LA CHIESA NELL’ARENA GLOBALE


Come è noto, la Chiesa indica il cielo ma è ben piantata in terra.
Le  inesorabili lotte di potere, da sempre, la vedono impegnata sullo scacchiere della competizione strategica e culturale.
L’attuale e non singolare fase di scontro è il riflesso di una costante al tempo “profana” e religiosa. Sono sussulti a più livelli e su più piani, dalla finanza al Verbo.
Ciò implica che la questione concerne Oltretevere ma non solo, e quindi il Vaticano così come la Chiesa in quanto istituzione religiosa e identità spirituale.
E’ oggettivo che in questo periodo il duo Vaticano-Chiesa stia subendo i colpi di un attacco proveniente da più fronti che si confà, in via schematica, generale e approssimativa, a tre ordini di considerazioni.

Le manovre contro

L’Italia, giova ripeterlo, è non secondaria protagonista di una destrutturazione politico-economico-sociale-culturale, le cui fonti albergano tanto sul versante interno che su quello esterno.
Anzi, i rivoli e gli affluenti di diversa provenienza si riversano in un crescente fiume che da tempo sta facendo scricchiolare gli ormai non più solidi argini di un Paese che si lacera e non si ricostruisce, che si frammenta e non immagina un’opera di ricomposizione.
La progettualità, qui, è ormai roba da nostalgia.
Muovendo da siffatta inquadratura, oltre le svariate rilevazioni possibili che attengono ad ogni sfera della Nazione, rimane necessario prestare attenzione ai sommovimenti che concernono gruppi di potere, cosa che pone l’analisi non solo sul piano degli attori statali, ma anche sulla fluidità di quelli – per così dire- non strettamente statali e quindi capaci di riverberi sul terreno della globalizzazione, o meglio del globalismo inteso come processo dinamico dove i fattori politici non si dissociano facilmente da quelli identitari e religiosi.
Tale rilevazione della fluidità, specificando, non implica adesione alla sin troppo elargita visione di un naturale e inesorabile “chinare il capo” degli Stati quali attori protagonisti, ma semmai ne evidenzia una fase in divenire all’interno della quale occorre fare i conti con forze – e cioè altri attori a loro volta protagonisti- la cui origine e il cui raggio di azione non possono essere ricondotti ad unico soggetto e, allora, neanche ad un unico terreno di scontro.
Ecco, il Vaticano-Chiesa rispecchia una duplice funzione di attore statale ma molto fluido, in virtù del suo connaturato imprimatur religioso-culturale. E’ una funzione, ovviamente, che non può lasciarsi disgiungere, come del resto testimonia l’inossidabile binomio temporale-spirituale che in forme rinnovate pur sempre permane e si riproduce.
Ciò inevitabilmente richiama anche al suo ruolo nella storia della nostra Penisola è alle attuali interconnessioni esistenti.

Di qui, sulla base di un’indissociabilità degli assemblamenti di potere italo-vaticani e sulla base degli accennati fuochi incrociati che piovono sull’Italia, non può sfuggire che l’insieme delle manovre in atto sia manifestazione del duplice attacco “identitario” e di potere, anche questo – per forza di cose – inestricabile, che sta caratterizzando l’intero sistema-Italia.
Sorvolando ora sull’evidente non unidimensionalità cattolica della popolo italiano, gli accadimenti degli ultimi anni registrano sicuramente gli almeno due individuati fattori propri del campo d’azione delle gerarchie vaticane in sinergia con altri attori  – diciamo –  extra-religiosi, e più propriamente “profani”.

L’un fattore è sicuramente quello delle vicende riguardanti il sempiterno scontro tra la finanza laica e quella bianca, ad entrambe le quali è doveroso approcciarsi con fare neutro e non moralisteggiante, giacchè tranquillamente associabili sul loro terreno di contesa e con le rispettive malefatte e nefandezze.
Il disarcionamento di Antonio Fazio dal governatorato di Bankitalia sulla scia della poco gloriosa vicenda dei “furbetti del quartierino” e la salita al comando di un fido uomo dell’establishment tecno-finanziario internazionale, quale Mr. Mario Goldman Sachs Draghi, porta inequivocabilmente il segno di una mossa strategica con un evidente sprint dei gruppi sub-dominanti nostrani in dependance d’Oltreoceano. Nonché di un ulteriore tassello della liaison euro-atlantica. Il che, naturalmente, non implica che non vi siano stati o che siano stati dismessi i legami tra finanza vaticana e ambienti del versante Ovest.

L’altro fattore attiene ancor di più alle logiche geo-identitarie della politica e delle sfere di influenza. Il rinsaldamento, ad esempio, dei legami tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, i cui motivi di distinguo sul piano teologico non sono di profonda entità, corrono lungo il filo di un nuovo e generale sguardo ad Est della geopolitica europea.
Il fattore identitario – laico o religioso che sia – è parte naturale dei processi geopolitici.
E oggi Roma e Mosca stanno procedendo sui binari di un incontro sempre più fecondo di accordi.
I grandi eventi della storia della religione, del resto, si materializzano al contempo come processi spirituali e politici, come indicano la conversione di Costantino e di Clovis, lo scisma del 1054 fra Roma e Costantinopoli, l’adesione dei principi tedeschi a Lutero, il Concordato del 1801 ecc.
Oggi, la rottura dello schema bipolare post ‘89 libera una serie di opzioni e apre un campionario di scelte molto ampio. La Santa Sede ha certamente costituito un baluardo “occidentale” nella contrapposizione al fronte comunista e ha non di meno elaborato un proficuo dialogo nell’avvicendarsi delle varie amministrazioni statunitensi. Dialogo che – ben inteso- non può darsi per svanito o in disuso. Tuttavia, non possono sfuggire le contrapposizioni – comunque mai sopite – tra aggregati geo-identitari. E ora il fronte anglosassone ha alzato il tiro, sta intensificando le raffiche e ha nel mirino anche il Pontefice in persona. Più in generale, si tratta di un fronte dove confluiscono le iniziative di certuni ambienti protestanti, ebraici e laicisti.
E quindi, un fronte mobile nord-ovest – anch’esso molto fluido – con sponde e interconnessioni a sud.

Secolarizzazione e religione

E’un nesso e non una dicotomia automatica, naturale o necessaria.
Molto probabilmente, però, si tratta di un processo di azione-reazione che sottende a tentativi di predominanza e influenza. E’ uno scontro di Verità, come uno scontro di appartenenze e di identità.
L’avvento della modernità ha sospinto la Ragione a chiave di interpretazione dell’uomo e della Natura. L’avvento della post-modernità sta inscenando un razionalismo sostanzialmente invasivo di ogni sfera dell’essere e dell&rsquo
;agire umano e naturale, scivolando spesso in un riduzionismo fenomenico persino dell’imperscrutabile.
La scarnificazione delle sacralità ha una connotazione occidentale e pretende inesorabilmente di insinuarsi tra le credenze e le ritualità dell’intero globo.
Ma tralasciamo qui l’immensa disquisizione teologica, filosofica e storica che attiene alla dimensione della religione e ai rapporti di questa con la società, per far riferimento soprattutto ad un fattore di crisi sempre più evidente quale il dissidio profondo delle entità e dei popoli che serbano una forte spirito religioso o mistico.
La Chiesa ha il polso di un tentativo reiterato sia di dissolvimento o svilimento dell’afflato spirituale sia di cacciata di ciò che concerne il sentire religioso dalla dimensione pubblica alla sfera intimistica.
Ma è una percezione divenuta propria di realtà religiose altre, giudicate spesso manchevoli di una svolta illuministica o colpevoli di un mancato adattarsi ai tempi che corrono.
Anche questa, però, è una rilevazione che non può essere assolutizzata, specie se si pensa a quanto accade in taluni Paesi mussulmani dove sussistono lampanti esempi di modernità così come tenaci sforzi di conservatorismo. Per converso, tuttavia, ciò sarebbe anche specchio delle frizioni evidenziate.
Tant’è, la secolarizzazione si accompagna all’economicismo più tipico di un Occidente che sicuramente continua ad avere la pretesa di informare di sé il mondo ( non tocchiamo poi qui la formula di un dato economicismo di derivazione marxista speculare a quello capitalistico con comuni ascendenze razionaliste ecc. ), ma ciò causa scompensi a tutte le latitudini e favorisce i rigurgiti settari e le posizioni fondamentaliste. Avanza, per reazione, una riscoperta del sentimento religioso come contrapposizione, come terreno di competizione o addirittura di scontro.
Ma se finora abbiamo potuto costatare come secolarizzazione e globalizzazione abbiano recato in sé i caratteri di occidentalizzazione e in primis di una forte americanizzazione, ciò non implica che il fenomeno debba necessariamente continuare ad essere – diciamo – eterodiretto o ad unica dimensione. Troppo spesso autorevoli interpreti di “come va il mondo” ( sia globalisti che anti ) hanno puntellato – e continuano lungo – schematismi ed equazioni che, di fatto, finiscono per essere categorie assolute che si distaccano dal particolare, cristallizzano la realtà, finendo anzi per pretendere che questa si conformi alle concettualizzazioni elaborate.
Ma le forme mutano e mutano pure i contenuti. Sicchè, fermo restando l’individuazione della radice del fenomeno secolarizzante e/o occidentalizzante, è probabile si stia già assistendo in parte ad un assorbimento che potrebbe essere prodromo ad una rielaborazione e quindi ad una riproposizione secondo ( più o meno diversi ) propri canoni, costumi e tradizioni.
Divagando con un esempio più materiale e apparentemente sul futile: i cartoni animati giapponesi.
La loro notevole diffusione ( e il corrispondente carico di messaggi ) su scala mondiale può essere tout court ricondotta all’occidentalizzazione o, per paradosso, ad una nipponizzazione del mondo? Evidentemente no.
I popoli e le civiltà non sono compartimenti stagni o entità autoreferenziali e anche muti e ciechi hanno i loro canali di trasmissione. Il conflitto e la ricomposizione, la tradizione ed il nuovo sono delle costanti del flusso della vita che è un continuum in divenire.

La Chiesa come attore globale
In quanto competitor geopolitico, i colpi li dà e li prende. Avanza e arretra, pianifica operazioni e diversifica gli strumenti. E se non può condurre i cambiamenti, vi si adatta.
Nello scenario, come suol dirsi, della globalizzazione, per la Chiesa il ricorso alla fluidità è una componente fondamentale.
Il punto qui non è la validità e la tenuta delle sue posizioni rispetto ai vari temi – dalla sfera individuale alla vita sociale -, ma il ruolo che è occupata a ritagliarsi.
Sul versante di difesa incondizionata della Chiesa, si argomenta con buona superficialità che essa sia un baluardo contro globalizzazione, civiltà del danaro, dell’immagine ecc.; su quello dell’attacco incondizionato privo di discernimento – al primo decisamente speculare – si ricorre sovente alle argomentazioni di arretratezza, patrimonialismo ecc.
Nello sforzo di un approccio neutro e analitico, dovremmo però prendere atto, in primis, di ciò che essa è e non di ciò che vorremmo che fosse, anche alla luce – anzi nonostante pure – le sue palesi contraddizioni e invasività.
Tuttavia, se la Santa Sede/Chiesa gode di una serie di privilegi finanziario-territoriali e sconfina con disinvoltura in ambiti di competenza che non le appartengono, le responsabilità principali sono di uno Stato laico che nei fatti abdica alla sua corretta condotta costituzionale, Concordato più Concordato meno.
Dall’altro canto, rimane delicato anche discernere in merito al destinatario del suo messaggio – quando non palesemente trattasi di violazione di sovranità  -, poiché essa non si rivolge ai cittadini ma ai credenti, anzi prima ancora agli uomini. Le posizioni stesse nei confronti dell’immigrazione sono l’altra faccia dell’internazionalismo liberale, con tanto di assorbimento di quello (ex) proletario.
Per la Chiesa, di fatti, lo status di cittadino è estraneo al suo universo concettuale.
Al centro c’è l’uomo e poi la comunità di credenti. Dunque, si tratta di una vocazione che non ha in conto confini e diversità. E’ l’evangelizzazione a non conoscere confini.
Essa ricalca la stessa matrice universalistica che è in nuce nel capitalismo in senso lato e quindi la stessa matrice della globalizzazione come tendenza che, nella sua essenza escatologica, serba la pretesa di una Verità  – lungo la linea retta della storia – da affermarsi in ogni dove, nonostante  – anzi sovente contro – il pluriverso delle specificità.
Un messianesimo che allora si rivela totalitario.
Si tratta di un filo rosso che dai monoteismi si snoda fino alla “laica” religione dei diritti umani.
La Chiesa, sicchè, è naturalmente proiettata a cavalcare l’onda dei fenomeni globali, anche nelle sue manifestazioni più moderne (si pensi all’aspetto imprescindibile della comunicazione, con la stessa figura di Giovanni Paolo II, persino e soprattutto nella sua sofferenza e precarietà fisica, sfruttata in piena simbiosi con le pratiche del marketing).
Ripropone – come sempre è stato – le diversificate capacità di potere ed influenza.
La sua storica opera di assistenza e aiuto, con ramificazioni e soggetti operativi su vasta scala, si è sempre più strutturata è intrecciata alle dinamiche in trasformazione dell’economia moderna.
Fino a costituirne una componente, poiché è innegabile che essa sempre più funge da para-ammortizzatore sociale delle diverse pol
itiche economiche “capitalistiche”.
Vi si è sempre più integrata e quindi non ne è contro.
Mammonanon è poi così lontana. Perché persino per professare contro la logica del “denaro sterco del demonio” ha bisogno del denaro stesso. Perché per dare ai poveri ha bisogno essa stesso di non esserlo. La Chiesa agisce né più né meno come un potente attore internazionale. E lo è.
Essa non è fuori dal sistema, ma dentro.