INTERROGATORIO DELL’UOMO BUONO di G.P.


Della bravura di Zizek e della sua capacità di analisi abbiamo più volte detto su questo blog, riportando passi illuminanti di alcuni suoi scritti (primo fra tutti il testo su Lenin), sui “difetti” della modernità o sui processi storico-sociali, che l’autore interpreta senza scadere mai nell’abisso post-ideologico (o di ideologizzazione parossistica) sfruttato, invece, dai tanti “rivoluzionari a parole grosse” di quest’ultima fase (penso ai Bifo o ai Toni Negri, solo per nominare i più a la page).


In uno dei saggi di Zizek che ho potuto leggere (ma solo in parte), in questo fine settimana (La violenza invisibile, Rizzoli, 2007), il filosofo sloveno riprende da un articolo di Oliver Malnuit, i “dieci comandamenti del comunista liberale” fornendoci l’epitome migliore dell’individuo contraddittorio semicolto di tendenza culturale radicaleggiante che attraverso must di condotta pseudoumanistica si erge a “uomo nuovo” del capitalismo democratico.

Tale soggetto fa parte di un più vasto ceto di decerebrati (stratificato al suo interno per reddito e per sapere, con i più furbi tra questi che trovano la maniera per arricchirsi con la “coscienza a posto”, a danno dei “poveri” allocchi che credono davvero all’azione "armonica" messa in atto da questi uomini colti d’immane responsabilità) che parla un linguaggio perbenista e politically correct e che si impegna in organizzazioni umanitarie e in partiti pacifisti, antifascisti, solidaristi, tutti più o meno collocati a sinistra, tanto di matrice istituzionalista che finto-sovversiva. Queste sinistre hanno in comune l’esaltazione delle "tendenze culturali" sottostanti con le quali hanno anche sostituito l’azione politica di un tempo. Sarà per questo che si commuovono di fronte alla resipiscenza del filantropo Bill Gates, dell’ambientalista Al Gore o del pluralista-democratico Soros. Quest’ultimi incarnano i modelli da seguire poiché condensano in uno stesso individuo lo spirito del fare (soldi) e la responsabilità sociale necessaria alla costruzione di un altro mondo possibile.


Ecco i comandamenti del comunista liberale:


1. Distribuisci tutto gratis (nessun copyright, libero accesso…) fai pagare solo i servizi aggiuntivi, che ti renderanno ancora più ricco.


2. Cambia il mondo, non limitarti a vendere merci: una rivoluzione globale, un cambiamento della società migliorerà le cose.


3. Sii premuroso, partecipe e conscio delle responsabilità sociali.
4. Sii creativo: concentrati sul design, sulle nuove tecnologie e sulla scienza.


5. Di’ tutto: non devono esseri segreti. Sostieni e pratica il culto della trasparenza, il libero flusso delle informazioni; l’umanità intera dovrebbe collaborare e interagire.


6. Non tenere e non accettare un impiego fisso di otto ore al giorno. Occupati di comunicazioni improvvisate, brillanti, dinamiche, flessibili.


7. Ritorna a scuola e dedicati ad una istruzione permanente.


8. Agisci come un enzima: non lavorare solo per il mercato, ma innesca nuove forme di collaborazione sociale


9. Muori in povertà: restituisci le tue ricchezze a coloro che ne hanno bisogno, dato che possiedi più di quanto potresti mai spendere.


10. Sostituisciti allo Stato: segue la via dell’associazione delle aziende con lo Stato.


Dietro questa tavola sacra che segna il pragmatismo del comunista liberale ognuno di noi avrà già scorto la maschera poliedrica del leader di sinistra illuminato, il quale predica la via salvifica all’interno della società capitalistica con minime correzioni, attraverso opere pie e dosi omeopatiche di nonviolenza (fatto salvo qualche “leggero” smottamento verso gli eccessi imperiali, vedi le bombe dalemiane sul Kosovo).

Ed, infatti, è giusto distinguere, all’interno di questo ceto, tra la casta sacerdotale vera e propria – quella che dà l’esatta applicazione della legge e fa da tramite con gli Dei benefici del Capitale – e i due strati sottostanti, quello più alto (a sua volta suddiviso tra noblesse intellettual-cattedratica e produttori di “servizi” aggiuntivi a caro prezzo) e quello basso dei “militonti” che emettendo suoni glossolalici, identitari e “radicalsciocchi” diffondono il verbo salvifico almeno finché non vengono cooptati (ma solo i più “bravi” tra loro) nell’olimpo dei sacerdoti o in quello mediano dei salotti intellettualistici. Questa non è l’interpretazione di Zizek ma è quello che mi viene in mente leggendo il decalogo che ispira il “comunista di mercato”. L’orgia del comunista liberale (abbandoniamo per un attimo l’articolazione testè sceverata per ritornare alla struttura psicologica generale soggiacente alla riproduzione di questi tipi umani) si realizza nella crisi umanitaria (qui è direttamente Zizek che parla) quando i problemi da risolvere sono così generali e culturalistici che non c’è pericolo di mettere in dubbio i rapporti sociali alla base della riproduzione capitalistica: la fame in Africa (o le sue varianti più esotiche da tirare in ballo se si devono screditare paesi non allineati all’occidente), la situazione delle donne musulmane, la violenza religiosa fondamentalista. Il comunista liberale ha già pronta la soluzione: “coinvolgere persone, governi e aziende in un’impresa comune, iniziare a far muovere le cose, non affidarci all’aiuto dello Stato centralizzato ma affrontare la crisi in modo creativo e non convenzionale, senza preoccuparci delle etichette”.

 
Quando è nato questo uomo “buono” del tutto particolare? Direi che questo individuo non nasce ma si materializza autopoieticamente in tutti i periodi di crisi sociale, è un anticorpo automatico dall’ideologia dominante che si propaga quando occorre confondere le acque e scoraggiare preventivamente la crescita di un’opposizione realmente sovversiva dell’ordine costituito. Pensate che Marx, nel 1848, già si scagliava contro la pletora di riformatori di ogni risma che con le chiacchiere (animalismo, comunitarismo, solidarismo) costruivano ogni giorno un mondo migliore nella loro testa, badando bene di non modificare mai nulla in quello “tangibile”. Ma l’anno di grazia di questa razza di idioti è stato sicuramente il 1968: “…che esplosione di energia e creatività giovanile fu! Come frantumò le limitazioni del rigido ordine burocratico! Quale nuovo impeto diede alla vita economica e sociale, una volta che si affievolirono le illusioni politiche! Dopo tutto, a quel tempo molti di loro erano giovani che protestavano e si scontravano con i poliziotti nelle strade. Se ora sono cambiati, non è perché si sono rassegnati alla realtà, ma perché devono cambiare loro stessi per poter davvero cambiare il mondo, rivoluzionare davvero il mondo”.


Zizek (a cui non sfugge niente) coglie, inoltre, un’ulteriore sfumatura caratteriale delle brave persone che si riuniscono in grandi comunità democratiche al solo fine di migliorare la vita degli altri. Si tratta del cosiddetto “contrappunto che si autoannulla”, ovvero, se da un lato non si disdegna di fare soldi sullo sfruttamento altrui e sulla speculazione finanziaria, dall’altro si prepara il lavacro col quale purificare la coscienza (e qui si citano ancora Gates e Soros) sporcata dal contatto col denaro: metà del tempo è passato nel business l’altra metà a compiere opere di bene e a creare modelli di socialità alternativa. Così il “villaggio dell’utopia socialista” è un artificio che viene messo in scena come spettacolo per i più ricchi e per i più colti ma con il quale si attirano nella rete pure i cosiddetti ribelli: “Oggi le figure esemplari del male non sono i consumatori ordinari che inquinano l’ambiente e vivono in un mondo violento di legami sociali in disgregazione, ma coloro che, mentre si dedicano anima e corpo a creare le condizioni di una tale devastazione e di un tale inquinamento universali, si comprano con il denaro via di fuga dalle loro stesse attività, vivendo in comunità recintate, mangiando cibo biologico, facendo vacanze in riserve naturali e così via”. Qui Zizek dimentica di annotare che queste forme ideologiche non riguardano solo i benestanti tout court ma si propagano, in versioni più soft, anche tra gli strati meno abbienti della popolazione, richiamati dal miraggio delle piccole comunità utopiche dove si decresce e si mangiano cibi sani. Quello che un tempo era inquadrato come necessaria prospettiva politica indirizzata alla trasformazione sociale viene convertito in una forma blanda di esodo, esprimente tutt’al più una “contrapposizione rinunciataria” nei confronti di un mondo che non ci si sforza nemmeno di comprendere più nelle sue coordinate fondamentali.


Infine, la ciliegina di una poesia di Bertolt Brecht a riassumere le vanità di questo uomo “amabile” la cui bontà è pari solo alla sua colpevolezza:


“Interrogatorio dell’uomo buono”


Avanza: sentiamo dire


Che sei un uomo buono


Non sei venale, ma il fulmine

 
che si abbatte sulla casa non è


neanch’esso venale.


Quel che hai detto una volta, lo mantieni.


Che cosa hai detto?


Sei sincero. Dici la tua opinione.


Quale opinione?


Sei coraggioso.


Contro chi?


Sei saggio.


A favore di chi?


Non badi al tuo vantaggio.


Al vantaggio di chi, allora?


Sei un buon amico.


Amico di gente buona?


Ascolta: sappiamo


che sei nostro nemico. Perciò ora ti vogliamo


mettere al muro. Ma in considerazione dei tuoi meriti


e buone qualità


il muro sarà buono, e ti fucileremo con


buone pallottole di buoni fucili e ti seppelliremo con

 
una buona pala in terra buona.