IN CAUDA VENENUM
Dire male di Enrico Mattei, in quest’epoca di managers minuscoli, osannati unicamente per i loro maglioncini fuori ordinanza, e di scimmiette politiche circensi, le cui iniziative acrobatiche si concludono inevitabilmente sul carro più sicuro (meglio se straniero), è davvero impresa ardua. Ed allora non resta che distorcere la successione degli avvenimenti, smontando e ricomponendo le sequenze dei fatti affinché gli accadimenti si dipanino, appannandosi, in maniera differente dalle circostanze realmente verificatesi e dalle certezze faticosamente conseguite. Poiché non esiste mai una sola verità, checché ne possano pensare fior di filosofi, gli stregoni del revisionismo hanno gioco facile nel capovolgere precedenti acquisizioni e credibili opinioni, manipolando il passato ad uso del presente. Il clima di servilismo e di rimestamento nel torbido ne fortifica la truce opera di rinnegamento e di sovvertimento. Così pur decantando le lodi di un personaggio coraggioso e fuori dal comune, come lo storico Presidente dell’ENI, il quale tanto fece per il nostro Paese, inimicandosi l’establishment nazionale ed internazionale, si può insinuare, con stile molto british ed altrettanto sospetto identitarismo liberal, che, probabilmente, sulla sua triste fine incisero cause, combinazioni d’interessi e saldature geopolitiche meno evidenti di quelle emerse in una storiografia autorevole ed ormai cinquantennale.
Detto altrimenti, per compiacere i padroni incontrastati di oggi, che lo erano anche ieri ma in coabitazione con un’altra potenza nucleare come l’URSS, si afferma, dopo aver ripercorso più o meno fedelmente i passi sulla luna di un dirigente pioneristico con i piedi saldamente per terra, che la morte del fondatore del Cane a sei zampe avvenne in un momento di distensione dei rapporti tra costui e l’Amministrazione Statunitense. Ergo, i colpevoli dell’attentato di Bescapè andrebbero ricercati altrove. Magari nel campo opposto a quello Occidentale. Ecco come si getta fumo denso negli occhi della pubblica opinione e spessa cenere sulla Storia.
Ieri Paolo Mieli (http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1KGZGU) – ex sedizioso lottacontinuista, passato come tanti altri suoi compagni dall’esercito della salvezza operaia alle milizie dei salotti buoni – in un articolo apparso sul Corriere intitolato “Mattei e gli americani. La pace dopo la bufera”, dopo aver elencato i meriti e l’odissea industriale di Mattei dall’Agip in dismissione all’Eni in evoluzione, in un quadro epocale incomparabile e tortuoso, conclude la sua ricostruzione quasi aderente alla realtà con una bassa insinuazione che ne stravolge completamente il primigenio discorso verosimile: “Il 17 marzo del 1962 si parlò di Mattei addirittura in una riunione del dipartimento di Stato americano (la documentazione in merito è stata recentemente declassificata), dove venne presa in esame «la possibilità di incoraggiare una o più tra le maggiori società petrolifere occidentali ad addivenire ad un accordo» con l’Eni e, a intendere che non si trattava di chiacchiere, furono fatti i nomi della Standard Oil Company del New Jersey e della Socony-Mobil Oil Company come quelle che «potrebbero essere interessate a prendere in considerazione tale accordo». Che fosse opportuno stemperare le tensioni tra le «sette sorelle» e l’Eni, ricorda Castronovo, «era convinto per primo il rappresentante della filiale della Esso e presidente dell’Unione petrolifera italiana Vincenzo Cazzaniga». Le due massime autorità della Fiat, Vittorio Valletta e Gianni Agnelli, ebbero una riunione, il 15 maggio, con il presidente Kennedy, riunione nel corso della quale chiesero di «avere riguardo per la persona di Mattei». Valletta ripropose il tema in un successivo incontro all’Italian Desk del dipartimento di Stato e in un colloquio con il responsabile della Cia John McCone. Per rendere più fluidi i rapporti tra Eni e Usa – nonostante un fruttuoso incontro tra Mattei e il vice Primo ministro sovietico Aleksej Kosygin – fu attivato l’ambasciatore americano a Roma Frederick G. Reinhardt e, ancora più in alto, si occuparono della questione il segretario di Stato Dean Rusk e i sottosegretari George C. McGhee e George Ball. Quest’ultimo avrebbe incontrato Mattei il 22 maggio del 1962. La distensione con gli Stati Uniti era avviata. Ed è in quel contesto di distensione con gli Stati Uniti che Mattei morì nell’«incidente» aereo di Bascapè”(sottolineature mie).
In cauda venenum, dicevano i latini. Mi sbaglierò ma questa operazione storico-giornalistica di Mieli, giornalista-storico per autoinvestitura, dietro il pretesto di recensire un nuovo testo sul leader dell’ENI, contenente i suoi discorsi, “che si propone di tornare alla figura piena di Enrico Mattei, liberi dall’ossessione di Bascapè” abbia colto al volo l’opportunità per mescolare le carte ed ingarbugliare conclusioni, che se pur parziali, apparivano aderenti ai concreti eventi. Poiché Paolo Mieli cita in questa lenzuolata anche il Professore Nico Perrone dell’Università di Bari, docente di Storia dell’America ed ex collaboratore di Mattei, autore di numerosi volumi sull’ex partigiano bianco, nonché relatore della mia tesi di Laurea, ci ripromettiamo di interrogarlo sulla questione, come già fatto in precedenti occasioni (http://www.ripensaremarx.it/TUTTI%20GLI%20ARTICOLI/intervista%20perrone.pdf, http://www.ripensaremarx.it/TUTTI%20GLI%20ARTICOLI/perrone.pdf).
Piuttosto, avremmo qualcosa da adombrare sulle frequentazioni di Mieli, distintosi nel 1992, alla guida della Corazzata di via “Zolferino”, per l’inquisizione giustizialista che si abbatté sulla Prima Repubblica. In quella persecuzione i quotidiani ebbero un ruolo così rilevante, di coordinazione e selezione delle notizie da pubblicare o da scartare, che qualcuno arrivò ad affermare che la direzione delle indagini, l’emissione degli avvisi di garanzia e i successivi arresti venivano decisi dalle redazioni della carta stampata.
Mani Pulite, lo abbiamo detto tante volte, fu una manovra politica dettata da oltreatlantico in seguito al crollo dell’Unione sovietica, passaggio cruciale che decretò la dissoluzione dei vecchi equilibri politici sui quali aveva prosperato l’élite democristiana e poi anche quella socialista, divenute con la caduta del Muro inservibili ed ingombranti allo svolgimento del nuovo corso epocale. Ha chiarito il prof. La Grassa che “la regia fu complessa ma certamente era soprattutto in mano ad ambienti statunitensi”, come Mieli dovrebbe ben sapere essendo notoriamente un simpatizzante di Washington, oltre che membro, insieme a tante altre personcine per bene, del comitato scientifico della Fondazione Italia-USA. Alla stessa stregua, benché con tutta probabilità l’attentato a Mattei fu materialmente eseguito dalla mafia (“gli Usa hanno avuto spesso ottimi contatti con la mafia siciliana, sia per lo sbarco alleato del 1943, sia per tutta l’oscura trama che vide l’autonomismo siciliano in azione soprattutto con il “bandito Giuliano”, sia per l’installazione della base americana a Comiso, forse anche per l’eliminazione di Mattei… ; cit. La Grassa), i mandanti devono essere ricercati in ambienti atlantici (il che non vuol dire ristrettamente statunitensi) ed il fatto che ci furono delle distensioni e degli abboccamenti con Mattei, prima del violento epilogo, servì solo a fargli abbassare la guardia. Agli occhi dei nemici le sue colpe furono innumerevoli, non soltanto di ordine economico per i minori guadagni patiti dalle Sette Sorelle, lontane cugine della mano invisibile del mercato e figlie dirette del pugno pesante dell’imperialismo capitalistico. Poiché si è sempre detto che determinati affari, soprattutto nel settore energetico, possono servire a veicolare la politica estera e favorire la formazione di blocchi antagonisti all’unico disegno ammissibile (seppur costretti tra due feree sfere d’influenza, com’ era durante la Guerra Fredda), i quali dal business prendono la scia per iniziative geopolitiche indipendenti, è da presumersi che proprio questo non fu perdonato a Mattei, il quale pagò con la vita siffatto irrimediabile affronto.
Ad un altro grande statista che volle tentare la medesima salita filo-araba toccò la stessa brusca discesa ed una sorte ancor più estenuante e dolorosa, in una Italia divenuta terra di scorazzamenti per servizi segreti, deviati o meno, partiti armati, infiltrati o meno, e fazioni della fermezza, sincere o meno. Ma questa è soltanto un’altra storia senza lieto fine tra quelle che compongono i tanti misteri italiani.
Ps. Questa postilla è per i miei conterranei Lucani. Enrico Mattei, essendo un fine stratega, sia sul piano politico che su quello industriale, si circondava dei migliori cervelli a lui contemporanei. Tra questi ci fu il poeta-ingegnere potentino Leonardo Sinisgalli il quale curò la pubblicità dell’Eni e contribuì anche alla stilizzazione del suo riconoscibile logo, il Cane a sei zampe. Sinisgalli è un eroe letterario in Basilicata e sono convinto che la sua immagine non verrà scalfita dall’essersi “venduto” ad una compagnia petrolifera. Forse è il caso di non gettare la croce su Rocco Papaleo che essendo un attore fa il suo mestiere senza pretese poetiche o social-resistenziali.