LA BATTAGLIA DELLA GRANA di R.D.

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La crisi europea è generata da un risucchio finanziario americano dovuto alla necessità di liquidità da parte degli USA. Gli USA hanno attualmente solo minime possibilità di reperire risorse finanziarie in altre parti   del   mondo,   tanto   con   manovre   speculative,   impedite  dalla   presenza   cinese,   quanto   con soluzioni militari, interdette dalla presenza russa (o neo – sovietica). L’Europa resta dunque l’unica area geo – politica sufficientemente ricca ed abbastanza disomogenea, a cui poter fare ricorso.
Esiste anche un ulteriore elemento che ha per certi aspetti esasperato, questo attacco degli USA contro l’Europa: la possibilità che il peso dell’enorme debito pubblico americano intacchi il dominio,   per   ora   incontrastato,   del   dollaro   come   moneta   unica   di   scambio   internazionale, favorendone la sostituzione proprio con l’euro. I nemici del dollaro sono noti: Russia e Cina in primo luogo, ma anche India, Brasile, Venezuela, Iran. I russi hanno già da tempo avanzato proposte nella  direzione  dell’assunzione  dell’euro  come moneta  di  scambio internazionale. Una  moneta abbastanza forte economicamente da offrire adeguate garanzie di tenuta ed abbastanza debole politicamente da non costituire un pericolo immediato di predominio strategico. Un connubio quasi perfetto   in   questa   (iniziale)   fase  di  disordine  multipolare.   Un  rischio   grave  per   gli   USA,  da annullare ad ogni costo.Gli USA si trovano in una fase di acuta crisi di scelta strategica, oscillanti tra percorsi di penetrazione politica e di intervento militare diretto. L’interventismo armato limita il campo delle alleanze agli immediati vassalli, stimola l’aggressività degli avversari e ne incoraggia le reciproche
alleanze in funzione anti – americana. D’altra parte, la penetrazione politica, dopo gli iniziali successi in Italia (facile) e della “Primavera Araba”, tendono a rivelarsi di lenta attuazione e con risvolti poco prevedibili e di difficile gestione. Resta tuttavia un filo conduttore tattico: l’azione preventiva. Nell’intervento militare la questione è stata esplicitamente postulata come “Guerra Preventiva”.   Nell’ambito   della   penetrazione   politica,   l’atteggiamento   appare   ovviamente   più sfumato,   ma   proprio   la   cosiddetta   “Primavera   Araba”,   ne   rappresenta   un   esempio   chiaro.
Rovesciamento di regimi “amici”, mascherato da “lotta per la democrazia”, colti in fasi di crisi interna ancora in via di maturazione. Percorsi di vera e propria destabilizzazione di regimi “nemici”, con eventuale accompagnamento militare, meglio se indiretto, cioè agito da Stati vassalli, come nel caso della Libia, o in quello, ancora molto controverso, della Siria. “Azione   Preventiva”   è   anche   il   filo   conduttore   dell’aggressione   finanziaria   all’Europa. L’Europa è sotto il dominio politico – militare americano dalla fine della II Guerra Mondiale. La fine dell’URSS ha eliminato la patina ideologica che giustificava l’esistenza di questo dominio. Da allora   la   presenza   USA   in   Europa   è   stata   semplicemente   quella   di   una   forza   padrona. Contrariamente a ciò che si tenta di far credere ai cittadini (pecore) europei, gli interessi strategici di  medio – lungo periodo tra USA e Stati europei, non sono affatto convergenti. Gli Stati europei, nel loro insieme, al di là delle reciproche concorrenze, hanno interesse ad un consolidamento dei
rapporti politico – economici sia con la Russia che con la Cina. Hanno scarsissimo interesse al predominio   israeliano   nell’area   mediorientale,   non   hanno   pressoché   nessun   interesse   ad   una esasperata  militarizzazione  dei   rapporti   internazionali.   L’esatto   contrario   degli  USA,   a   cui  va aggiunto per l’appunto, l’essenziale interesse degli Stati Uniti a non permettere alla moneta unica europea, l’assunzione di un ruolo centrale. Il dislivello strategico tra USA ed Europa rende più acuta la crisi e l’aggressività dei primi. L’apparente allentamento della tensione di queste ultime settimane è semplicemente dovuto allo scadere del periodo presidenziale americano. Non appena questo avrà termine, con la vittoria, netta ma non schiacciante, di Obama, la tensione tornerà rapidamente a salire.
Gli Stati Uniti hanno bisogno di un imponente incremento di risorse interne necessarie a finanziare l’esercito e la ricerca scientifico – tecnologica. Campi nei quali sono tutt’ora preminenti e che risulteranno decisivi nei conflitti per la supremazia dei prossimi decenni. Essi hanno anche bisogno di allentare la pressione della crisi economica sulle classi meno abbienti e/o legate ad un reddito fisso, al fine di mantenere un accettabile livello di coesione nazionale. L’Europa ne risulterà spogliata. Tuttavia non tutti gli Stati europei subiranno sorti analoghe.
La   Germania   in   particolare,   risulta  al   momento   inattaccabile.   Il   tentativo,   piuttosto   rozzo,   di coinvolgerla attraverso il tracollo greco, è risultato fallimentare. La Germania è potente, coesa e dotata di una classe dirigente politico – economica indipendente e fortemente nazionalista. La sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente mancanza di un esercito (come pure la presenza di forze militari straniere sul suo territorio), non costituiscono al momento un handicap.
Anzi,   avendo   la   fine   dell’URSS   determinato   l’allontanamento   dell’esercito   russo   dal   territorio tedesco e non costituendo la Germania un pericolo militare per l’Est, per la prima volta dopo oltre mille anni, le possibilità di un quadro generale d’intesa tattica tra una nuova Grande Germania ed una Russia neo – sovietica, risultano esponenzialmente accresciute.
Semmai, a sfavore dei tedeschi gioca come sempre, la naturale tendenza a manifestare il proprio predominio in modo brutale, senza sfumature. Vedi lo schiaffo in faccia rifilato all’Italia con la sentenza di assoluzione per la strage di S. Anna di Stazzema, per la quale la Procura di Stoccarda ha   stabilito   che   non   è  stato   possibile   accertare  con   sicurezza   se  la   strage  sia   stata   un   atto programmato   o   una   semplice   azione   di   rappresaglia   nei   confronti   della   popolazione   civile, composta, come si sa, di donne, vecchi e bambini. L’Italia si muove sempre più cercando di porsi al servizio della potenza USA, anche per lavori di basso rango, sperando con ciò di evitare le mazzate
più dure e naturalmente i tedeschi hanno pensato di punirla, sempre però usando i vecchi metodi. Lo stesso è accaduto con la Francia, che, essendosi discretamente esposta nella richiesta diretta di sostegno, si è sentita rispondere per bocca della Signora Merkel che la UE dovrebbe avere più poteri di intervento diretto nella politica interna degli Stati membri. Ben sapendo che l’opposizione a ciò rappresenta un “must” della politica internazionale francese fin dai tempi di De Gaulle.
Vero è che i francesi hanno da sempre modi assai arroganti e che il passo preferito dagli italiani  è  lo   strisciare,   ma  certo   gli   atteggiamenti  tedeschi  non   favoriscono   agevoli   cambi  di comportamento. In questo senso gli americani hanno parecchio da insegnare. La loro forza d’urto ideologica e culturale è impressionante ed è paragonabile, in termini di imponenza forse solo a quella Vaticana, che tuttavia ha avuto modo di esplicarsi nel corso di quasi duemila anni. In ultima analisi gli USA proveranno a spogliarci senza farci sentire troppo male. O, alla peggio, cercando di fare in modo di far ricadere le maggiori responsabilità su qualcun altro. Una vecchia tattica che a
quanto apre funziona sempre, o quasi. A proposito di Vaticano. La loro (dei preti) lotta secolare per il predominio sull’Italia, sta volgendo al termine. Epoche assai difficili il Vaticano ne ha passate molte. Ma mai prima si era vista un’associazione come quella, sempre più diretta ed esplicita, tra sacerdozio (o frequentazione
parrocchiale) e pedofilia. La stessa vicenda del cameriere personale di Benedetto XVI, il suo emergere e l’impossibilità a mantenere la consueta patina di segretezza, segna un punto di caduta di non poco conto. L’impotenza vaticana di fronte allo Scisma Anglicano del ‘500, si ripropone ora con effetti centuplicati. La forza cattolica di fronte ai dominanti politici che di volta in volta hanno attraversato il suo cammino, è sempre stata quella di fronteggiare entità che in qualche misura necessitavano del suo sostegno ideologico, tanto in politica interna che estera. Il dominante politico attuale, gli Stati Uniti d’America, non ha mai avuto bisogno di un tale sostegno, se non, in misura
molto marginale, nel periodo che va dalla fine della II Guerra Mondiale, alla caduta del Muro di Berlino e solo per quanto riguarda lo scacchiere europeo. Si tenga conto inoltre, che la centralità culturale europea è in caduta verticale e che, al contrario di ciò che tenta di sostenere la propaganda vaticana, non è la Chiesa la radice dell’identità europea, ma al contrario, è l’identità europea alla radice della Chiesa Cattolica Vaticana e della sua strutturazione storica.
La Chiesa Vaticana, con la sua innata vocazione al potere politico, si trova da sempre ad essere una testa senza corpo. Essa, nella sua esperienza plurisecolare, ben sa che i vantaggi derivanti da un primato universale, non attinente direttamente ad dominio territoriale, sono più che bilanciati dall’assenza di un solido, definito radicamento, soprattuto in periodi di conflitto multipolare quale appunto quello corrente. Per questo il Vaticano ha lungamente teso alla conquista di un proprio
Stato. Non essendo riuscito a conseguirlo, esso ha cercato, con modalità diverse, di irretire a sé il nascente Stato Italiano, alla nascita del quale si era a lungo contrapposto. L’apice di questa strategia venne raggiunto con l’insediarsi de “l’uomo della provvidenza”, Mussolini e con la regalia dei Patti Lateranensi. Il periodo successivo, conseguente alla caduta del fascismo ed all’insediamento americano in Italia, segnato dal predominio demoscristiano, fu, al contrario di tutte le apparenze, una fase di progressiva “secolarizzazione” della società italiana e quindi di allentamento della presa cattolica.
Un ultimo bagliore si è avuto nel primo decennio post – comunista, dovuto ad una fase di scarso interesse americano per lo scacchiere europeo e, forse, ad un certo riconoscimento dei meriti del pontificato woitiliano nell’accelerazione della crisi finale dell’Unione Sovietica. Nell’ambiente Vaticano, i gruppi più moderati, disposti già da tempo ad accontentarsi di un ruolo di comprimariato nello   scacchiere   politico  mondiale,   con   magari   un’occasionale   funzione  mediatrice,   sono   stati sovrastati dalle parti più oltranziste, convinte che la Chiesa Vaticana potesse, anche in quest’epoca, sviluppare un’azione di dominante tra dominanti.
Questa ambizione ha portato inevitabilmente la Chiesa Vaticana ad una frizione sempre più scoperta con gli interessi americani nell’area mediterranea. Senza peraltro consentirle una concreta conquista di posizioni in altre aree geo – politiche; Africa e Sud America in particolare. I famosi viaggi  ecumenici   di  Carol Wojtyla,   non  hanno   sortito   altri  effetti  che   quelli   di  una  effimera speculazione   mediatica.   Essi   hanno   contribuito   per   di   più,   ad   alimentare   un   serio   dissesto finanziario   che   ha   alimentato   ulteriormente   la   corruzione   e   l’impantanamento   nella   gestione economica dello IOR.  Questa del resto era già stata avviata alla fine degli anni ’70 e proseguita con la deliberazione di un massiccio sostegno al movimento sindacal – nazionalista Solidarnosc, seguita all’elezione al soglio pontificio del Papa polacco.
L’incapacità di fuoriuscire dalla sacca italiana, anziché consigliare più miti pretese ai gruppi dominanti   vaticani,   ne   ha   esasperato   ed   accelerato   le   espressioni.   Da   qui   il   ricorso   ad   un personaggio instabile ed assi rischioso come Silvio Berlusconi e l’affidamento a quest’ultimo della conduzione di politiche antilaicistiche sul fine vita, sulla procreazione e sulla ricerca genetica a livello italiano e di avvicinamento alla rinascente potenza russa, a livello internazionale, condita da una, più tradizionale, vicinanza al modo arabo, con un particolare riguardo ai rapporti con il dirimpettaio libico.
Superato un primo periodo, durato comunque quasi un decennio, di incertezza e si direbbe, di scarso interesse per le vicende mediterranee prima ancora che europee, da parte statunitense, la Chiesa Vaticana ha dovuto giocoforza subire il prepotente ritorno americano. Prima in Italia, quindi in tutta l’area sud europea e nella fascia nord – africana. Il progetto South – Stream, punta di lancia della collaborazione italo – russa, direttamente patrocinato da uomini vaticani inseriti nella grande industria   pubblica   italiana,   tutt’ora   imponente   nonostante   la   sistematica   spoliazione   seguita all’operazione “Mani Pulite”, è stato brutalmente accantonato.  Prima di ciò, si è dato inizio alla
“messa in evidenza” delle vocazioni pedofile di una più che ampia fetta di clero cattolico, italiano e non. Berlusconi poi è stato disarcionato e ad oggi, spinto all’esilio, guarda caso in Russia, anche se non con tutto il suo patrimonio, come sarebbe piaciuto a lui, pena la galera e chissà cos’altro.  Infine ci si è occupati di operazioni in Nord Africa e Medio Oriente che tra le altre cose, hanno spazzato via definitivamente il paziente lavorio per anni tessuto dai Servizi e dalla diplomazia italiani.
Non è prevedibile oggi un completo tracollo delle Chiesa Cattolica. Forza di potere ancora utile probabilmente in un prossimo futuro, ma è certo un suo definitivo declino come Potenza dominante. D’ora in poi il Vaticano non potrà più aspirare ad un rango internazionale pari o prossimo a quello degli USA, della Russia o della Cina. Nemmeno in Italia. Qui da noi dovrà, anzi ha già iniziato a, piegarsi alle scelte politiche statunitensi di breve, medio e lungo periodo. Un esercizio di sudditanza a cui la Chiesa non è abituata e che finirà inevitabilmente per minarne le fondamenta, anche se purtroppo, in un periodo non breve.
Per l’Italia questa potrebbe essere un’occasione d’oro non solo di emancipazione politica, ma anche di ridefinizione di blocchi sociali e di accrescimento culturale e mentale generale. Questo però non accadrà. Il paese attraversa uno dei momenti più bassi e disgregativi della sua storia, che pure di periodi cupi ne ha visti parecchi. Segnale inequivocabile è il progressivo divario tra Nord e Sud che da sempre accompagna e scandisce il divenire dei nostri periodi di caduta. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento inedito ed assai peggiorativo: la pesante migrazione in direzione Sud – Nord di parti di popolazione semi – acculturate ed aggressive, nate e cresciute in un  contesto  di  saccheggio   e  di spoliazione  individualistica  del  territorio.  Prive  di prospettive comunitarie e di senso del Bene Pubblico e tuttavia selettivamente specializzate nell’occupazione di posti di potere pubblici o semi – pubblici, piccoli, medi o grandi che siano.
Nulla a che vedere con la migrazione biblica degli anni ’50 e ’60. Allora si trattò di un popolo che, ricchissimo di difetti e contraddizioni, era tuttavia fondamentalmente sano e che espiantato dalle sue campagne, ebbe la forza, nel giro di pochissimi anni, di prendere coscienza di sé, insegnando a più di qualcuno, il valore della dignità e della lotta.
Certo si corre sempre il rischio di un’ingiusta generalizzazione. Molti, moltissimi, sono coloro   che   lottano   per   un   progresso   reale   del   paese,   indipendentemente   dalle   provenienze geografiche.  Tuttavia,   se   non   si   vuole   proprio   esser   ciechi,   le   cose   della   realtà   bisogne   pur guardarle. Del resto basta osservare a come sono vissute e tenute dai rispettivi abitanti le città del Centro – Sud, da Roma in giù per capirci e quelle del resto d’Italia. Sembra spesso di trovarsi in due nazioni differenti.
D’altra parte c’è un pessimo contributo che il nord d’Italia dà al paese ed è proprio il consenso,   assai  meno   largo  di  quanto  si  voglia  far   credere,  al  cosiddetto  “federalismo”  o  al “leghismo” che dir si voglia. Al di là delle consuete eccezioni, la classe politica leghista, con il suo populismo d’accatto e la sua nepotistica corruzione, rappresenta quanto di più “meridionale”, nel senso peggiore dell’accezione, il Nord possa dare alla nazione.
A parte corruzione e malafede, il leghismo opera in senso profondamente antinazionale, contribuendo non poco, con la sua precostituita contrapposizione nord – sud, a mascherare le reali carenze della parte bassa dello Stivale. Non a caso, da tempo, il leghismo concentra i suoi strali più contro Roma che  contro  il  Meridione  in  senso stretto.  Roma  in  quanto  capitale d’Italia  e  di conseguenza l’Italia come entità politica unitaria. Se consideriamo che l’unico vero elemento contro cui da sempre hanno agito, tanto la Potenza Vaticana, quanto gli interessi stranieri che hanno nel tempo guardato all’Italia, è stato l’unione politica del Paese, potremo ben capire quanto danno reale
o potenziale la politica leghista finisce per comportare.
L’unità politica e sociale dell’Italia è una pre – condizione essenziale per la sua effettiva indipendenza. Essa non è assolutamente sufficiente a questo scopo, ma ne rappresenta il requisito essenziale.
La cosiddetta indipendenza del Nord, sempre proclamata, ma mai seriamente perseguita, non è che la sanzione di una entità politica che, proclamandosi autonomista, ossequia in realtà forze esterne alla nazione, il cui interesse non sta tanto della definitiva disgregazione italiana, quanto piuttosto nella sua perenne, instabile, debolezza. Non è un caso che berlusconismo e leghismo abbiano finito, dopo una serie di rivalità e di contrasti iniziali, per intrecciare strettamente i rispettivi destini, nella buona come nella cattiva sorte. L’uno sicuramente sostenuto dalla strategia vaticana, l’altro verosimilmente sospinto da forti venti germanici. Se i due destini tendono oggi ad essere un poco più distanti, non per scelta di moto proprio, ma perché meno simili sono gli interessi dei rispettivi padroni. O perché uno dei due elementi, il berlusconismo in questo caso, non risulta essere più proficuamente utilizzabile.
Chi è invece sulla rampa di lancio sono gli ex – comunisti. Essi garantiscono una fortissima tenuta filo – americana ed una più corposa tendenza a smarcarsi dalla tutela vaticana, rispetto ad altri “serventi”. Questo fenomeno non deve stupire. Alla base della sinistra italiana, dalla metà degli anni ’60 in poi, c’è la ricerca di una leadership idealistica, fondata su principi molto generalisti e fondamentalmente a – conflittuali, adatti a coprire una pratica politica molto pragmatica e basata sul “momento”. Egualitarismo, femminismo, ambientalismo, ecc. rappresentano altrettante proiezioni di questo schema. Carrierismo, sudditanza verso il più forte, adattabilità, sono le “funzioni coperte”, che assicurano successo o quanto meno sopravvivenza.
La particolarità non sta in questi elementi in sé, più che abusati da secoli, ma nel loro specifico intreccio. E’ per certa parte l’ipocrisia tipica del cattolicesimo italiano, con in più una buona dose di cinismo e falsa coscienza laica che rende il tutto molto più elastico ed “agibile”. La sinistra ex – comunista, sarà chiamata a governare il paese a partire dalle prossime elezioni. Essa dovrà accompagnare il progressivo impoverimento del Paese dando un illusione di equanimità sociale ed autonomia nazionale. Colpirà prevedibilmente una parte di quelle classi agiate e rapinatrici che hanno sostenuto da vicino l’onda anomala berlusconiana, attraverso un uso più mirato del prelievo fiscale, senza tuttavia esagerare. Il vero capolavoro dovrà mostrarlo invece nel riuscire a spogliare il Pubblico Impiego, suo reale serbatoio di consenso, senza che questo si possa   ribellare,   attraverso   un’accorta   politica   di   frammentazione   tra   le   varie   categorie   – corporazioni. Colpendo di volta in volta quelle più disunite e blandendo quelle più compatte ed attente ai propri interessi, indipendentemente dalla effettiva utilità pubblica delle une e delle altre.
L’avvio di questa fase è stata affidata al “Governo dei Tecnici”, che in realtà più politico non si può. Esso però rappresenta una forma parentetica di gestione. Troppo provvisoria per potersi prolungare oltre un certo limite di tempo e soprattutto, oltre certi limiti di pressione sociale.
Appena dietro gli ex – comunisti, saranno i cosiddetti “grillini”, ovvero quella parte di ambienti   sociali   più   schiettamente   americanizzati,   in   termini   di   acculturazione,   soprattutto informatica. Quest’ultima indirizzata prevalentemente (e molto italianamente) verso l’oceano ludico – professionale di Internet.
La funzione reale del “Grillismo”, non né di stimolo politico – sociale, né di “critica vaffanculesca”: bensì preparatoria. Il Movimento Cinque Stelle, ha il compito di introdurre nel contesto mediatico – culturale italiano (e quindi di prepararne la cosiddetta Opinione Pubblica, eufemistico sinonimo di gregge), il concetto di autoritarismo in senso statunitense. Cioè azioni lineari,   dal   chiarissimo,   apparente,   buon   senso   e   sostenute   da   maggioranze   di   consenso   non stabilizzate, ossia mai ben identificabili ed intercambiabili nella loro (presunta) composizione. Va detto che tale innovazione nel contesto italiano, non deve assolutamente essere vista in termini preventivamente negativi. Soprattutto per ciò che riguarda la benefica e meritoria destrutturazione del   sistema   tele   –   giornalistico,   formidabile   strumento   di   dominio   basato   su   confusione   e disinformazione, ma inadatto a corrispondere alle nuove esigenze di disciplina e coordinamento tra gruppi sociali che il dominio statunitense reputa necessarie per respingere la sfida delle potenze rivali (in primo luogo ovviamente Russia e Cina, ma anche ad esempio, Iran e Brasile) e quindi da considerarsi in questa fase, “tecnicamente superato”.
A proposito di “Tecnicamente Superato”, ce n’è uno che a suo tempo usò questa frase nell’eliminare un avversario interno, a cui oggi tocca la medesima sorte: si tratta del signor Massimo  D’Alema, ormai in fase di avanzata rottamazione. A volte, in piccole parti, la Storia rende giustizia a se stessa.
La menzione degli ex – comunisti, serve anche a rendere esplicito l’esito dello spettacolino delle “Primarie” in casa PD (di quelle PDL non vale nemmeno la pena parlarne). Bersani vincerà nettamente, mentre lo pseudo – sindaco di Firenze si attesterà intorno ad una percentuale innocua ma significativa (probabilmente sul 20 – 25%). La funzione di quest’ultimo, purissima radica di yesman filo – americano, è semmai di rendere chiaro a chi di dovere che tutti sono utili, ma nessuno necessario.
Di vera indipendenza italiana per ora non si parla, né tantomeno è alle viste un soggetto politico che di questo percorso possa farsi carico. Tuttavia, guardando alla storia alle nostre spalle, è proprio nei momenti più bui che l’Italia ha saputo far emergere qualcosa di nuovo.
E’ questa la nostra speranza.
Roma 4 Novembre 2012