KIEV STA PERDENDO LA PARTITA
Mentre continua la guerra in Ucraina aumentano le nostre domande sulle scelte russe, circa il conflitto alle sue porte, che spesso ci appaiono indecifrabili, perché, in realtà, non abbiamo ancora compreso appieno la reale posta in palio di questa partita.
Qualcuno ha voluto vedere nell’avversione della Russia a farsi coinvolgere direttamente sullo scenario ucraino un segno di debolezza. Qualcun altro ha, invece, evidenziato la giustezza di tale opzione, quella di non invadere l’ex satellite, per non esporsi ai pretesti degli Stati Uniti, i quali non aspettano altro per scatenare la III Guerra mondiale e risolvere così i propri problemi economici.
Sono tutte sciocchezze. Personalmente, condivido quanto affermato tanto dall’economista Gianfranco La Grassa che dall’analista Germano Dottori sulla vicenda. Gianfranco La Grassa ha detto che, in verità, l’obiettivo degli americani è sì quello di limitare il rafforzamento ad est della Russia, ma, soprattutto, quello di mettere un altro piede in Europa per tenere sotto controllo le tendenze sovraniste che vanno sviluppandosi in Paesi come Germania e Francia. Dottori sostiene la medesima cosa – “L’Occidente, infatti, non è più così coeso come in passato” – ed aggiunge che gli americani non muoveranno mai un dito per l’Ucraina…”pur fornendo tutte le garanzie immaginabili a polacchi, baltici, cechi, rumeni, bulgari eccetera”. Questo è il nocciolo della questione che rende la strategia statunitense più chiara e razionale: il posizionamento rafforzativo nei territori della zolla a ridosso della Russia è un fondamentale punto di osservazione delle dinamiche geopolitiche di tutta l’Eurasia, con o senza l’Ucraina. La Casa Bianca, sulla scia di questa visione, ha annunciato l’installazione di una base Nato in Polonia, che dovrebbe essere la più grande d’Europa, proprio per consolidare i suoi propositi.
E veniamo ora alla situazione conflittuale tra le province separatiste del Donbass e Kiev. L’evoluzione degli eventi non è positiva per il governo ed il tempo sta giocando a favore degli indipendentisti. Poroshenko, dopo aver fornito rassicurazioni ai partner internazionali e agli organismi mondiali, che lo stanno sostenendo finanziariamente, ha tradito le aspettative. Non è stato in grado di chiudere la faccenda con i miliziani in poche settimane, come precedentemente annunciato ed ha avviato una fantomatica terza fase della guerra richiamando tutti gli uomini fino ai 45 anni. Non è un bel segnale perché Kiev ha già utilizzando gran parte delle sue risorse militari senza evidenti conquiste strategiche.
Il Presidente oligarca aveva promesso la vittoria entro il 1 Luglio, ma siamo già alla fine del mese e l’autunno si avvicina pericolosamente. L’Ucraina ha perso centinaia di soldati, i feriti sono migliaia. I miliziani sono stati in grado di distruggere più di cinquanta carri armati e moltissimi cannoni e mortai. Alcuni battaglioni di Kiev sono bloccati a Sud, al confine con la Russia, e si stanno arrendendo consegnandosi al vicinante. E’ una sconfitta militare pesantissima dalla quale i regolari non si riprenderanno facilmente a meno dell’arrivo di rinforzi addestrati ed equipaggiati, cioè stranieri. Nel frattempo sta precipitando la situazione economica. Il gas scarseggia, le riserve sono quasi prosciugate e Yatsniuk, dimettendosi da Premier, qualche giorno fa, si è lamentato di non poter più pagare pensioni e stipendi, nemmeno ai soldati. Finché la guerra patrottica perdura questi problemi economici possono essere giustificati agli occhi della popolazione, dopo sarà più complicato, anche perché il malcontento è già cominciato a serpeggiare in molti settori sociali.
Gli esperti prevedono che a Settembre i malumori diventeranno nuove proteste di piazza. Poroshenko, ovviamente, teme come la peste tale epilogo e cerca di spremere al massimo tutte le forze a sua disposizione per giungere ad una conclusione vittoriosa. Il suo problema è riassumibile in poche parole: trionfo ad ogni costo o disfatta totale. Tuttavia, il Presidente, se vuole raggiungere l’obbiettivo, dovrà triplicare il numero di militari impegnati sul teatro di guerra e almeno raddoppiare armi ed equipaggiamenti pesanti. Kiev conta sugli aiuti di Polonia, Stati Uniti e Regno Unito e spera di vedersi riconosciuta lo status di partner militare della NATO. Il congresso americano sta spingendo in questo senso ma difficilmente accadrà. I costi per gli Usa sarebbero più alti dei benefici, tenendo conto degli investimenti militari già previsti in Polonia e della capacità dei russi di continuare a destabilizzare il Paese.
Il Donbass sta resistendo bene agli attacchi dell’esercito, anche se a questo punto della guerra dovrebbero aumentare i rifornimenti dalla Russia che, da quel che ne so, arriveranno copiosi fino all’autunno (mezzi e altri uomini). Il Cremlino insisterà su questa decisione per tutelare i propri interessi nazionali contro l’“invasione” americana. Nessuno, difatti, può credere realmente che questa guerra sia tra i vertici ucraini e quelli russi. Come abbiamo scritto più volte, si tratta di un conflitto per interposte potenze e nemmeno solo due. Dottori, nella nostra intervista di qualche giorno, fa lo ha sottolineato. Il prossimo passo di Putin dovrà essere, dunque, più assertivo. Sostegno dichiarato al Donbass e possibile riconoscimento della Repubblica della Novorossjia. Quest’ultimo non avverrà però prima dell’inverno, quando ormai il crollo di Kiev sarà inevitabile. Più complicati saranno i destini dell’Ovest della nazione, dove si profila uno scenario afghano di perdurante instabilità. Non conosciamo i programmi di Mosca su questa parte del Paese. Sta di fatto che il collasso economico e sociale proporrà gravi dilemmi a Mosca. Gli Usa potranno anche disinteressarsi dei guai combinati, i russi no e dovranno mettersi in cerca di una soluzione efficace. E’ possibile che il Cremlino convinca l’Europa ad accollarsi una fetta di responsabilità per ridurre il caos a Kiev, attivando misure di sostegno condivise ed equamente suddivise nel conquibus. Del resto, esiste già un accordo di associazione tra l’Ue e l’Ucraina, il quale, pur non essendo garanzia di integrazione nell’Unione, può diventare strumento di consolidamento dell’economia di Kiev. Insomma, Putin passerà alla cassa dopo le umiliazioni delle sanzioni alle quali l’Europa si è scioccamente accodata per assecondare gli Usa.
Arrivare a questi risultati sarà una momentanea vittoria per i russi, i quali, tenendo legati a sé i membri più importanti dell’UE, dovranno incominciare ad approntare una strategia più decisa verso gli stati baltici e quelli più grandi dell’ex patto di Varsavia (Polonia e Romania su tutti) che garantiscono una solida sponda ai piani militari statunitensi, mettendo in imbarazzo e difficoltà la stessa Unione. Qui si incontreranno gli interessi strategici di Ue e Russia. Speriamo che Berlino e Parigi li colgano in fretta.