INTANTO, AGIAMO PER UNA NUOVA PRATICA TEORICA

(febbraio 09)
Personalmente, non ho una spasmodica voglia in questo momento di discutere sul partito; non mi sembra proprio il “tempo” giusto e adatto. Sono sempre stato contrario del resto ai discorsi sulla forma. Ricordo bene i tempi della “forma Stato” e, anche allora, della “forma partito”. Discutere in astratto sulla forma di un organismo è poco utile. L’unica organizzazione che ha fatto autentiche rivoluzioni è stata quella leninista. Anche il partito maoista era assai più vicino a tale “forma” di quanto lo si volesse ammettere; quando ha tentato la forma “anarcoide” nella Rivoluzione culturale, è durato solo finché è rimasto in vita Mao, esclusivamente grazie al suo carisma. Poi, in un mese, tutto è crollato. L’organismo rivoluzionario deve essere duro, feroce, inflessibile, senza sfizi “democraticistici”, gerarchico, con grande capacità di movimento quando la “guerra” è di tal tipo, ma con una unità di comando indiscussa e con capacità di mantenere le linee di collegamento e di trasmissione degli ordini. Un vero esercito insomma. Poi ci possono essere esigenze di altro tipo ancora nei periodi di guerriglia e clandestinità.
Lascerei perdere gli esempi Hezbollah e Hamas, ecc. dove la religione è un potentissimo cemento; mentre il “marxismo-leninismo”, quando ha tentato di imitare quest’ultima, è stato patetico e del tutto fallimentare. Mi oppongo in modo netto all’idea di organismi di tipo “francescano” che fanno pura e semplice elemosina. Altrimenti torniamo alle idee di Servire il popolo: chi se li ricorda ancora quei ridicoli personaggi, alcuni, fra cui il “grande compagno” Brandirali, finiti non a caso in Comunione e Liberazione? Ci vogliamo mettere in testa che, nemmeno scoppiasse un nuovo 1929, si torna a situazioni da paese del terzo mondo? Se non si capisce questo, si è già battuti in partenza.
Il nazifascismo ha vinto perché ha senz’altro saputo interpretare meglio l’epoca della “grande crisi”, ma in un momento in cui gli altri paesi capitalistici avanzati erano usciti dalla sua fase più acuta, mentre la Repubblica di Weimar, corrotta e sbriciolata, si dibatteva in convulsioni agoniche. Inoltre, c’era l’umiliazione subita da quindici anni ormai, dopo la fine della Grande Guerra, e una forte ideologia di rinascita impetuosa della potenza nazionale tedesca, nuovamente rispettata e temuta in tutto il mondo. Il nazismo non andava in giro a dare pane a basso prezzo! Dava legnate di santa ragione ai “disfattisti”, a chi non credeva nella Grande Germania. Questo infondeva orgoglio alle “masse”. Ci si ricordi, come “piccolo particolare”, che Hitler si decise a regolare i conti con le SA nel 1934 anche per le proteste di grandi industriali come Krupp, che si lamentavano dei propri operai (avete capito? Operai, non capitalisti), i quali facevano continue assenze lavorative per partecipare alle scorribande punitive (assassine) delle suddette SA contro comunisti e oppositori politici in genere. Si doveva resistere con un partito-rete o con un partito-elemosina? Non scherziamo, per favore.
Il vero problema è che il partito è uno strumento e basta, nulla più che questo. Non ha una forma definita una volta per tutte; dipende dalle congiunture, dalle fasi storiche. Quanto ho scritto più sopra riguardava la congiuntura rivoluzionaria. Oggi non avrebbe senso un partito-“esercito”. Questo non significa però che si possa ripiegare sulla credenza di sfruttare semplici innovazioni tecnologiche. Ogni volta che ce n’è una, si ricreano le solite illusioni. Ci furono con la radio, poi con la TV; poi si credé alle “radio popolari” (1977, Déleuze-Guattari, ecc.) o alle TV locali, ecc. Adesso c’è internet. Non serve a nulla. L’innovazione tecnologica non sostituisce la politica (la famosa, inutilmente vituperata, linea). Solo che una linea non si inventa nemmeno a “sognarla” 365 notti su 365; e nemmeno si costruisce lavorando “duramente” – e del tutto ciecamente come tanti agit-prop da “base” di partito – per 365 giorni su 365. Ci sono tempi ineliminabili, i tempi della fine della vecchia epoca, dello sbrindellamento continuo delle vecchie forze, della trasformazione della vecchia teoria in Talmud, ecc.
Bisogna accumulare le forze; è si tratta di processi non dissimili da quelli dell’accumulazione originaria del capitale; e, come questa, non implica solo accumulo quantitativo di nozioni nuove, che avviene all’inizio lentamente e poi si accelera via via, ma sono pure necessari mutamenti di “rapporti sociali”, cioè la percezione delle nuove epoche storiche in gestazione (ma che non si for-
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mano che in periodi di tempo di fronte alla cui lunghezza quella della vita umana è ben breve!). Credete che Hegel dicesse una fesseria quando ricordava che la “Nottola di Minerva si alza sul far del crepuscolo?” E’ una grande verità; e credere, con la mera volontà soggettiva, di accorciare i tempi conduce solo nel baratro. La teoria di un’epoca si chiarisce quando quest’ultima è ben installata e matura. D’altronde, la teoria è parte inscindibile di una qualsiasi pratica: “senza teoria rivoluzionaria, niente rivoluzione” (Lenin). Definizione da generalizzare: senza pratica teorica adeguata, scarsa incidenza pratico-politica nella fase o congiuntura data.
Il blog e sito – ma certo non bastano, anzi rischiano in effetti di scomparire senza un salto di qualità – servono all’accumulo di forze, alla pratica teorica con intensa opera di sbaraccamento di tutto il vecchiume che ancora ci sta sommergendo. Spaliamo con sempre maggior vigore, pur se si tratta di merda, e quindi puzza (turiamoci il naso). E sempre più cerchiamo anche di individuare alcuni nodi centrali della pratica politica attuale (solo come esempio ma assai rilevante: afferrare sempre meglio l’importanza della partita che si sta giocando attorno al nodo Eni-Gazprom, con addentellati “arabi”; quindi attenti ai rapporti Italia-Russia, attenti alle manovre a noi contrarie portate avanti da organismi europei che vogliono favorire il progetto filoamericano e antirusso Nabucco, ecc. ecc.).
Il partito, in quanto forma, non mi sembra adesso servire; rischia di essere un pensiero diversivo che ci allontana dall’obiettivo. Quanto più prenderemo coscienza che questo è lontano, tanto più lo avvicineremo; quanto più penseremo di averlo a portata di mano, tanto più lasceremo in campo la vecchia teoria/prassi e non arriveremo mai – né noi né i nostri successori – all’obiettivo. La “Nottola di Minerva” potrebbe allora non levarsi nemmeno più al crepuscolo; potremmo arrivare addirittura alla nuova notte e ad un nuovo giorno ragionando ancora come nel secolo XX.
PS Sia chiaro, a scanso di equivoci, che ho apprezzato molto gli interventi di Ernesto e Roberto. Mi auguro anzi vivamente che un giorno non lontano possano diventare nostri collaboratori assidui. Egualmente lo spero per alcuni collaboratori finora occasionali (tipo Osvaldo e Pasquale) oppure addirittura solo commentatori (sia pure, spesso, in forma di lungo intervento). Credo si debba preparare in tempi e forme opportune, ma sono convinto dell’importanza di arrivare fra qualche mese ad un incontro con almeno alcuni amici del blog, per tentare quel “salto di qualità” che sarebbe importante. Speriamo in bene.
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