INTERVISTA A NOAM CHOMSKY di G. Repaci


un ringraziamento per la traduzione a Valeria Zirpoli e Pietro “Peter” Satalino
1. Professor Chomsky, come ben saprà, negli Stati Uniti si stanno svolgendo le primarie. Secondo lei che cambiamenti ci potrebbero essere nella politica estera americana se venisse eletto un presidente democratico.
Lo spettro è molto stretto, ma vi sono differenze. L’amministrazione Bush è stata all’estremo del militarismo aggressivo, così che ha ricevuto critiche senza precedenti, in primo luogo, da fonti mainstream. Per esempio, quando la strategia sulla sicurezza nazionale di Bush fu messa a punto nel mese di settembre 2002, la sua “nuova grande strategia imperiale”, così come è stata chiamata, è stata condannata dopo poche settimane dal primo giornale dell’estabilishment di politica estera, Foreign Affairs.
La critica non è stata tanto sul contenuto quanto sulla forma.
Il segretario di Stato all’epoca di Clinton, Madeleine Albright, scrisse criticamente nello stesso giornale che ogni presidente ha qualcosa di simile alla dottrina di Bush nella tasca posteriore, ma è un errore agitare il pugno in un modo oltraggioso offendono anche stretti alleati. Lei sapeva, naturalmente. La dottrina Clinton, presentata come morbida, è stata ancora più estrema rispetto alla dottrina Bush, se presa alla lettera: dichiarava il diritto di usare la forza militare per affermare l’accesso degli Stati Uniti ai mercati e alle risorse, senza neanche i pretesti che la dottrina di Bush richiedeva.
Qualsiasi nuova amministrazione, con la possibile eccezione McCain, è probabile che ritorni ai più normali metodi per mantenere i principi stabiliti dai pianificatori durante la seconda guerra mondiale: cosicché gli Stati Uniti, saranno il potere mondiale dominante e sbarreranno qualsiasi esercizio di sovranità che minaccia quella posizione egemone.
La ristrettezza del campo di azione è rivelata da voci che sono omesse. Considerate l’Iraq. Recensioni moderate e globali sulle opzioni politiche per i candidati – per esempio, di recente dal NY Times, corrispondente militare e in Iraq Michael Gordon – includono quasi ogni posizione, ad eccezione di quelle degli iracheni e degli americani. Poco prima della sua revisione, lo studio militare degli Stati Uniti ha dimostrato che gli iracheni hanno “credenze condivise” – ciò che il Pentagono chiama una “buona notizia”. Le credenze condivise riguardano il fatto gli invasori statunitensi sono responsabili per la violenza settaria e per gli altri orrori dell’Iraq, e dovrebbero andarsene. Il popolo americano è favorevole al ritiro. Ma gli iracheni e gli americani non partecipano al dibattito, e le loro opinioni non sono opzioni. Lo stesso vale anche per numerose altre questioni.
I Democratici porterebbero probabilmente un cambiamento nello stile, ma non tanto nella sostanza.
La comparsa di Cina e Russia come potenze mondiali, la sconfitta americana in Iraq, sono forse il segno del declino dell´unipolarismo statunitense? Quali pensa saranno i futuri scenari geopolitici.
Io sarei cauto nel parlare di una “sconfitta” america in Iraq. Gli attuali programmi di Washington, apertamente dichiarati, sono di mantenere una “perenne” presenza militare – “duratura” è l’attuale eufemismo per “permanente” – con enormi basi militari, la libertà di effettuare operazioni di combattimento (libertà di combattere) a volontà, e un ‘ “ambasciata” che è una piccola città autocontrollata a Baghdad.
Secondo la dichiarazione di Bush e il governo US, l’Iraq deve essere aperto agli investimenti stranieri, in modo da favorire gli investimenti degli Stati Uniti. L’enunciazione è sorprendentemente sfacciata. Non è chiaro se gli obiettivi possano essere raggiunti o no. Ma gli Stati Uniti hanno una straordinaria potenza militare, l’Europa occidentale le sta dietro obbediente. Tuttavia, è vero che il sistema mondiale sta diventando più complesso. Un esempio è una notevole tendenza verso la nazionalizzazione dei grandi centri dell’economia, poiché i fondi sovrano trovano costantemente guadagno e stock ownership.
Le maggiori riserve finanziare del mondo sono in Asia e nel Medio Oriente. La Cina, a differenza dell’Europa, non è intimidita, quando gli Stati Uniti agitano il pugno, ma continua a presentare una sfida economica per gli Stati Uniti – accedendo a risorse, investimenti, esportazioni.
Questo è vero anche nel “giardino” di Washington in America Latina e in Medio Oriente, regione critica. L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, potrebbe diventare un importante centro di potere indipendente, che include la Cina, la Russia e gli Stati dell’Asia centrale, che si allarga ad India, Pakistan e Iran che hanno acquisito lo status di osservatore, negandolo a Washington.
L’America Latina sta cominciando a muoversi in modo indipendente per la prima volta in 500 anni. L’India e la Cina si stanno lentamente riprendendo dai violenti colpi dell’ imperialismo occidentale e si muovono verso lo stato che reggevano (esisteva) nel 17° e 18° secolo, come grandi centri commerciali e industriali del mondo, sebbene essi abbiano enormi problemi interni da superare. Relazioni Sud-Sud sono in via di sviluppo (Brasile- Sud, Africa- India). Il FMI è seriamente in declino. L’opzione di intervento e di sovversione militare per il controllo del Sud, è comunque in calo. E ad ogni modo il mondo è fuori controllo.
La crisi in Iran. Durante le primarie sia candidati democratici che repubblicani hanno ribadito il fatto che l´Iran rappresenta una minaccia per l´intera umanità. Pensa che in futuro potremmo assistere ad un nuovo conflitto con l´Iran. Quali sono a suo avviso i motivi dell´ostilità dell´america verso l´Iran. Quanto pesa il ruolo di Israele nella politica estera americana.
Questo è un altro esempio di ristrettezza del campo di azione politico. Studi attenti
sull’opinione pubblica hanno dimostrato che gli americani e gli iraniani sono in gran
parte d’accordo su una risoluzione della crisi. A stragrande maggioranza, sono
d’accordo (1) che l’Iran ha il diritto di sviluppare l’energia nucleare, come tutti i firmatari del TNP, ma non armi nucleari, (2) che tutta la regione, compreso l’Iran e Israele, deve essere dichiarata una zona libera da armi nucleari; (3), che gli Stati Uniti dovrebbero tener fede ai loro obblighi del TNP e far qualcosa per l’eliminazione delle armi nucleari e (4) che gli Stati Uniti dovrebbero porre fine alle minacce contro l’Iran (che sono, ovviamente, violazioni della Carta delle Nazioni Unite) e muoversi verso normali relazioni diplomatiche. Ma la pubblica opinione è considerata così pericolosa che queste rivelazioni, fatte dall’agenzia di Polling più prestigiosa del mondo, non vengono neanche segnalate. E, naturalmente, non sono opzioni per i candidati.
La ragione fondamentale per l’ostilità è che nel 1979 gli iraniani commisero un reato grave: cacciarono il tiranno che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano imposto quando intervennero nel 1953 per rovesciare il sistema parlamentare iraniano. Questo tipo di disobbedienza è intollerabile. Da allora gli Stati Uniti si sono dedicati a punire gli iraniani, fin quando non sono ritornati all’ovile. Ciò incluse un forte sostegno per l’aggressione omicida di Saddam, poi dure sanzioni, e le continue minacce, provenienti da tutto il campo d’azione. Israele ha una certa influenza, ma questa non deve essere esagerata. Quando i suoi obiettivi entrano in conflitto con gli interessi di Stato Usa, Israele riceve duri ordini di dietrofront, e non ha altra scelta che obbedire.
4. Cosa ne pensa dei rafforzamenti dei movimenti indipendentisti nell´America Latina. Quanto pensa che gli Stati Uniti accetteranno una così forte opposizione proprio nel “cortile di casa”.
Come osservato, si tratta di uno sviluppo molto importante. Sin dalla conquista spagnola, i paesi latinoamericani sono stati in gran parte separati gli uni dagli altri, e collegati a potenze straniere. Internamente, sono stati governati da una ricca élite europeizzata, mentre la grande massa della popolazione vive in condizioni che vanno dalla difficoltà alla miseria. C’è anche una correlazione stretta di razza-classe. Per la prima volta, questi problemi si incontrano. Sebbene l’America centrale rimanga traumatizzata dal terrore di Reagan , da cui non può riprendersi, il Sud America si sta muovendo verso un certo grado di integrazione. E soprattutto sotto la pressione dei movimenti di massa, i paesi si stanno muovendo verso il superamento del grande e scandaloso divario tra ricchi e poveri.
Il paese più povero del Sud America, la Bolivia, è in prima fila in questi sviluppi molto significativi. Naturalmente questo è preoccupante per gli Stati Uniti, che hanno notevolmente aumentato la formazione militare per agenti latino-americani, diretta contro il “populismo radicale” – il che significa che sacerdoti organizzano contadini, leader del lavoro, attivisti per i diritti umani, e altri che disturbano la “stabilità”. Tuttavia, i tradizionali mezzi di controllo – violenza e strangolamento economico – sono stati notevolmente indeboliti, e gli Stati Uniti sono ora costretti a sostenere i tipi di governi che non hanno avuto alcuna esitazione a rovesciare non molti anni fa. L’America latina sta anche modificando le sue relazioni internazionali. Ci sono molti ostacoli e incertezze, ma la tendenza generale è verso l’integrazione e a misura di indipendenza. Ed è causa di grande preoccupazione nei circoli d’elite statunitensi,
come si può vedere, per esempio, per la bizze isteriche e l’ondata di falsità su Chavez, e, in misura minore, Morales.
ENGLISH VERSION
Professor Chomsky, as you well know, the United States is doing the primaries. In your opinion what changes could be to American foreign policy if a democratic president was elected.
The spectrum is very narrow, but there are differences. The Bush administration was so far to the extreme of aggressive militarism that it received unprecedented criticism, early on, from mainstream sources. For example, when Bush’s National Security Strategy was released in September 2002, his “new imperial grand strategy,” as it was called, was condemned within weeks in the premier journal of the foreign policy establishment, Foreign Affairs. The criticism was not so much about content as about style. Clinton’s Secretary of State, Madeleine Albright, wrote critically in the same journal that every president has something like the Bush doctrine in his back pocket, but it is a mistake to shake your fist in such an insulting manner that you even offend close allies. She knew, of course. The Clinton doctrine, presented quietly, was even more extreme than the Bush doctrine, if taken literally: it claimed the right to use military force to ensure US access to markets and resources, without even the pretexts that the Bush doctrine required. Any new administration, except possibly McCain, is likely to return to the more normal methods for maintaining the principles laid down by planners during World War II: that the US will be the dominant world power and will bar any exercise of sovereignty that threatens that hegemonic position.
The narrowness of the spectrum is revealed by the voices that are omitted. Consider Iraq. Sober and comprehensive reviews of policy options for the candidates — for example, recently by NY Times military and Iraq correspondent Michael Gordon — include just about every position, except for those of Iraqis and Americans. Shortly before his review, the US military released studies showing that Iraqis have “shared beliefs” — what the Pentagon called “good news.” The shared beliefs are that the US invaders are to blame for sectarian violence and the other horrors of Iraq, and should leave. Americans also favor withdrawal. But Iraqis and Americans are not participants in the debate, and their opinions are not options. The same is true on numerous other issues.
Democrats would very likely bring a change in style, but not much in substance.
The emergence of China and Russia as new world powers, the American defeat in Iraq, are perhaps the sign of decline of the American unipolarism. What do you think will be the future geopolitic scenarios?
I would be cautious about speaking of an American “defeat” in Iraq. Washington’s current plans, openly declared, are to maintain an “enduring” military presence — “enduring” is the current euphemism for “permanent” — with huge military bases, freedom to carry out combat operations at will, and an “embassy” that is a small selfcontained city in Baghdad. According to the declaration of Bush and the US-backed government, Iraq is to be open to foreign investment, favoring US investment. The wording is surprisingly brazen. Whether the goals can be achieved or not is unclear. But the US has extraordinary military power, and Western Europe trails obediently behind.
Nonetheless, it is true that the world system is becoming more complex. One illustration is a notable tendency towards nationalization of major centers of the economy, as sovereign funds steadily gain stock ownership. The world major financial reserves are in Asia and the Middle East. China, unlike Europe, is not intimidated when the US shakes its fist, but continues to present an economic challenge to the US — accessing resources, investment, exports. That is true even in Washington’s “backyard’ in Latin America and in the critical Middle East region. The Shanghai Cooperation Organization could become a major independent power center, including China, Russia and the Central Asian States, reaching beyond as India, Pakistan and Iran have gained observer status, denied to Washington. Latin America is beginning to move on an independent course for the first time in 500 years. India and China are slowly recovering from the violent blows of Western imperialism. and moving towards the status they held in the 17th and 18th centuries, as the major commercial and industrial centers of the world, though they have huge internal problems to overcome. South-South relations are developing (Brazil-South Africa-India). The IMF is seriously declining. The option of military intervention and subversion to control the South is declining as well. And in many other ways the world is falling out of control.
3. The crisis in Iran. During the primaries both candidates Democrats and Republicans have stressed the fact that Iran represents a threat to all humanity. Do you think that in the future we may witness a new conflict with Iran? What in your view are the reasons of hostility toward Iran? What is the weight of the role of Israel in American foreign policy?
This is another illustration of the narrowness of the political spectrum. Careful public opinion studies have shown that Americans and Iranians largely agree on a resolution of the crisis. By overwhelming majorities, they agree (1) that Iran has a right to develop nuclear energy, like all signers of the NPT, but not nuclear weapons; (2) that the entire region, including Iran and Israel, should be declared a zone free of nuclear weapons; (3) that the US should live up to its NPT obligations and move seriously towards eliminating nuclear weapons; and (4) that the US should end threats against Iran (which are of course violations of the UN Charter) and move towards normal diplomatic relations. But the voice of the public is considered so dangerous that these
revelations, by the world’s most prestigious polling agency, are not even reported. And of course they are not options for the candidates.
The basic reason for the hostility is that in 1979 Iranians committed a major crime: they threw out the tyrant that the US and Britain had imposed when they intervened in 1953 to overturn the Iranian parliamentary system. That kind of disobedience is intolerable. Since then the US has been dedicated to punishment of Iranians, until they return to the fold. That included strong support for Saddam’s murderous aggression, then harsh sanctions, and continuing threats, from across the spectrum. Israel has some influence, but it should not be exaggerated. When its goals conflict with US state interests, Israel receives stern marching orders, and has no choice but to obey.
4. What do you think about reinforcements of independence movements in Latin America? How long do you think the United States will accept such a strong opposition in their courtyard”?
As noted, this is a very important development. Since the Spanish conquests, the Latin American countries have been mostly separated from one another, and linked to foreign powers. Internally, they have been ruled by a rich, Europeanized elite, while the great mass of the population lives in conditions ranging from difficult to miserable. There is also a fairly close race-class correlation. For the first time, these problems are being confronted. Though Central America remains traumatized by Reaganite terror, from which it may never recover, South America is moving toward some degree of integration. And primarily under the pressure of mass popular movements, the countries are moving towards overcoming the great and disgraceful gulf between rich and poor. The poorest country of South America, Bolivia, is in the forefront of these very significant developments. Naturally this is worrisome to the US, which has substantially increased military training for Latin American officers, directed against “radical populism” — which means priests organizing peasants, labor leaders, human rights activists, and others who disrupt “stability.” Nevertheless, the traditional means of control — violence and economic strangulation — have been significantly weakened, and the US is now compelled to support the kinds of governments it would have had no hesitation in overthrowing not many years ago. Latin America is also diversifying its international relations. There are many barriers and uncertainties, but the general tendency is towards integration and a measure of independence. And it is causing great concern in US elite circles, as one can see, for example, by the hysterical tantrums and flood of deceit about Chavez, and to a lesser extent, Morales.