La banca non è la sede dell’inferno.
Una banca è un’impresa. Tratta una merce particolare come il denaro (duplicato della merce) ma ha come scopo, come tutte le altre imprese, quello di accrescere i ricavi e ridurre i costi, ovvero massimizzare i profitti (secondo la nota logica della razionalità strumentale). Fare più denaro col denaro, attraverso prodotti finanziari di vario tipo che devono essere venduti sul mercato per realizzare il (plus)valore in essi contenuto e, dunque, il profitto di chi la guida o la possiede (anche attraverso pacchetti azionari) e di chi “presta” i suoi soldi all’istituto, in cambio di una percentuale (l’interesse). La banca è una delle organizzazioni che operano nella sfera finanziaria, è forse il simbolo principale di detta sfera nell’immaginario collettivo, ma oramai, quando parliamo di ambito finanziario, ci riferiamo a molti apparati che trattano della liquidità in modalità svariate. Le banche occupano una parte di questo spazio insieme ad altre istituzioni similari con compiti differenziati.
Scrive La Grassa: “Lo sfruttamento, cioè l’estrazione di pluslavoro/plusvalore, resta alla base della produzione di ricchezza nella sua forma capitalistica. Quest’ultima assume la figura generale della ricchezza monetaria, con la formazione di apparati appositi che la gestiscono nella consueta forma capitalistica delle diverse imprese fra loro in competizione, che si presentano allora nel duplice aspetto (le due facce della medaglia) della produzione e della finanza. Tali imprese sono corpi lavorativi organizzati sotto la direzione costituita dagli apparati manageriali (proprietari o meno che siano dei pacchetti azionari di comando)”.
Nell’economia capitalistica non si può fare a meno della sfera finanziaria che si sviluppa come conseguenza della forma di merce assunta dai prodotti del lavoro umano (compresa la forza lavorativa umana stessa). Tutte le merci assumono la veste di equivalenti particolari del denaro e quest’ultimo diventa il loro l’equivalente generale. Come scrive Marx nel Capitale: “La forma di denaro è soltanto il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci”. In una società di scambio mercantile generalizzato i “giochi” intorno all’equivalente generale delle merci si autonomizzano e sembrano sembrano svilupparsi a parte, staccati dal contesto complessivo della produzione di merci. Ma questi “giochi” non rappresentano un modo come un altro per raggirare la collettività produttiva, la capacità della finanza di muovere grandi somme di danaro consente alle imprese che operano nella sfera “concreta” della produzione di compiere investimenti giganteschi che con le proprie risorse non coprirebbero mai. Ergo, chi sostiene che la finanza svolge un ruolo parassitario o usuraio dice una sciocchezza, benché è indubitabile che i parassiti e gli usurai si aggirino, come presenze reali, in tale regno. Questo concetto non così enigmatico era chiaro anche ad un letterato come Zola: “…la speculazione e il gioco in borsa sono il meccanismo centrale, il cuore stesso di una grande impresa come la nostra. Sì! Richiamano il sangue, lo ricevono da ogni parte in piccoli rivoli, lo raccolgono, lo diffondono poi a fiumi in tutte le direzioni, creando un’enorme circolazione di denaro, che è la vita stessa delle grandi imprese. Senza denaro, sarebbero assolutamente impossibile…E’ il caso delle società anonime: quanto chiasso si è fatto contro di esse, quanto si è detto e ripetuto che erano bische e luoghi malfamati. La verità è che senza società anonime non avremmo le ferrovie, né alcune di quelle enormi imprese moderne che hanno rinnovato il mondo, perché nessun capitale sarebbe stato sufficiente a portarle a termine, come nessun individuo, e neppure un gruppo di individui, avrebbero voluto correrne i rischi” (L’Argent).
La finanza è dunque necessaria nel capitalismo in quanto, come abbiamo spiegato sopra, la gran parte di ciò che è prodotto è merce che si deve scambiare mediante denaro. Senza denaro niente scambi e nemmeno investimenti, crescita, nuovi mercati e settori ecc. ecc.
La banca, tra le tante cose, attira il risparmio dei consumatori ed il denaro della clientela in vari modi con le sue diverse “merci” (promettendo interessi o dividendi a seconda del prodotto finanziario offerto e del tipo di rischio speculativo da affrontare e di cui dovrebbe essere a conoscenza il compratore). Ovviamente, il consumatore isolato e con poca forza contrattuale e relazionale spesso non capisce le dinamiche (e non conosce le strategie) che stanno dietro ai “maneggi” finanziari, esponendosi all’azzardo e alla manipolazione. In ogni caso, chi acquista un prodotto da una banca dovrebbe sapere a quali vantaggi o pericoli va incontro ed anche se il consulente assicura che tutto filerà liscio meglio lasciar perdere se non si è sicuri di poter calcolare gli eventualidanni. Una banca, come qualsiasi altra impresa all’interno di un sistema di tipo capitalistico, non fa beneficenza, corre e fa correre dei rischi per incrementare i suoi guadagni e quelli di chi ad essa affida i suoi “fondi”. Se i suoi “investimenti” vanno bene tutti sono più o meno felici (o, quanto meno nessuno, si lamenta), se vanno male gli scontenti o i “raggirati” diventano tanti ( mentre i grandi speculatori, anche associati, solitamente riescono a minimizzare le perdite o a non subirne per maggiore conoscenza dei meccanismi e per la possibilità di differenziare le scommesse). E’ vero che gli apparati bancari, per piazzare velocemente i propri articoli, tendono ad esaltare le virtù della loro merce e a nasconderne i “difetti”. Ma quale produttore non lo fa? Generalmente, ogni cosa si svolge secondo le consuete regole del mercato (è il mercato bellezza…dicono i suoi sostenitori) nel senso che le truffe (se davvero sono tali) devono essere considerate un’eccezione, anche se si ripetono parecchie volte. Accade in ogni settore commerciale, materiale o immateriale che sia. Un macellaio mi rifornisce di buona carne perché spera che io torni ad acquistare da lui, certamente, esistono anche gli imbroglioni che ti rifilano il pacco ma non sono mai la maggioranza (“Non é dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi.” Smith). Anche le imprese che operano nei settori “fisici” imbrogliano, falliscono e possono far perdere molti denari ai fornitori e ai loro addetti e lavoranti. Sia volontariamente che involontariamente, a causa di programmi e previsioni sbagliate, inefficienze, incapacità di stare dietro alla tecnologia, ecc. ecc. Ma la regola non è la fregatura, altrimenti il sistema non reggerebbe, infatti, dietro a questo grande “accumulo di merci”, c’è un rapporto sociale ben collaudato, meglio funzionante di qualsiasi frode. Insomma, una banca non è peggio (o meglio) di una fabbrica eppure in giro ci sono tantissimi scimuniti che appena vedono apparire un banchiere gridano al demonio. La bancarotta non è il risultato di un’azione demoniaca ma una eventualità nel nostro tipo di società. Lo scandalo non dovrebbe essere superiore a quello di una grande fabbrica che chiude i battenti. Ci piacerebbe sempre vedere i veri colpevoli (se hanno fregato) dietro alle sbarre, questo sì, ma non ci contate troppo. Pescecane non mangia pescecane e quasi solo i pesci piccoli finiscono nella rete.
Molti gabbati dalle banche, come possiamo anche sentire in questi giorni intorno ai casi di BancaEtruria, Banca Marche, CariFerrara, CariChieti, lamentano la mancata trasparenza degli istituti sui titoli tossici che sono stati loro piazzati (immaginiamo a tassi di rendimento più elevati del normale, ciò non doveva suonare come un campanello d’allarme?). Questo sinceramente fa male e ci dispiace perché la crisi sta già mettendo il paese in ginocchio ma: “…I rischi! Lì sta tutto il problema, e anche la grandezza dello scopo. Ci vuole un progetto grandioso, la cui grandezza seduca l’immaginazione, ci vuole la speranza in un guadagno sostanzioso, che decuplichi l’esborso, quando non lo porta via; e allora le passioni divampano, la vita affluisce, ognuno porta il suo denaro, potete riplasmare a modo vostro la faccia della terra! Che male ci vedete? I rischi si corrono volontariamente, e sono divi tra un infinito numero di persone, rischi ineguali e limitati, a seconda della fortuna e dell’audacia di ciascuno. Si perde, ma anche si vince, si spera di estrarre un numero buono, ma ci si deve aspettare di estrarne uno cattivo, e il sogno più ardente, più ostinato dell’umanità sarà sempre questo: tentare la sorte, ottenere tutto dal proprio capriccio, essere re, essere Fio!…La speculazione rovina soltanto gli inetti…La speculazione è l’incentivo della vita, è l’eterna aspirazione che spinge a lottare e a vivere…Pensate forse che senza lussuria si farebbero molti bambini? Su cento bambini che si potrebbero fare, capiti che se ne fabbrichi appena uno. E’ l’eccesso che genera il necessario…Senza la speculazione non si farebbero affari. Perché diavolo pensate che tiri fuori i soldi, che rischi di perdere la mia ricchezza se non mi ripromettessi un piacere straordinario, una felicità improvvisa che mi spalanchi il cielo? Col compenso legittimo e mediocre del lavoro, il saggio equilibrio delle transazioni quotidiane, l’esistenza diventa un deserto di una terribile piattezza, una palude in cui l’energia affonda e imputridisce. Se invece, all’improvviso, fate risplendere all’orizzonte un sogno, promette che con un soldo, se ne vinceranno cento, offrite a tutti quegli addormentati nella palude di mettersi a caccia dell’impossibile, se parlate loro dei milioni conquistati in due ore, in mezzo ai rischi più terribili, vedrete che la corsa comincia subito, le energie sono moltiplicate, il parapiglia è tale che la gente sgobbando per il puro piacere di sgobbare, riesce talvolta a fare dei bambini, cioè delle cose grandi, belle, ricche di vita…Ah, perbacco! E’ vero che ci sono tante porcherie inutili, ma è anche vero che, senza quelle porcherie, il mondo finirebbe.” (L’Argent).