Intervista a Putin
Intervista del quotidiano francese Le Monde al primo ministro russo Vladimir Putin
31.05.2008
Per gentile concessione di Eurasia-rivista.org
Questa visita in Francia è la prima che Lei fa all’estero come primo ministro. Il Suo incontro faccia a faccia con Nicolas Sarkozy, insolito dal punto di vista del protocollo, mette in luce un’ambiguità: chi dirige la politica estera, Lei o Dmitrij Medvedev?
Non c’è nessuna ambiguità, solo il fatto che i politici svolgono le loro funzioni ma continuano a essere delle persone. Con il signor Sarkozy ci siamo conosciuti quando io ero ancora presidente. Sono nati dei legami d’amicizia. Quando si è posta la questione del mio futuro, mi ha domandato cosa avessi intenzione di fare. Gli ho risposto che non avevo ancora deciso. Allora lui mi ha detto: “In ogni caso sarò felice di incontrarti a Parigi. Promettimi che la tua prima visita all’estero nel tuo nuovo ruolo sarà a Parigi”. E così ho fatto.
Per quanto concerne il mio compito, ho parlato ovviamente con il signor Fillon, soprattutto delle relazioni economico-commerciali. Ma naturalmente anche con il Presidente abbiamo toccato la sfera delle nostre relazioni economiche. Anche se, ovviamente, il Presidente è il Presidente, e abbiamo anche parlato di politica estera e di affari internazionali. In quanto umile servitore dello stato oggi mi occupo innanzitutto di questioni economiche e sociali, ma come membro del Consiglio di Sicurezza della Russia mi riguardano anche le questioni affrontate con il presidente francese. Quanto alla divisione dei poteri in Russia, il presidente ha indiscutibilmente l’ultima parola. E il presidente, oggi, è il signor Medvedev.
Venerdì mattina ha incontrato Jacques Chirac. Siete semplicemente amici o c’era un interesse particolare?
Nessun interesse particolare. Abbiamo lavorato insieme per molti anni. Ha un rapporto molto caloroso con la Russia, la conosce profondamente. Io condivido le sue idee, secondo le quali i rapporti tra la Russia e l’Europa, la Russia e la Francia, devono pesare sulla scena internazionale. Ed è proprio questo che ci unisce. Jacques è anche una persona molto gradevole, un interlocutore brillante, con una cultura enciclopedica, lo dico senza esagerazioni. Quando collaboravamo nell’ambito del G8 avevo già potuto osservare che si trovava al centro dell’attenzione generale. Ha sempre un punto di vista argomentato sulle questioni civili e sugli argomenti di attualità. Trovo molto interessante confrontarmi con lui. E giacché ha fatto molto per le relazioni tra i nostri due paesi, il presidente Medvedev ha deciso di assegnargli il Premio di Stato della Federazione Russa. Speriamo che ci concederà l’onore di una visita al Cremlino in occasione della festa nazionale del 12 giugno, così che il presidente possa consegnargli il premio.
Il potere russo ha attualmente due facce: è una soluzione transitoria o Lei vorrebbe che il primo ministro russo divenisse l’equivalente del cancelliere tedesco?
Come sa, la Russia è una repubblica presidenziale e noi non intendiamo modificare il ruolo centrale del capo dello Stato nel sistema politico del paese. Il fatto che io diriga il governo è di certo un fatto curioso per la nostra storia politica. Ma forse la questione essenziale è un’altra: io dirigo nello stesso tempo un partito che occupa un ruolo di primo piano nella vita politica del paese e che ha una maggioranza stabile al Parlamento. È un segno incontestabile che in Russia siamo legati al sistema multipartitico e a una valorizzazione del ruolo del Parlamento. È questo il vero segnale politico.
Quando ha avuto luogo la transizione, Lei e Medvedev avete esposto i piani per la Russia per i prossimi 10-20 anni. In quali circostanze potrebbe abbandonare le Sue funzioni, diciamo nel giro di uno o due anni?
[Giovedì sera], Nicolas [Sarkozy] mi ha parlato dei suoi piani di modernizzazione della Francia. È molto appassionato e sincero, vuole cambiare lo stato delle cose nel suo paese per il bene dei francesi. Chiaramente non ci saranno cambiamenti positivi a breve termine, certe decisioni dovranno produrre i loro frutti nel giro di qualche anno. Tutto questo suscita dei dibattiti all’interno della società. Anche la Russia si trova obbligata a modernizzarsi in molti settori. Innanzitutto in quello economico, dove dobbiamo privilegiare l’innovazione. Ne stiamo discutendo attivamente. Del resto i primi risultati si fanno sentire. Bisogna anche cambiare il sistema di retribuzione nel settore pubblico, modernizzare il nostro sistema pensionistico garantendo ai nostri cittadini una vecchiaia e delle entrate dignitose. La pensione dovrà essere proporzionata al reddito percepito durante la vita lavorativa della persona. Va modernizzata l’agricoltura. La Russia deve affrontare molte sfide impegnative. Siamo determinati ad agire in modo del tutto onesto e trasparente davanti ai nostri connazionali, senza scadere nella politica da caffè. Se riusciremo nel nostro intento, l’organizzazione del potere ai massimi livelli non sarà poi così importante. L’essenziale sono gli obiettivi comuni. La squadra attualmente in carica è molto competente, molto professionale, composta di specialisti, e ha l’appoggio degli eletti al Parlamento. Bisogna cercare di conservare questa unità il più a lungo possibile. La distribuzione dei ruoli e delle ambizioni è un elemento secondario.
Signor primo ministro, negli ultimi anni la Russia ha conseguito un indubbio successo economico. Quanto hanno inciso rispettivamente i prezzi del petrolio e il Suo lavoro su questo successo?
Preferirei non essere io a giudicare il lavoro che ho svolto. Anche se ritengo di aver lavorato coscienziosamente, onestamente, e di avere ottenuto molto, a cominciare dal ristabilimento dell’integrità territoriale del paese e della legalità costituzionale, fino a garantire una maggiore crescita economica e un calo della povertà. Naturalmente i prezzi e la congiuntura internazionale hanno avuto un effetto positivo notevole. Ma, come saprà, anche in epoca sovietica ci sono stati dei periodi in cui i prezzi del petrolio erano molto alti. Quel denaro è stato però sperperato e non ha influenzato lo sviluppo economico. Più recentemente, i prezzi del petrolio hanno cominciato a salire nel 2004. Ma già nel 2000 noi siamo stati in grado di ottenere una crescita record del 10%, che non era collegata con il petrolio. In questi ultimi anni, per quanto riguarda il sistema fiscale e l’amministrazione, abbiamo scelto di privilegiare lo sviluppo dell’industria di trasformazione, di incoraggiare l’innovazione. Questa è la nostra missione principale. I primi risultati si fanno sentire. Come? L’industria di trasformazione influisce sulla crescita del PIL più dell’industria delle materie prime. E tuttavia non è ancora abbastanza. Di recente ho trattato l’argomento pubblicamente, in una riunione del Governo. Vogliamo che la nostra economia sia innovativa, anche se nei programmi per i prossimi cinque anni i nostri obiettivi sono ancora troppo bassi. Comunque tutto ciò significa che adesso ci stiamo concentrando su questi problemi e ci lavoreremo finché non li avremo risolti.
Non c’è contraddizione tra il fatto che Lei vuole perseguire l’innovazione e nello stesso tempo aumentare il ruolo dello stato nell’economia? Per esempio, negli ultimi anni lo Stato russo ha assunto nuovamente il controllo dei settori strategici dell’economia, in particolare quello dell’industria petrolifera. Non è controproducente?
No no, non è affatto così. Lei ha parlato del settore petrolifero. È un’interpretazione errata di ciò che accade nel settore petrolifero dell’economia russa. Negli ultimi anni l’estrazione del petrolio non è aumentata, o è aumentata molto poco, è vero, ma non perché lo Stato ha assunto il controllo. Vorrei richiamare la sua attenzione su alcuni fattori. Innanzitutto la Russia non fa parte dell’OPEC. In secondo luogo, nella maggioranza dei paesi estrattori di petrolio le compagnie petrolifere sono di proprietà dello Stato. In terzo luogo, in Russia i privati sono invece presenti nel settore degli idrocarburi. Le multinazionali, comprese quelle francesi come Gaz de France o Total, sono presenti nel settore petrolifero russo e sviluppano i nostri giacimenti naturali. Certo, abbiamo cercato di sostenere le imprese controllate dallo Stato, come Gazprom e Rosneft. Le altre, ne abbiamo decine, sono grandi compagnie private. Comprese quelle con capitali stranieri. Compagnie britanniche, americane, indiane, cinesi, francesi, tedesche.
Nel nostro settore energetico c’è più liberismo che in quelli della maggior parte degli altri paesi, Europa compresa. Stiamo portando a termine una grande riforma del settore dell’energia elettrica. Il 1° luglio la nostra maggiore compagnia elettrica, la UES, cesserà di esistere e si scinderà in varie compagnie più piccole che facevano parte della UES. Il settore della produzione, piccole centrali e grandi unità, verrà messo in vendita ai privati. Interverranno grandi compagnie europee – l’italiana ENI, compagnie tedesche – con investimenti di 6, 8, 10, 12 miliardi di dollari e di euro. Con investimenti miliardari. Vi faccio notare che pochi paesi europei hanno dato prova di un tale liberismo. Mentre a noi, investitori russi, viene ancora impedito l’accesso a progetti analoghi. Dunque è del tutto sbagliato affermare che il nostro settore energetico, in particolare quello degli idrocarburi, è un mercato chiuso.
In quel settore economico ci sono però dei problemi. In cosa consistono? Consistono nel fatto che da quando le grandi compagnie petrolifere e del gas con l’aumento dei prezzi dell’energia hanno cominciato a guadagnare troppo il governo ha deciso di riversare i profitti eccedenti nel bilancio della Federazione Russa, creando per esempio un’imposta sull’estrazione delle materie prime e tasse sulle esportazioni. Adesso abbiamo scoperto che questi metodi non sono più necessari, che i mezzi di cui dispongono le imprese petrolifere non permettono loro di sviluppare l’estrazione. Per questo diminuiremo l’imposta sull’estrazione delle materie prime. Speriamo che questo produca effetti positivi nei prossimi anni. Abbiamo anche accordato uno statuto preferenziale ai nuovi giacimenti, in particolare nel mare del Nord e nella Siberia orientale, dove non esiste alcuna infrastruttura.
Non dubito che questo settore dell’economia russa si svilupperà attivamente nei prossimi anni.
Adesso sono sorti dei problemi con le compagnie straniere. Non pensa che questo possa spaventare gli investitori, soprattutto dopo quello che è successo con la TNK-BP, la Shell e via dicendo?
Co la TNK-BP non è ancora successo niente. Hanno problemi con i loro soci russi, e io li avevo avvertiti qualche anno fa che questi problemi ci sarebbero stati. E la questione non è che si tratta della TNK-BP. La questione è che qualche anno fa si sono accordati per dividersi a metà il pacchetto azionario, e quando l’hanno fatto, e io ero presente alla firma di questo accodo, dissi loro: “Non bisogna farlo. Parlate tra di voi, decidete che uno di voi possieda il pacchetto di controllo, e noi non siamo contrari che sia la BP. Noi vi appoggeremo anche se sarà la parte russa, cioè la compagnia TNK”. Ma era necessario che ci fosse un padrone, altrimenti in quella struttura ci sarebbero stati problemi.
Mi hanno detto: “No, no, ci metteremo d’accordo”. “Allora accordatevi”, ho detto io. Ed ecco il risultato: continuano ad avere attriti su chi di loro debba prevalere. Lì sta essenzialmente il problema. Il problema principale sono gli attriti economici all’interno della compagnia.
Per quanto riguarda la Shell, con loro abbiamo risolto i problemi e speriamo che non si ripetano in futuro. E non dovrebbero ripetersi anche perché i nostri partner dovrebbero sapere che non ammettiamo il metodo coloniale di sfruttamento delle risorse russe.
Non temete che l’inflazione possa diventare un fattore di destabilizzazione della società russa e un argomento dell’opposizione politica?
No, non lo temiamo per molte ragioni. In primo luogo comprendiamo l’impatto negativo dell’inflazione, ce ne rendiamo conto e intraprendiamo e continueremo a intraprendere tutte le misure necessarie a eliminare questa minaccia. L’inflazione non viene dal nostro mercato interno, è stata esportata in Russia dalle economie sviluppate, comprese quelle europee. È legata al rapido e infondato aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base. Gli esperti sanno che è collegata ai consumi in India e Cina, ai biocarburanti fabbricati dal grano o dal mais. È legata anche a un afflusso importante di investimenti in Russia. Prima uscivano dal paese 20-25 miliardi di dollari all’anno. L’anno scorso il livello degli investimenti esteri diretti ha raggiunto gli 81 miliardi di dollari. Questi investimenti in petrodollari si aggiungono ai petrodollari delle nostre imprese. La Banca centrale li preleva e deve emettere dei rubli che vengono poi reimmessi nell’economia.
Esistono anche altri fattori, che noi conosciamo e che siamo in grado di analizzare obiettivamente per contenere queste minacce. Ma innanzitutto dobbiamo sviluppare la nostra industria agroalimentare e garantire il volume indispensabile di grano per i nostri bisogni con l’aiuto delle regole doganali, così come le importazioni necessarie. Lotteremo contro l’inflazione come si fa ovunque. La Banca centrale ha recentemente alzato al 10,5% i tassi di interesse per limitare l’afflusso di moneta nell’economia. Per quanto riguarda l’impatto sociale, l’aumento dei prezzi dei prodotti di base colpisce soprattutto gli strati più vulnerabili della popolazione, quelli che spendono praticamente tutti i loro redditi per nutrirsi. Sono loro che soffrono maggiormente. Ma grazie all’aumento dei salari, delle pensioni e dei sussidi cercheremo di minimizzare le conseguenze negative dell’inflazione. Anche se comprendiamo che questo significa un afflusso di denaro nell’economia, nel paese: ma dobbiamo farlo per i nostri cittadini e lo faremo.
Cosa risponderebbe a Dmitrij Medvedev se Le chiedesse un parere su un alleviamento della pena o un miglioramento delle condizioni di detenzione dell’ex padrone della Jukos, Michail Chodorkovskij?
Gli risponderei che deve prendere questa decisione in completa autonomia. Come ho fatto io in passato, deve basarsi sulla legislazione. Lui ed io abbiamo fatto gli stessi studi universitari alla facoltà di diritto di San Pietroburgo. Abbiamo avuto degli ottimi professori, i quali ci hanno somministrato un vaccino: il rispetto della legge. Conosco il signor Medvedev da molto tempo. Rispetterà la legge, come del resto ha affermato pubblicamente più volte. Se la legge lo permette, non ci sarà alcun ostacolo. Tutto dipende dalla situazione concreta e dalle procedure sancite dalla legge.
Le condizioni di detenzione dipendono dall’amministrazione? Dal detenuto?
Ma certo. Come da voi. E di chi dovrebbero dipendere?
Be’, voglio dire, la legge permette un alleviamento delle loro condizioni di detenzione?
Ma certo. Però bisogna che i detenuti adempiano alle leggi.
Signor primo ministro, Lei dice spesso che la Russia condivide i valori europei. Ma d’altro canto vediamo che in Russia non si ammette ancora la concorrenza nell’economia e nella politica. Come spiega questa contraddizione?
Non vedo alcuna contraddizione. La concorrenza è lotta. Se una delle parti prende il sopravvento e vince significa che la competizione esiste. Ovunque i protagonisti dell’economia tentano di mantenere stretti rapporti con il potere e di ottenere dei vantaggi competitivi. Abbiamo evocato uno dei “capitani” dell’industria petrolifera russa. Un tempo queste persone si vedevano rifiutare il visto di ingresso negli Stati Uniti perché si pensava fossero legate alla mafia. Oggi chiedete se sia possibile migliorare le loro condizioni di detenzione: non significa applicare due pesi e due misure? La lotta per i privilegi esiste, è sempre esistita e sempre esisterà. La Russia non è un caso unico. Abbiamo cercato di tenere il mondo degli affari distante dalla politica, e mi sembra che ci siamo complessivamente riusciti.
Ma forse sta tutto nel fatto che Chodorkovskij ci andava troppo spesso negli Stati Uniti, e il visto ce l’aveva…
Si, alla fine è riuscito ad ottenerlo, al contrario di altri imprenditori, come il signor Deripaska. Ne ho chiesto il motivo ai miei colleghi americani. Se avete dei motivi per non concedergli il visto, se avete informazioni su attività illegali, passateli a noi e sapremo farne uso nel nostro paese. Ma non ci hanno dato niente, non ci hanno spiegato niente e gli hanno negato il visto. [Oleg Deripaska] non mi è né amico, né parente. Rappresenta la grande finanza russa. Ha affari per svariati miliardi di dollari in diversi paesi del mondo. Perché impedirgli gli spostamenti? Cos’ha fatto? Se non avete niente in mano, lasciatelo entrare. Per quanto riguarda Chodorkovskij, il problema non sono i suoi viaggi all’estero, ma il fatto che ha infranto la legge più volte e in maniera brutale. È stato dimostrato che il gruppo di cui faceva parte ha commesso crimini contro delle persone, e non solo crimini di natura economica. Hanno ucciso più di una persona. Un tale genere di lotta competitiva è intollerabile e noi intendiamo porvi fine senza esitazioni e con tutti i mezzi.
Ma c’è anche il caso del britannico William Browder, del fondo di investimento Hermitage, che si vede proibire l’ingresso dal 2005 senza sapere perché…
Sa, sento questo nome per la prima volta. Non so chi sia questo signor Browder, né perché non possa entrare in Russia come lei dice. Non posso commentare perché non ne so nulla. Tuttavia… la Russia è un grande paese. Queste complicazioni possono verificarsi. Possono verificarsi conflitti con le autorità, conflitti per questioni finanziarie, conflitti interpersonali. Ma è la vita che è complessa e varia. Se qualcuno ritiene che i suoi diritti siano violati, si rivolga al tribunale. Il nostro sistema giudiziario, grazie a Dio, funziona. A proposito, recentemente una giornalista è stata accusata di aver infranto le norme valutarie quando si è recata all’estero. Contro di lei è stata aperta un’indagine. Credo che adesso si trovi in Francia. Così? Me ne hanno già parlato in passato, e io ho detto: che venga qui, si presenti in tribunale e lotti per i propri diritti. Ma ha paura. Adesso comunque la Corte costituzionale si è pronunciata: sì, ha infranto la legge, ma non sarà perseguita penalmente. Questi casi ricadono nel diritto amministrativo. Ecco cosa intendo quando dico che il sistema giudiziario russo funziona.
Alcuni osservatori e perfino gli stessi russi spesso faticano a dare una definizione della Federazione Russa. Cos’è: dittatura, totalitarismo, democrazia? Lei pensa di avere inventato un sistema, e come dev’essere questo sistema?
No, noi non inventiamo nulla. Noi sviluppiamo il nostro paese secondo principi che sono stati sperimentati nel mondo civile e che corrispondono alle nostre tradizioni e alla nostra cultura politica. Il multipartitismo non consiste in migliaia di partiti incapaci di organizzare il processo politico, che demoliscono lo Stato con il loro lavoro, le loro azioni e le loro ambizioni. Il multipartitismo è un sistema nel quale i grandi partiti rappresentano gli interessi di diversi segmenti della popolazione, funzionano efficacemente e, nell’ambito di un civile confronto, giungono a elaborare decisioni che rispondono agli interessi della maggioranza della popolazione. Abbiamo lavorato molto al rafforzamento del parlamentarismo e del multipartitismo. Abbiamo fatto reali progressi, sul piano legislativo, nella trasmissione dei poteri federali alle regioni e alle amministrazioni comunali. Abbiamo decentralizzato il potere accompagnandolo con le risorse finanziarie. Non esiste una società democratica, normale e civile senza una componente municipale. Noi questo lo capiamo e lavoriamo in questa direzione.
Dobbiamo però anche far sì che che le nostre azioni siano efficaci e portino a un miglioramento effettivo delle condizioni del paese. Esistono le tradizioni. Guardate il Libano. I diversi gruppi della popolazione devono essere rappresentati nelle alte sfere politiche. Succede anche da noi. Prendiamo il Caucaso, la Repubblica del Daghestan. Qui sono riconosciute le diverse nazionalità. Se il rappresentante di una si esse dirige la Repubblica, il rappresentante di un’altra diventa presidente del Parlamento e un terzo capo del Governo. Guai a infrangere questa gerarchia! Per la coscienza collettiva della Repubblica non è accettabile. Si può fingere il contrario, e dire che non va bene, non è democratico, e che servono a tutti i costi elezioni dirette del presidente, con voto segreto. Ma questo distruggerebbe la Repubblica, e non posso permetterlo. Sono costretto a tener conto delle idee di persone che abitano quel territorio da più di 1000 anni. Rispetterò la loro scelta, il loro modo di organizzare la propria vita. Queste particolarità da voi possono non esistere e non essere sentite, ma da noi esistono, le conosciamo. E dobbiamo farci i conti, e lo faremo. Ma oltre a questo ci muoveremo ovviamente nella direzione generale dello sviluppo civile.
Lei vanta la qualità del sistema giudiziario russo?
Non ho detto questo. Ho detto che malgrado tutti i problemi il sistema giudiziario russo si sviluppa e dimostra la propria vitalità. Bisogna ancora fare molto perché questo sistema funzioni al cento per cento a favore delle persone. Non so se questo sia possibile, e se da qualche parte si sia mai raggiunto un tale obiettivo. Ma non ci sono alternative.
Il signor Medvedev si è espresso in modo più negativo, parlando di “nichilismo giuridico”. Dove sta la verità?
La verità è che avete compreso male. Ha parlato di nichilismo politico non nei tribunali ma nella coscienza collettiva. Senza dubbio esiste. Ma la coscienza collettiva non ne ha colpa. Nel settore della sicurezza e dell’amministrazione pubblica, in particolare della giustizia, gli interessi della popolazione sono difesi male. È dunque naturale che i cittadini non abbiano né rispetto né fiducia nei confronti di questo sistema. In questo ha assolutamente ragione. (…)
Se la situazione sembra essersi normalizzata in Cecenia, si è però aggravata in Inguscezia e in Daghestan. Qual è secondo Lei il problema maggiore?
La situazione in Cecenia è davvero migliorata. Il popolo ceceno ha scelto di sviluppare la propria repubblica nell’ambito della Federazione. Abbiamo visto come ha reagito ai tentativi di introdurre nella coscienza collettiva forme islamiche non tradizionali. Il wahabismo, in sé, è una corrente dell’Islam che non ha nulla di pericoloso. Ma esistono delle tendenze estremiste, nell’ambito del wahabismo, che si è tentato di imporre alla popolazione cecena. La gente ha capito molto bene che non si agiva nei suoi interessi, ma che la si strumentalizzava dall’esterno per destabilizzare la Federazione Russa. Questo implicava delle sofferenze per il popolo. La stabilizzazione è cominciata con questa presa di coscienza. Quando abbiamo osservato questo cambiamento di mentalità abbiamo trasmesso il potere e la responsabilità ai ceceni nei settori della sicurezza e dell’economia.
Capisce, un tempo sarebbe stato difficile immaginare che il ministro della difesa Maschadov sarebbe diventato oggi membro del parlamento ceceno. Ma così vanno le cose. E proprio questo ha creato le condizioni politiche necessarie a ricostruire Groznij e a fare i primi passi per il risanamento dell’economia. Per quello che riguarda il Daghestan e l’Inguscezia, sappiamo benissimo quello che accade: si tratta di uno scontro tra interessi economici e non politici. Può essere l’espressione di contrasti politici interni ma non è mai legato a tendenze separatiste. (…)
Qual è oggi la priorità per il Caucaso e per le repubbliche che ha menzionato? Innanzitutto la ricostruzione della sfera economico-sociale. Lì una grande fascia della popolazione vive ancora sull’orlo della povertà. Lì la gente ha soprattutto il problema della disoccupazione. Questo riguarda specialmente i giovani. E noi abbiamo un programma di sviluppo per il sud della Russia, in particolare per il Caucaso Settentrionale.
In questo programma sono previste significative risorse finanziarie per lo sviluppo della sfera economica e sociale. Ritengo che anche in questa direzione conseguiremo il successo.
Ancora una piccola domanda sul Caucaso. La Cecenia, i fatti tragici di Beslan e del teatro Nord-Ost sono le pagine nere della Sua presidenza. Oggi pensa che sarebbe stato possibile agire in un altro modo?
No. Sono convinto che se avessimo cercato di agire in un altro modo tutto questo sarebbe andato avanti ancora oggi. Noi dovevamo contrastare i tentativi di destabilizzazione della Russia. Tutti i paesi che fanno concessioni ai terroristi sperimentano alla fine delle perdite ancora maggiori di quelle subite nelle operazioni speciali. E alla fine questo distrugge lo Stato e allunga l’elenco delle vittime.
Lotta contro il terrorismo a parte, i difensori dei diritti dell’uomo deplorano i crimini contro i civili ceceni. Sarà fatta luce su questi crimini?
Innanzitutto posso assicurarle che nella Repubblica Cecena i tribunali e la procura lavorano attivamente. Sono state promosse azioni penali contro gli autori di quei crimini, a prescindere dalle loro funzioni. Questo vale per quelli che hanno combattuto dalla parte dei ceceni e anche per i militari russi. Non solo faremo luce su questi crimini, ma lo stiamo già facendo. Vari ufficiali degli organi di polizia e dell’esercito sono stati già giudicati e condannati. E devo dirle che per i nostri tribunali non è stato facile. Malgrado le prove dei crimini le giurie popolari li hanno rilasciati più volte. Questo la dice lunga sullo stato d’animo della società russa, soprattutto dopo le brutalità commesse dai terroristi contro la nostra popolazione civile. Però io sono fermamente convinto che se vogliamo ristabilire la pace civile, nessuno deve oltrepassare la linea rossa del diritto.
Cosa si aspetta dalla presidenza francese dell’Unione Europea?
La Francia è un nostro collaboratore fidato e tradizionale. Si è sempre parlato di cooperazione strategica tra Francia e Russia, e io concordo con questa definizione. La Francia ha sempre condotto una politica estera indipendente e spero che continuerà così. È nella natura dei francesi. È difficile imporre ai francesi qualcosa che viene da fuori. Tutti i governanti francesi devono tenerne conto. Noi apprezziamo questa indipendenza, ed è per questo che ci aspettiamo molto dalla presidenza francese. Contiamo su un dialogo costruttivo per stabilire una base giuridica nella cooperazione con l’Unione Europea. Il documento fondatore delle nostre relazioni è scaduto. Non c’è un vuoto giuridico perché la procedura attuale permette di prorogarlo anno dopo anno. Ma bisogna rinnovarlo. Vogliamo firmare un nuovo trattato, l’abbiamo affermato a più riprese, come i nostri partner europei. La presidenza francese dovrebbe rappresentare un’ulteriore spinta.
Una delle questioni che preoccupano l’umanità è il programma nucleare iraniano. Crede che l’Iran cerchi di fabbricare l’atomica? Ne ha parlato con Sarkozy?
Sì, ne abbiamo ricordato questo problema. Non credo che gli iraniani stiano cercando di fabbricare l’atomica. Niente lo indica. Gli iraniani sono un popolo fiero e indipendente. Vogliono godere della propria indipendenza e del proprio legittimo diritto al nucleare civile. Devo dire che da un punto di vista formale, sul piano giuridico, l’Iran non ha infranto nulla. Ha anche il diritto di arricchimento [dell’uranio]. Lo dicono i documenti. Si rimprovera all’Iran di non aver mostrato tutti i suoi programmi all’AIEA. Questo punto va ancora sistemato. Nel complesso l’Iran ha, a quanto pare, rivelato i propri programmi nucleari. Lo ripeto ancora una volta: da un punto di vista formale, sul piano giuridico, l’Iran ha infranto nulla. Ma ho sempre detto apertamente ai nostri partner iraniani che il loro paese non si trova in una zona asettica ma in un ambiente complesso, in una zona del mondo esplosiva. Noi chiediamo loro di tenerne conto, di non irritare i loro vicini o la comunità internazionale, di dimostrare che il governo iraniano non ha secondi fini. Abbiamo collaborato strettamente con gli iraniani e con i nostri partner del “Gruppo dei 6” e continueremo a farlo.
Pensa di poter assicurare a Nicolas Sarkozy che l’Iran non ha un programma militare nucleare?
Durante il nostro incontro non mi sono posto questo problema. Le assicuro che il Presidente della Francia non è meno informato del Presidente della Russia, o meglio dell’ex Presidente della Russia. Non abbiamo discusso questo aspetto del problema. Abbiamo discusso sul fatto che esiste e che bisogna lavorare insieme per risolverlo.
Se sapeste che l’Iran sta veramente fabbricando una bomba nucleare sarebbe un problema per la Russia?
La politica non tollera i congiuntivi. Quando avremo queste informazioni decideremo quale atteggiamento adottare.
In linea di principio, l’Iran in quanto grande potenza può aspirare alla bomba nucleare?
Noi siamo contrari. È la nostra posizione di principio. Noi siamo contrari alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Questa via è estremamente pericolosa. Non è positiva né per la regione, per per l’Iran. Utilizzare le armi nucleari in una regione così piccola come il Vicino Oriente equivarrebbe a un suicidio. A quali interessi ubbidirebbe? A quelli della Palestina? Allora i palestinesi cesserebbero di esistere. Noi conosciamo la tragedia di Černobyl. Il vento non soffia solo da una parte. Sarebbe controproducente. Abbiamo sempre mantenuto questa posizione e spero che il presidente continuerà a farlo.
Intendiamo impedire con tutti i mezzi la proliferazione delle armi nucleari. Per questo motivo abbiamo proposto un programma internazionale di arricchimento dell’uranio, giacché l’Iran non è che una parte del problema. Molti paesi emergenti si trovano di fronte alla scelta di utilizzare l’energia nucleare a fini civili. Avranno bisogno di arricchire l’uranio e di disporre di un proprio ciclo chiuso. Ci saranno sempre dei dubbi sul conseguimento dell’uranio a fini militari. È molto difficile da controllare. Per questo proponiamo che l’arricchimento si faccia in paesi che sono al di sopra di ogni sospetto perché già in possesso della bomba nucleare. Per partecipare a questo programma gli stati dovranno essere certi di ricevere le quantità necessarie e avere la garanzia che qualcuno ritratterà le loro scorie. La creazione di questo sistema è possibile. Sarà sufficientemente sicuro e affidabile.
In che modo un eventuale ingresso nella NATO dell’Ucraina e della Georgia può costituire una minaccia per la Russia?
Alcune considerazioni. Noi ci opponiamo all’allargamento della NATO in generale. Per principio. La NATO è stata creata nel 1949 in virtù del 5° articolo dell’accordo di Washington sulla sicurezza collettiva. Il suo obiettivo era la difesa e il confronto con l’Unione Sovietica, per proteggersi da un’eventuale aggressione, come si riteneva all’epoca. L’URSS aveva un bel dire che non aveva intenzione di aggredire nessuno, secondo gli occidentali era il contrario. L’Unione Sovietica non c’è più, non c’è più la minaccia, ma l’organizzazione è rimasta. Di qui la questione: contro chi fate comunella? E perché? Ammettiamo che la NATO debba lottare contro le nuove minacce. Quali sarebbero? La proliferazione, il terrorismo, le epidemie, la criminalità internazionale, il traffico di stupefacenti.
Pensate che si possa risolvere questi problemi nell’ambito di un blocco politico militare chiuso? No. Devono essere risolti sulla base di un’ampia cooperazione, con un approccio globale e non semplicemente in ossequio alla logica dei blocchi. Con una lotta comune, schietta, leale. Allargare la NATO significa erigere in Europa nuove frontiere, nuovi muri di Berlino, in questo caso invisibili ma non meno pericolosi. Significa porre un limite alla possibilità di lottare efficacemente e insieme contro le nuove minacce. Provoca sfiducia reciproca, ha effetti nefasti. Questa è la prima considerazione. Passiamo alla seconda, per noi non meno importante. Noi sappiamo come vengono prese le decisioni all’interno della NATO. I blocchi politico-militari conducono a una limitazione della sovranità di tutti i paesi membri imponendo una disciplina interna, come in una caserma.
Sappiamo bene anche dove vengono prese queste decisioni: in uno dei paesi che guidano questo blocco. Sono poi legittimate, si attribuisce loro una patina di pluralismo e di buonafede. Così è successo con lo scudo anti-missile. Prima hanno preso la decisione, poi ne hanno dibattuto a Bruxelles in seguito alle nostre pressioni o alle nostre critiche. Noi temiamo che l’adesione di questi paesi alla NATO si traduca nell’installazione in tali paesi di sistemi missilistici che ci minacceranno. Nessuno chiederà il loro parere. Quei sistemi verranno intallati e basta. Non si fa che parlare di limitare gli armamenti in Europa. Ma noi l’abbiamo già fatto! Il risultato è che ci sono spuntate sotto il naso due basi militari. Presto ci saranno installazioni in Polonia e nella Repubblica Ceca. Come diceva Bismarck, quello che conta è il potenziale, non le dichiarazioni e le intenzioni. Noi vediamo che le installazioni militari si avvicinano ai nostri confini. Ma per quale ragione? Nessuno minaccia nessuno.
E veniamo all’ultima osservazione: abbiamo evocato la questione della democrazia. Dobbiamo sempre tenerla a mente. Non dovrebbe essere applicata anche in materia di relazioni internazionali? Si può essere un paese ben intenzionato e democratico all’interno e allo stesso tempo un mostro minaccioso all’esterno? La democrazia è il potere del popolo. In Ucraina quasi l’80% della popolazione è ostile all’ingresso nella NATO. Malgrado questo, i nostri partner dicono che vi aderirà. Le decisioni vengono prese prima, dunque, al posto dell’Ucraina. L’opinione della popolazione non interessa più a nessuno? E volete dirmi che questa è democrazia?
In Francia la pena di morte è stata abolita nel 1981 quando, probabilmente, la maggioranza della popolazione era contraria. A volte i governanti devono imporre le grandi scelte…
Questa responsabilità politica può essere presa tranquillamente per mezzo di un referendum. Basta domandare alla gente cosa ne pensa. Le questioni umanitarie come la pena di morte non rientrano in questo ambito. Si sente spesso dire, a proposito della cooperazione con la Russia: “Noi, i paesi occidentali, dobbiamo scegliere i nostri alleati in funzione dei valori comuni”. Abbiamo citato i fatti dolorosi avvenuti nel Caucaso qualche anno fa. Grazie a Dio è finita. Ma perfino in una situazione sull’orlo della guerra civile abbiamo di fatto abolito la pena di morte. È stata una decisione difficile ma responsabile. E questi non sono valori comuni? In certi paesi del G8, alcuni dei quali sono membri della NATO, la pena di morte esiste ancora, e i condannati vengono giustiziati. Allora perché tanta parzialità quando si tratta con la Russia? Quello che è permesso a Cesare non lo è agli altri? Questo tipo di dialogo sarebbe produttivo. Giochiamo a carte scoperte, rispettiamoci. Così faremo dei passi avanti.
A proposito delle relazioni con gli Stati Uniti. Con Washington avete divergenze su molte questioni: il Kosovo, l’Iraq, lo scudo anti-missile, il nucleare iraniano. Che bilancio fa della politica estera di George W. Bush?
Se me lo permette, non esprimerò giudizi perché non mi sento in diritto di farlo. Questo spetta al popolo americano. Le esporrò il mio parere personale. Penso che il presidente degli Stati Uniti abbia una responsabilità enorme perché il suo paese svolge un ruolo importantissimo negli affari internazionali e nell’economia mondiale. È facile criticare dall’esterno. Abbiamo sempre avuto le nostre posizioni su molte questioni, e dunque delle divergenze nella risoluzione dei problemi. Non siamo i soli. La Francia, sull’Iraq, condivide il nostro punto di vista. Anzi, sono state la Germania e la Francia a prendere posizione sull’Iraq prima che noi ci unissimo a loro, e non il contrario. Si è detto che il nostro punto di vista era sbagliato. I fatti hanno dimostrato che con la forza non si risolve nulla. È impossibile. Non può esistere un monopolio negli affari internazionali. Nel mondo non c’è posto per una struttura monolitica, né per un impero, né per un solo padrone. Questi problemi possono essere risolti efficacemente solo in modo multilaterale, sulla base del diritto internazionale. La legge del più forte non porta a niente. Se si continua su questa strada ci saranno così tanti conflitti che nessuno Stato disporrà di risorse sufficienti a risolverli.
Nelle nostre relazioni con gli Stati Uniti ci sono più aspetti positivi che divergenze. Per esempio gli scambi commerciali crescono di anno in anno. Abbiamo molti interessi comuni sulle grandi questioni internazionali, soprattutto in merito alla non-proliferazione delle armi nucleari. Lì siamo completamente d’accordo. La lotta contro il terrorismo viene spesso condotta in modo poco visibile, ma sta diventando sempre più efficace. Con Bush ho avuto un incontro recente, a Soči. Ho potuto così ringraziarlo per la collaborazione tra i nostri servizi nella lotta contro il terrorismo. Non abbiamo grandi divergenze sul nucleare iraniano.
La Russia è membro del Consiglio di sicurezza: agiamo in accordo con il Consiglio e votiamo all’unanimità le sue risoluzioni. Detto questo, come recita l’articolo 41 del capitolo 7 della carta delle Nazioni Unite, tutto quello che abbiamo intrapreso non presuppone l’uso della forza. A Washington si esprimono punti di vista diversi. Grazie a dio non è stata decisa alcuna azione militare. Speriamo che non vi si arrivi mai. Comprendiamo che dobbiamo risolvere insieme questo problema. Dunque sì, abbiamo delle divergenze, ma l’atmosfera di cooperazione e la fiducia reciproca sono tali da darci delle speranze per il futuro. Ed è proprio questo, tra l’altro, che ci ha permesso di firmare a Soči una dichiarazione sulla collaborazione a lungo termine tra i nostri paesi.
La Russia non ha riconosciuto l’indipendenza dell’Ossezia Meridionale e dell’Abchazia, ma ha rafforzato il controllo sulle due regioni separatiste. Perché non siete soddisfatti dell’attuale stato delle cose? Forse è la soluzione migliore.
Ha detto “separatiste”? Perché non usa questa parola per il Kosovo? Non risponde? Non risponde perché non è in grado di rispondere.
Ma in Abchazia ci sono stati molti profughi georgiani. In Kosovo è il contrario.
No, non è affatto il contrario. Migliaia, centinaia di migliaia di serbi non possono rientrare nel Kosovo. È la stessa cosa. O lei forse ha visto un ritorno dei profughi nel Kosovo? Stanno cacciando gli ultimi serbi. Non racconti storie, io so cosa succede veramente. Non siete in grado di garantire ai profughi la sicurezza e delle condizioni di vita dignitose. Dunque è esattamente la stessa cosa. Per quanto riguarda l’allontanamento della popolazione georgiana, è vero. Ma 55.000 georgiani hanno già fatto ritorno nel distretto di Gali in Abchazia. Questo processo avrebbe potuto continuare, se non ci fossero state pressioni militari da parte di Tbilisi. Sa, quando c’è stata la cosiddetta rivoluzione socialista del 1919, la Georgia si è costituita come Stato indipendente. L’Ossezia invece ha dichiarato che non voleva essere parte integrante della Georgia, che voleva restare nella Federazione Russa. Le autorità georgiane hanno intrapreso delle spedizione punitive che gli osseti ancora oggi considerano dei massacri, dei stermini. Questi conflitti hanno un carattere antico e profondo. Per risolverli bisogna armarsi di pazienza e di rispetto verso i diversi gruppi etnici del Caucaso invece di impiegare la forza.
Oggi si dice che vari aerei spia georgiani sono stati abbattuti sull’Abchazia dal sistema di difesa russo. Ma perché non si ricorda la proibizione di sorvolare queste zone? Far volare questi aerei è spionaggio. Perché fare dello spionaggio? Perché si prevedono operazioni militari. Allora cos’è, una delle due parti si prepara a uno spargimento di sangue. Vogliamo questo? Nessuno lo vuole. Perché i vari gruppi etnici abbiano voglia di convivere in un unico Stato è necessario il dialogo. Non finiremo mai di ripeterlo ai nostri interlocutori georgiani.
Il presidente georgiano Michail Saakašvili ha proposto un piano di pace per l’Abchazia con la concessione di un’ampia autonomia e la carica di vice presidente a un abchazo. Questa proposta vi trova d’accordo?
Bisogna innanzitutto che vada bene agli abchazi. Com’è cominciato il conflitto etnico? Dopo il crollo dell’Unione Sovietica Tbilisi ha soppresso l’autonomia di queste repubbliche. Cosa l’ha spinta a farlo? Perché l’ha fatto? Così hanno avuto inizio il conflitto etnico e la guerra. Adesso [i georgiani] dicono che sono pronti a fare marcia indietro: “Vi restituiamo l’autonomia che vi abbiamo tolto anni fa”. Ma è chiaro che gli abchazi diffidano. Pensano che tra qualche anno li priveranno nuovamente di qualcosa. (…) Noi abbiamo aiutato quei 55.000 profughi georgiani a ritornare in Abchazia, nel distretto di Gali. L’abbiamo fatto. Abbiamo convinto gli abchazi a lasciarli passare e a garantire loro condizioni di vita normali. È la Russia che l’ha chiesto alle autorità abchaze. Ve lo dico in tutta sincerità, me ne sono occupato personalmente. Ho rivolto personalmente la richiesta alle autorità abchaze, e loro l’hanno fatto. Abbiamo elaborato un piano comune di sviluppo energetico, di cooperazione transfrontaliera, di costruzioni, di infrastrutture. Abbiamo perfino deciso di ricostruire le ferrovie. Dopo le ultime dimostrazioni di forza si è fermato tutto. Le elezioni [in Georgia] si avvicinavano, bisognava dimostrare che si poteva risolvere tutto. Questo genere di cose, che dura da secoli, non si adatta ai tempi e ai modi della politica interna. Non ne può uscire niente di buono. Spero che il piano proposto da Michail Saakašvili entrerà gradualmente in vigore, perché nell’insieme è giusto. Però bisogna che l’altra parte sia d’accordo. È necessario il dialogo.
Un’ultima domanda, di carattere generale: come vorrebbe vedere la Russia del futuro, ha un piano in mente?
Abbiamo già proposto un piano concreto di sviluppo della Russia fino al 2020. Abbiamo contato sul fatto che la struttura della nostra economia possa cambiare in maniera sostanziale e che l’innovazione svolga un ruolo molto più rilevante. Tenendo conto della quantità delle nostre risorse minerarie, la sfera dell’innovazione dovrà avere un ruolo ben maggiore, se non predominante. Contiamo sul fatto che le stesse infrastrutture del potere e della finanza si possano conformare ai nuovi tempi. Che saremo in grado di creare un sistema politico efficace e vitale capace di reagire a tutto ciò che accade nel paese e nel mondo. Che saremo in grado di creare con la politica estera condizioni tali da permettere al nostro paese di svilupparsi in modo efficace e intensivo, di essere competitivo, per far sì che i nostri cittadini si sentano al sicuro e possano programmare con fiducia il proprio futuro e quello delle loro famiglie.
Traduzione di Manuela Vittorelli