( )iscorso ( )residenziale. Croce senza delizia…
scritto da Andrea Berlendis
Mi prendo la libertà ortografica del titolo, quasi di ascendenza futuristica, per stare al passo con l’arbitrio con cui nel (d)iscorso (p)residenziale del 31 dicembre 2012, è stato effettuato un accostamento arbitrario rappresentato emblematicamente nel seguente passaggio: “Le elezioni parlamentari sono per eccellenza il momento della politica. Un grande intellettuale e studioso italiano del Novecento, Benedetto Croce, disse, all’indomani della caduta del fascismo ‘Senza politica, nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica attuazione’.”1 Ero infatti curioso di vedere a quale citazione di sostegno avrebbe ricorso: nessuna pertinente rispetto al ‘come son belle le elezioni’ (per dirla con Gaber), visto che Croce in suo rilevante saggio dal titolo ‘L’ufficio ideale del suffragio universale’ esordiva sarcasticamente così: “Tra le molte cose che danno pensiero e rattristano circa le condizioni presenti della società ce n’è una che, quantunque non sia la meno lamentata e inquietante, mi lascia a un dipresso indifferente: la chiamata delle ‘masse’ all’elettorato politico, abolita la distinzione dei sessi dopo aver abolita quella di alfabetici e analfabetici.”2 Inoltre l’accostamento tra Croce e l’esaltazione del momento (magico) elettorale è inappropriato anche per la suggerita visione angelica delle modalità con cui il consenso, attraverso il suffragio elettorale, è prodotto, e che Croce sapeva bene essere invece ottenuto “con le persuasioni, le esortazioni, le invettive, con le fandonie altresì che si dicono e anche con argomenti di carattere non vocale, di cui tutti parlano persino esagerandone l’importanza e che si suole designare nel loro complesso come corruzione elettorale”.3. Ma soprattutto, ed è il punto decisivo, l’accostamento è mistificante se ci si riferisce a ciò che Croce immaginava fosse la consistenza ed il precipuo significato del procedimento elettorale rispetto al dipanarsi dei processi storici reali: “L’elettorato, cioè la presunzione che gli uomini col contare i loro sì e i loro no e con l’accettare le proposte che raccolgano il numero maggiore di consensi, determino e regolino gli atti della loro vita o almeno della loro vita pubblica, non è, se si guarda bene, una realtà, ma una sorta di fictio juris, la quale se è scambiata per realtà porta come effetto naturale lo smarrimento”.4 Secondo Croce, al di sotto di questa fictio juris vi stava un preciso contenuto, che descriveva nei seguenti termini: “nella nostra presente Italia come in altri paesi a noi affini di larga democrazia, abbiamo tutte le agitazioni, tutti gli scioperi, tutte le inquietudini, tutte le minacce che tale forma politica comporta; ma chi se non uno spirito irriflessivo e un animo ignobile vorrebbe che vi si ponesse termine per il comodo di una fantastica pace sociale, che è la maggiore delle menzogne che si possano dire agli uomini? Per intanto, si respira nella libertà, si propugnano le proprie ragioni, si accettano quelle altrui che si riconoscono fondate e che integrano la nostra; e finchè questo dura, finchè questo sapremo tenere saldo, non manca l’essenziale e fondamentale per la vita. Tale è il jus di quella fictio juris, la verità di quel simboleggiamento di universale votazione, di maggioranza e di accettazione del responso di maggioranza. Ma scambiare quel simbolo e quella fictio per la realtà della storia è una ingenuità di ingenui o una storditezza di disattenti.”5 Croce precisa ancora meglio i contorni di tale ‘realtà della storia’ rispetto alla ‘finzione giuridica’ costituita dalle votazioni, mediante la seguente esemplificazione: “Per esempio, un uomo di scienza che, dopo lunga preparazione nella storia del pensiero a lui precedente e che egli ha accolto in sè, viene a porsi un nuovo problema e a formulare una nuova soluzione, afferma una verità nuova. Ma, come prima in sè stesso, nel suo travaglio, così ora è giunto a un risultato enunciabile incontrerà resistenze o rifiuti in altri o nei più, con che la verità non si arresta e non muore, ma inizia la sua vita sociale, nella quale con maggiore o minore rapidità sopravvengono altri, pochi dapprima ma di numero crescente, che intendono i termini del suo problema, colgono la sua verità e la congiungono coi problemi affini in cui sono stati impegnati, e quella verità si diffonde, si arricchisce, si chiarifica, produce nuovi problemi, finchè entra stabilmente nella nuova cultura e ha le sue risonanze più o meno forti in ogni parte di essa.”.6 Per Croce questo esempio dell’affermarsi di una verità scientifica illustra l’incedere dei processi storici reali, insieme di azioni, reazioni, conflitti per cui “queste cose e l’intreccio di esse tutte compongono il moto storico della progrediente civiltà; e questo moto è individuale e universale insieme e in esso non si procede già per votazioni e somme di voti e risultati di maggioranza, che per sè sono impotenti a produrla, ma per il vigore dei singoli, per le virtù della loro mente e del loro cuore, per lo spirito che tutti variamente li anima; onde tutti vi possono partecipare ma differenziati secondo capacità e congiunture; perfino vi partecipano i demagoghi, che si tirano dietro grossi gruppi, ritagliati nella massa, e perciò più efficaci, perchè anche la demagogia è una capacità. La fictio non crea la storia, perchè non è realtà.”7
Se, in generale, le elezioni sono il clou dell’effervescente democrazia elettoralistica, perché si assiste al tentativo dei diversi gruppi di dominanti in conflitto rispetto alle prossime elezioni per far sì che il momento elettorale sia più che mai assimilabile alla crociana fictio juris? Perché l’Italia è oggi un paese nel quale determinati gruppi di (sub)dominanti sono in competizione tra di loro per lo stesso obiettivo, che è quello di rendere complementare e interamente sottomessa la formazione sociale italiana agli interessi e alle necessità riproduttive degli assetti geopolitici decisi dai (pre)dominanti Usa, per cui la ‘nostra’ (sic!) politica è decisa da detti (pre)dominanti statunitensi. Ed essi vogliono che sia la stessa, tesa ad escludere, comunque e dovunque, ogni margine d’azione autonomo e minimamente sovrano, indipendentemente da quale delle palline scolorite con nomignolo accluso verrà estratta dal gioco del bussolotto elettorale. Parafrasando ancora Gaber, ‘come son balle le elezioni…’
Tutto questo all’ombra del vuoto formalismo costituzionale della sovranità, dell’interesse nazionale ecc…. Perciò, a fronte dell’apologetica Benigna paternale sulla san(t)a e robusta Costituzione, definita in tale immondo spettacolo ‘La più b(a)ella della mondo’, ritengo opportuno e congruente rifarsi invece alle parole di Gaetano Salvemini: «Da quelle scempiaggini sta uscendo la costituzione più scema che mai sia stata prodotta dai cretini in tutta la storia dell’umanità. Ti par poco farsi un’idea di quell’Himalaya di somaraggini? Un’assenza così totale di senso giuridico non si è mai vista in nessun Paese del mondo, i soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile di emendare o prima o poi quel mostro di bestialità“.8 E rispetto alla pretesa continuità della costituzione con la resistenza, Salvemini scrisse, sia per rimarcare la profonda distanza tra gli eventi resistenziali e i disegni costituzionali, sia per rendere omaggio ai partigiani (pur senza concedere nessuna esaltazione: “non tutti erano stinchi di santo”, dice) sottolineando però che essi “Meritavano di meglio che un’Assemblea costituente formata in gran maggioranza da somari, scelti non dagli elettori ma dalle camorre centrali dei partiti così detti di massa. Meritavano di meglio che quel polpettone che sarà la Costituzione della repubblica italiana: norme costituzionali che dovrebbero essere permanenti, leggi rivedibili in base alle mutevoli condizioni dei tempi, trattati internazionali che si possono e debbono sempre rinegoziare, regolamenti governativi, circolari ministeriali, articoli del codice civile, regole di procedura penale, discorsi elettorali e imparaticci di dispense universitarie.”9
Prima ancora che sopraggiungessero tali altezze metafisiche costituzionali, il giovane ufficiale inglese Norman Lewis, che entrò a Napoli con i nuovi occupanti, detti ‘liberatori’, della Quinta Armata americana nel 1943, aveva già illustrato la ‘bellezza’ della democrazia all’americana (quella della società dei funzionari del capitale) descrivendola magistralmente così nelle note del suo diario: “E alla fine, cosa ci guadagneranno? La rinascita della democrazia. La fulgida prospettiva di poter un giorno scegliere i propri governanti da una lista di potenti, la cui corruzione nella maggior parte dei casi è notoria e accettata con stanca rassegnazione.”10
Auguri di buon ano [Non è un errore ortografico; NdA] a tutti coloro che vorranno continuare a prostrarsi per godersi fino in fondo questa democrazia!
1 Napolitano ‘Messaggio di fine anno’ http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2600
2 Croce ‘L’ufficio ideale del suffragio universale.’ Quaderni della ‘Critica’ novembre 1950 n° 17-18
3 Croce ‘L’ufficio ideale del suffragio universale.’ Quaderni della ‘Critica’ novembre 1950 n° 17-18
4 Croce ‘L’ufficio ideale del suffragio universale.’ Quaderni della ‘Critica’ novembre 1950 n° 17-18
5 Croce ‘L’ufficio ideale del suffragio universale.’ Quaderni della ‘Critica’ novembre 1950 n° 17-18
6 Croce ‘L’ufficio ideale del suffragio universale.’ Quaderni della ‘Critica’ novembre 1950 n° 17-18