IN RICORDO DI CHARLES BETTELHEIM

Solo con ritardo ho preso visione oggi della pubblicazione su “Il Ponte” (n.10) del mio ricordo in memoria del grande pensatore marxista Charles Bettelheim (che, fra l’altro, ebbi come Maestro a Parigi in “altra epoca”), spentosi il 20 luglio dell’anno scorso a Parigi. Ho constatato con dispiacere che il mio testo è stato nettamente sforbiciato, con “asportazione” di alcune piccole frasi inessenziali, ma anche di parti rilevanti (un capoverso intero e molte righe, in specie nella seconda metà dello scritto) che alterano lo spirito con cui ho ricordato Bettelheim, oltre a farmi qua e là apparire anche poco versato nella lingua italiana. L’ultima frase, poi, non è affatto scritta da me, tronca di netto il discorso, e appare quindi buttata lì come se uno avesse fretta di finire; il che non è un bel modo di onorare il proprio Maestro e non corrisponde per nulla allo stato d’animo con cui ho elaborato, pensandolo, il testo. Per questo chiedo agli amici del blog di ripubblicare integralmente (magari nel sito) il mio ricordo cui tengo in modo speciale e che ho visto così gravemente mutilato (senza una parola d’avviso).
IN RICORDO DI CHARLES BETTELHEIM
di Gianfranco La Grassa
Il 20 luglio è morto a Parigi Charles Bettelheim. Era nato in quella favolosa città (almeno per me) nel novembre del 1913. E’ stato uno dei 4-5 maggiori economisti marxisti del ‘900. Fu insegnante e Direttore di studi all’Ecole Pratique des Hautes Etudes – poi divenuta Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales – dal 1948 al 1983; e diresse a lungo il Centre d’Etudes des modes d’industrialisation presso la stessa Scuola. Fu consigliere economico in India, Egitto e Cuba tra il 1953 e il 1966; e anche in Algeria, Guinea, ecc. Laureato dell’Académie frangaise (1963). Presidente di diverse “associazioni d’amicizia”: con Vietnam, Cina, Cuba, ecc. Cofondatore della Revue internationale e direttore della rivista Problèmes de planification nonché della collana “Economie et socialisme” della casa editrice Maspero. Innumerevoli le sue opere: decine di libri e centinaia di articoli. Ricordiamo soltanto alcune delle sue principali opere: La planification soviétique, Marcel Rivière 1939, L’Inde indépendante, Armand Colin 1962, La Transition vers l’économie socialiste, Maspero 1968, Calcul économique et formes de propriété, Maspero 1970, Les luttes des classes en URSS (tra il 1917 e il 1941), quattro grossi tomi pubblicati con la Maspero dal 1974 al 1983 (solo i primi due tradotti in italiano dall’Etas Libri negli anni ’80). Importante il suo scambio di lettere con l’altro grande economista marxista statunitense Paul M. Sweezy (Lettres sur quelques problèmes actuels du socialisme, Maspero 1972) pubblicato in italiano dagli Editori Riuniti nel 1993 con una mia prefazione. Comunque, tutti i volumi ricordati, e altri ancora, sono usciti in Italia con Editori Riuniti, Jaca Book, Feltrinelli, ecc. L’ultima edizione italiana è stata quella di Calcul économique et formes de propriété, ripubblicato l’anno scorso dalla Casa editrice Mimesis nella collana althusseriana diretta da Maria Turchetto.
Sapevo che già da due mesi stava molto male; per cui la notizia del suo decesso non mi è giunta inaspettata, e tuttavia non mi ha colpito di meno né meno in profondità. Non solo per motivi di vero affetto personale, ma anche per lo struggimento e la malinconia della fine di un’epoca. Con Bettelheim si può veramente dire che è morto l’ultimo grande pensatore marxista del ‘900 (e quindi del marxismo tout court, secondo la mia opinione). Ufficialmente, come sopra ricordato, era considerato soprattutto un economista, ma il suo pensiero spaziava in vari settori del sapere; era profondamente interessato alla Storia e alla Filosofia, e si interessava anche di molti altri campi delle scienze, sia sociali che naturali. Egli fu in particolare un esponente di primissimo piano di quel marxismo fortemente critico e in fase di impetuoso ripensamento e sviluppo cui dette impulso speciale Althusser, di cui Bettelheim fu amico ed estimatore, mantenendo però sempre una impronta tutta propria e originale.
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Unì l’attività teorica a quella eminentemente pratica poiché fu consulente per i problemi delle economie pianificate in numerosi paesi soprattutto del Terzo Mondo. Un personaggio di grande levatura, quindi, in rapporti diretti, spesso di vera amicizia, con i principali dirigenti del movimento comunista internazionale e degli Stati del “socialismo reale”; e così pure con quelli dei paesi in via di sviluppo nel periodo d’oro della conquista della loro indipendenza (si pensi a grandi personalità quali Nehru, Ben Bella, Nasser, Fidel e il Che, e tanti altri). Negli ultimi anni aveva modificato notevolmente le sue posizioni senza abbandonare i propri ideali di fondo; ed è rimasto fino all’ultimo estremamente lucido, seguendo i vari avvenimenti politici ed economici del suo paese e quelli internazionali. L’ultima volta che l’ho visto è stato nel maggio del 2005, e abbiamo parlato un po’ di tutto. Malgrado l’importanza della sua opera teorica e pratica, e delle relazioni intrattenute, è sempre stato personaggio schivo, quasi timido, di una assoluta modestia che metteva a suo agio qualsiasi interlocutore; curioso di ogni novità e di una cultura, non semplicemente scientifica, di rara ampiezza. Insomma, un vero grande Maestro.
Ricordo bene l’anno passato a seguire i suoi corsi all’Ecole Pratique (in Boulevard Raspail) e gli incontri nel suo studio in rue des Feuillantines, dove mi riceveva quasi tutte le settimane dedicandomi un paio d’ore di intense discussioni in cui, pur senza parere troppo, mi indirizzava lungo i sentieri di una impostazione del marxismo, che comunque sentivo molto, quasi visceralmente, quasi rispondesse al mio bisogno di liberarmi di quella pesantezza, di quello scolasticismo dogmatico, che avvertivo nel marxismo “ufficiale” di quei tempi. E’ in quegli incontri che si è formata la mia personalità scientifica; e sarò sempre grato a quell’uomo (non solo allo scienziato), e sempre commosso nel ricordare quel viso gentile, quegli occhi benevoli, in cui appariva un lampo di divertita malizia tutte le volte che cadevo in qualche confusione, in qualche ingenuità “giovanile” (in realtà, di marxista ancora invischiato nella nefasta “ortodossia” di quell’epoca). Ricordo con emozione le lezioni del giovedì dalle 18 alle 20, con l’aula stracolma (qualche centinaio) di studenti (alcuni già studiosi) provenienti da tutte le parti del mondo; ben oltre la metà era costituita da asiatici, sudamericani, arabi, africani; ben rappresentata anche l’Europa dell’est, sedicente socialista. Anche di questo sono grato a Bettelheim, di questa reale formazione: non solo scientifica ma anche culturale, e umana in senso pieno. Un periodo d’oro, veramente indimenticabile. Ma torniamo a Bettelheim.
Il suo pensiero era di un rigore eccezionale; non consentiva, né a se stesso né ai suoi allievi, svolazzi e fantasie, ogni passo era controllato. Era come un ottimo capitano marittimo che, man mano che la sua nave si avvicina a riva, fa lanciare regolarmente e frequentemente lo scandaglio onde evitare di restare incagliato. Come ha scritto su Le Monde il suo principale allievo, Bernard Chavance, malgrado la sua fragile salute, era di una tenacia incredibile, di una forza di volontà sempre tesa all’estremo limite. Aveva un senso preciso del suo dovere di pensatore e di esperto d’eccezione. Purtroppo, nemmeno lui ha potuto sconfiggere i limiti dell’età ormai molto avanzata, e non è riuscito a terminare quell’autobiografia teorica cui teneva moltissimo e che avrebbe costituito una notevolissima eredità culturale. E’ da augurarsi che i suoi allievi riescano a raccogliere l’enorme mole di lavoro che comunque aveva già svolto, e siano così in grado di consegnarci almeno in parte i passaggi fondamentali della sua pluridecennale riflessione teorica, che rappresenterebbe sicuramente una miniera da cui estrarre molto materiale prezioso.
Come ho ricordato all’inizio, la collana althusseriana, diretta da Maria Turchetto presso le edizioni Mimesis, ha ripubblicato nel 2005 la traduzione italiana del suo principale testo teorico, apparso per la prima volta in Italia nella Jaca Book circa trent’anni fa. Ho avuto l’onore di scrivere la prefazione a questa nuova edizione; e in essa credo di aver indicato, con sufficiente chiarezza, i principali temi teorici affrontati dall’autore. Mi esimo quindi dal riproporli. Voglio invece piangerlo come Uomo e come, appunto, Maestro di tutti quei marxisti che non si sono appiattiti sulla stereotipata riproposizione di un marxismo dottrinale, sterile, strumento ormai inutile per qualsiasi analisi relativa al mondo contemporaneo.
Solo la lettura superficiale dei testi bettelheimiani, lettura che si fermi alla mera forma di espressione, può credere che il “suo tempo” è ormai irrimediabilmente passato. Invece io invito soprattut-
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to i più giovani, quelli che non sono stati irretiti da “cattivi maestrucoli” di un marxismo economicistico, rozzo, catechistico (ma per fortuna questi sono ormai mosche bianche), a rileggere Bettelheim con spirito aperto, innovativo, scevro da ogni schematismo; e avranno allora la piacevole sorpresa di incontrare un pensiero stimolante perché fortemente critico di ogni indirizzo precostituito, un pensiero che ad ogni pagina scava in se stesso oltre che in quello dei classici; un pensiero che non riflette in generale su come dovrebbe essere l’uomo nuovo, ma che si arrovella sulle condizioni di possibilità di nuove strutture di rapporti sociali in cui gli individui, senza rinunciare a se stessi, si abituino a forme cooperative e di eventuale competizione non reciprocamente distruttiva, sopraffattrice.
Bettelheim ha concluso la sua esistenza corporea, fisica; ma è morto definitivamente solo per coloro che sono già morti essi stessi, per coloro che hanno abdicato ad ogni ideale di rinnovamento per godere dei vantaggi di una società sempre più adagiata nel suo misero benessere materiale. Una società in cui la maggioranza sembra al momento costituita da uomini piccini, che per ottenere un qualche riconoscimento formale, una qualche carica istituzionale, o per fare tanti “dané”, si prodigano nel colpirsi l’un l’altro, nel prostituirsi l’un l’altro, nel mentire, nel dir bianco il nero e viceversa. Per gli altri, Bettelheim è vivo, vivissimo; come Sweezy, come Lukàcs, come Althusser e come non so quanti altri; il movimento, cui Bettelheim appartenne (come anche il sottoscritto), è ricchissimo di personalità che hanno lasciato un segno profondo del loro passaggio. Ovviamente, ma credo che ognuno lo abbia ormai capito, Bettelheim e tutti i personaggi sunnominati sono assurti all’ideale Olimpo, alla cui sommità stanno i più grandi: Marx e Lenin.
Fallimenti, viltà, e anche ignominia, hanno consegnato alla Storia quel movimento; e su questo non ritengo debbano esserci rimpianti. Resta però un pensiero e restano le “avventure intellettuali” di coloro che lo hanno alimentato. Quando si tratta di vero pensiero – che quindi scava in profondità, che non si acquieta e adagia nei primi superficiali risultati – e di rigore ideale unito a coerenza e forte tempra morale, le lezioni dei Maestri continuano a germogliare anche nei tempi futuri. Non vi è dubbio che questo sarà il caso di Bettelheim. Una vita piena, vissuta senza cedimenti, ricca di riconoscimenti e di soddisfazioni reali, con anche molti affetti familiari. Una vita da uomo e da scienziato che si può augurare a chiunque.
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