L’UNDICI SETTEMBRE IN MONDOVISIONE

Che indecenza. Guardando le commemorazioni dell’undici settembre negli Usa ed in tutto il mondo, ti rendi conto di quel che può produrre il condensato di ideologia e controllo sui mass media globali. Le vittime dell’attentato alle Twin Towers alimentano, ancora dopo dieci anni, la medesima commozione a reti unificate di autoctoni e di popolazioni vassalle ed accodate. Tutto ciò perché quell’evento, riprodotto all’infinito sugli schermi televisivi dell’intero pianeta, è diventato il ricordo in pixel di una coscienza collettiva satellitare, smontata e rimontata in uno studio ovale, a sostegno del vittimismo occidentale. Il taglio delle scene di antefatto dalla pellicola geopolitica intercontinentale assicura la deresponsabilizzazione epocale ed il lieto fine hollywoodiano, imbottito di eroismo dei sopravvissuti e d’innocenza dei deceduti. I buoni hanno subito delle perdite ma alle fine vinceranno la battaglia contro le forze del male perché con loro c’è dio e lo scudo stellare. In tal maniera si costruisce quella memoria telecomandata, ripulita delle cattive condotte imperiali che generano legittime e tragiche reazioni internazionali, ad uso e consumo delle pubbliche opinioni delle potenze principali. Parliamo, ovviamente, di un episodio non puramente virtuale ma reale e drammatico costato la vita di molti incolpevoli, diventato però un set di propaganda cinematografica finalizzato a giustificare la decennale aggressione americana contro i popoli che resistono al dominio atlantico. Poiché le cose stanno in questi termini, poiché la mistificazione è assurta al rango di verità assoluta, poiché non è possibile nemmeno tentare di fornire una versione evenemenziale meno parziale, senza essere tacciati di antiamericanismo e antioccidentalismo, ci si vede costretti a scendere al loro livello derubricando la Storia a necrologio e la diatriba politica ad obitorio. Ma occorre andare all’inferno per fare i conti col demonio. Ed così che scopriamo che i camposanti altrui sono pieni di inermi sacrificati per il perpetuamento dell’american way of life, dall’Iraq all’Afghanistan, dall’Africa al Medio-Oriente. E’ vero che l’attacco al cuore dell’America è stato un avvenimento dalla carica simbolica senza precedenti ma ciò non cancella il comportamento secolare degli States i quali, per affermare la propria visione egemonica, hanno distrutto e massacrato in ogni angolo del pianeta. Anche i simboli hanno il loro codice di decrittamento ed è meglio che accettiamo il fatto che i nostri funerali possano non provocare lo stesso dolore a Tripoli, a Kabul o a Bagdad dove abbiamo seminato vento per raccogliere tempesta. I morti della guerra al terrore sono migliaia, le cifre ballano, ma si parla di una carneficina che si aggira tra i 300.000 e i 700.000 caduti. Il rapporto è di uno a 100, tenendosi bassi. Qualcosa vorrà pur dire, oppure i nostri defunti pesano di più perché noi siamo l’umanità bella, libera e democratica mentre gli altri appartengono alla subumanità brutta sporca e cattiva? Malauguratamente per Bush e Obama, la Storia non tiene in considerazione le opinioni e le convinzioni dei Presidenti e delle loro amministrazioni, non privilegia le lacrime che scorrono sulla pelle bianca di madri vestite all’ultima moda anzichè in chador, né i lamenti dei padri alla guida di spider e fuoriserie invece che di cammelli e cavalli berberi . La Storia scorre sul sangue ed il sangue è di un solo colore. I nostri dipartiti (che sono molti meno perchè chi attacca subisce meno) pesano quanto i loro, nonostante i fiori, nonostante le celebrazioni in mondovisione. E tanto vale per l’israeliano ed il pakistano, l’induista ed il musulmano, il general manager americano ed il coltivatore di oppio afghano.