LA COSTANTE ITALIANA (di G. Gabellini)
E' straordinario notare come l'Italia, nell'arco di centocinquant'anni precisi di esistenza, sia riuscita nell'ardua impresa di non correggere di una virgola le proprie, imbarazzanti connotazioni negative. Edificato sulle ideologie mazziniane che tenevano banco in pieno Risorgimento, il "Bel Paese" fu forgiato con il sangue di moltissimi meridionali, sedotti dalla reotrica delle prime classi dirigenti che avevano ottenuto il loro appoggio promettendo mari e monti per poi voltar loro le spalle, reprimendo con estrema durezza ogni tipo di rivendicazione. Sepolta sotto una valanga di retorica risorgimentale, la realtà italiana fu brutalmente disseppellita durante la Prima Guerra Mondiale, quando gli "interventisti" si decisero a scendere in campo a fianco di Germania e Impero Austro – Ungarico contro le potenze alleate, salvo poi fare dietrofront e stipulare quello che fu definito il "capolavoro diplomatico", un accordo segreto ideato e concluso dal ministro degli Esteri Sydeny Sonnino che si era recato a Londra con il preciso scopo di convincere la Gran Bretagna ad accogliere la rinnegata Italia dalla propria parte. L'Impero Austro – Ungarico, come era logico aspettarsi, non la prese bene, e invase il nord – est in forze, inchiodando l'esercito italiano in quel di Caporetto, dove i prodigi del sedicente "attacco frontale" tanto caro al Comandante Supremo Luigi Cadorna produssero, alla faccia dell'incredibile retorica sparsa a piene mani dagli intellettuali di corte del tempo, una disfatta di dimensioni inenarrabili, che mise in piena luce tutta la viltà delle "alte sfere", ben descritta dall'acuto Curzio Malaparte, che ne "La rivolta dei santi maledetti" scrisse che: "Fuggivano gli imboscati, i comandi, le clientele, fuggivano gli adoratori dell'eroismo altrui, i fabbricanti delle belle parole, i decorati della zona temperata, i cantinieri, i giornalisti, i napoleoni degli Stati Maggiori, gli organizzatori delle difese arretrate, i monopolizzatori del patriottismo degli angoli morti e delle retrovie, decisi a tutto fuorché al sacrificio, fuggivano gli ammiratori del fante, i dispensatori di oleografie e di cartoline illustrate, gli snob della guerra, gli imbonitori di crani, gli avvocati e i letterati dei comandi, i preti del Quartier Generale e gli ufficiali di ordinanza, fuggivano i roditori della guerra, i fornitori di carne andata a male e di paglia putrefatta, i buoni borghesi quarantotteschi che non volevano dare asilo al fante perché portava in casa pidocchi e cenci da lavare, e parlavano del Re come del primo soldato d'Italia, fuggivano tutti in una miserabile confusione, in un intrico di paura, di carri, di meschinerie, di egoismi e di suppellettili, tutti fuggivano imprecando ai vigliacchi e ai traditori che non volevano più combattere e farsi ammazzare per loro". Una Storia che, come avrebbe detto Karl Marx, da tragedia si ripresentò come farsa l'8 settembre 1943, il giorno del "tutti a cas", quando quel Re considerato da molti come il "primo soldato d'Ialia" se la diede a gambe in contemporanea con il suo compare Benito Mussolini, bloccato mentre tentava, dopo aver speso anni a blaterare sull'eroismo, di riparare in Svizzera travestito da soldato tedesco. Una vigliaccheria simile si ripresenta ora, un tragico momento che vede la pressoché intera classe politica italiana presentarsi compattamente alla guerra, con Silvio Berlusconi che presta il fianco italiano al pugnale francese e atlantico, voltando le spalle a un Gheddafi riverito con tutti i crismi solo l'estate scorsa e appoggiando in toto l'irresponsabile e insostenibile posizione promossa da Sarkozy e approvata in sede ONU. Una compattezza tanto "trasversale" non si vedeva dai tempi della crisi del Kosovo. Strana ed eloquente "coincidenza". Si prosegue, con Giorgio Napolitano che intona discorsi altisonanti sulla "responsabilità" che l'Italia non può esimersi dall'assumere, improvvisamente immemore di quanto recita la tanto decantata Costituzione italiana all'articolo 11. Ma siccome il termine "guerra" è stato immolato sull'altare del politicamente corretto e conseguentemente espunto dal vocabolario politichese, adesso i sepolcri imbiancati preferiscono che si parli di "peace – keeping". Non male, George Orwell non sarebbe riuscito a fare di meglio.