per il terrorismo internazionale e nonostante gli elementi islamisti rimasti siano sottoposti a pressione costante, tale pressione deve essere mantenuta perché l’obbiettivo venga raggiunto anche sul lungo termine. I militanti sono ancora presenti; sono stati deposti e loro capacità sono state ridimensionate, ma non sono stati distrutti. Tale esito è diventato inevitabile quando i Talebani hanno adottato una strategia di guerriglia a lungo termine. Avendo compreso di non poter sconfiggere le forze della NATO, hanno deciso di attenderne il ritiro.
La complessa geografia fisica e umana dell’Afghanistan, e forse ancor più significativamente quella delle zone di confine con il Pakistan <http://www.stratfor.com/geopolitical-diary/afghan-pakistani-border-unlikely-resemble-syrian-iraqi-frontier>, ha permesso ai Talebani, al Qaeda ed altri di resistere. Anche se i governi afghano e pakistano hanno deciso di cooperare nel combattere i militanti contemporaneamente su ambedue i lati del confine – un requisito di base per il successo della lotta – resta da vedere se questo accordo porterà dei frutti e diminuirà le capacità operative dei Talebani, al Qaeda e di altre organizzazioni militanti.
I paesi direttamente coinvolti nella lotta ai militanti hanno capacità limitate di controllare costantemente la minaccia, perciò il peso – economico o militare – cade sulle spalle di quegli attori esterni che hanno interesse a mantenere un certo livello di sicurezza in Afghanistan. Gli Stati Uniti non sono l’unica potenza esterna che si qualifica per tale ruolo; i crescenti interessi della Cina <http://www.stratfor.com/analysis/afghanistan-joins-new-trilateral-relationship> per lo sviluppo delle risorse naturali in Afghanistan ha destato preoccupazione a Pechino circa la stabilità e la sicurezza del paese. Inoltre i problemi potrebbero diffondersi nella Cina stessa. La possibilità che la violenza superi i confini dell’Afghanistan potrebbe spingere la Cina o altri paesi come Russia, Iran e India, ad assumere un ruolo maggiore nel garantire la sicurezza in Afghanistan.
La domanda più importante è allora se tale supporto esterno durerà abbastanza a lungo da permettere all’Afghanistan di diventare autonomo. Gli Afghani possono diventare autosufficienti economicamente e nel campo della sicurezza. Ma è altresì possibile che essi non siano sufficientemente interessati a raggiungere la stabilità e che la situazione finisca con il precipitare nuovamente. L’attuale apparato di sicurezza è completamente artificiale, perché si appoggia ed è mantenuto dagli stranieri. Ciò farà sì che saranno gli interessi stranieri in Afghanistan il fattore decisivo nel suo sviluppo sul lungo termine.
Sono queste le sfide a lungo termine per l’Afghanistan. In questa congiuntura storica, l’attuale cambiamento di missione rappresenta un cambiamento di scarsa entità per il paese, ed è improbabile che i Talebani riconquistino improvvisamente vaste porzioni di territorio. Nel breve termine, l’Afghanistan continuerà lungo il percorso stabilito durante l’inizio del ritiro delle forze statunitensi e di coalizio