LA CRISI DEL CETO MEDIO IN OCCIDENTE A PARTIRE DAGLI USA

 

Sul Corriere del 05.02.2012 Massimo Gaggi pone il problema del “possibile” declino americano a partire dalla “biforcazione” del vecchio ceto medio benestante in due “tribù” molto diverse:

<<da un lato una società delle professioni e dei mestieri più redditizi e garantiti, circa il 20 per cento della popolazione, che vive una condizione di grande benessere ed è geograficamente concentrata soprattutto sulle due coste e in città come Chicago, Houston e Dallas. Dall’altro un 30 per cento della popolazione che si è proletarizzata e oggi vive in condizioni assai modeste: spesso alle soglie della povertà nella quale sprofonda appena si manifesta un evento traumatico come la perdita del posto di lavoro o l’emergere di una malattia grave>>.

Fino a trent’anni fa la “classe media” dominava la società americana grazie ad un sistema di valori comuni e ad un’ampia coincidenza di interessi che non erano ostacolati da differenze,moderate, nei redditi e negli stili di vita. Secondo la destra repubblicana la “forza morale” dell’America è messa in crisi – più che dall’indebitamento delle famiglie e dal calo dei consumi – dal mutamento dei caratteri sociali di questa fascia della popolazione. E Gaggi sulla base delle analisi del sociologo conservatore Charles Murray caratterizza in questa maniera la nuova situazione:

<<meno matrimoni, aumento esponenziale dei ragazzi senza famiglia, calo dell’industriosità (minor partecipazione al mercato del lavoro e ambienti degradati che rendono ogni impegno meno produttivo), progressivo distacco dalle pratiche religiose, scarsa partecipazione alle attività della propria comunità>>.

Numerosi sono, inoltre,  gli intellettuali che vedono nell’ascesa della destra radicale Usa la causa, ma anche il risultato, dell’incapacità dell’amministrazione Obama di opporsi all’attacco a cui sono sottoposte le conquiste sociali ottenute dalle forze “democratiche” nel passato, soprattutto riguardo alla tutela sanitaria per i poveri, alla previdenza sociale e alla tutela del patrimonio ambientale. Vista la situazione risulta, poi, inevitabile che a queste critiche venga risposto con l’enfatizzazione degli ostacoli che a qualsiasi aumento della “spesa sociale” paiono imposti dall’ampiezza e dalla gravità della crisi economico-finanziaria globale. Secondo lo studioso progressista Edsall il compromesso tra contribuenti benestanti (quelli che pagano in tasse più di quanto ricevono in servizi) e i ceti più deboli, bisognosi di assistenza pubblica, è finito; il relativo benessere generalizzato, che era stata la condizione fondamentale che lo aveva reso possibile, è ormai un ricordo del passato e l’austerità “durissima” a cui si sta andando incontro produrrà una vera e propria “guerra” per le risorse tra destra e sinistra a protezione delle rispettive basi elettorali composte, per la gran parte, da quel “ceto medio allargato” che caratterizzava, fino a qualche tempo fa, la struttura sociale del capitalismo Usa. Particolarmente importante, appare poi, agli occhi di Gaggi, l’analisi di Murray, studioso dell’American Enterprise Institute, culla dei neocon, che demolisce la retorica repubblicana sulla necessità di far prevalere il cuore modesto, onesto e produttivo della “America profonda” (“rossa” come il colore del Grand Old Party) rispetto alle élite ricche e dissolute che vivono lungo le due coste (dalla California a New York e al New England dove prevale il blu dei “democratici”). Murray infatti, statistiche alla mano, descrive un Paese che vede sopravvivere i valori tradizionali quasi solamente nelle élite ricche e affluenti – maggiormente produttive e coese sul piano familiare, frequentatrici più assidue dei luoghi di culto, più partecipi alla costruzione del tessuto sociale della loro comunità – mentre nei ceti scossi da una progressiva “proletarizzazione” si impone l’anomia e il legame sociale e la partecipazione religiosa e comunitaria si indeboliscono. Il problema in questo contesto diventa tale che sia la riproposizione di politiche assistenzialistiche da parte democratica sia un rilancio del liberismo integrale della tradizione repubblicana appaiono insufficienti ad affrontare, prima di tutto la crisi economica, ma sempre più anche una situazione sociale di estrema disgregazione e di sradicamento di interi gruppi sociali. D’altra parte questa crisi del “ceto medio”, concetto-ripostiglio che maschera la nostra incapacità di comprendere appieno la reale struttura delle società capitalistiche “occidentali”, rappresenta in questa fase il carattere e il fattore maggiormente “critico”, per l’evoluzione della situazione politica e sociale, anche in Europa e in Italia. Momentaneamente nel nostro Paese si è costituita una situazione in cui gli Usa, in primis,  e la Ue a direzione tedesca, poi, hanno instaurato un governo sulla base della dichiarazione di uno stato di emergenza-eccezione, che ha “obbligato” in qualche modo le forze politiche della “grande palude” parlamentare a portare avanti assieme un programma dettato dalla potenza pre-dominante e dai suoi luogotenenti. Simbolicamente l’atto di sottomissione e di instaurazione del commissariamento Usa è stato anticipato con la nomina di Mario Monti a senatore a vita, ovverosia a “presidente della repubblica in potentia”, da parte di Giorgio Napolitano, che ricopre il ruolo di “presidente in actu”; nominando un suo “doppio”, su ordine dell’ Imperatore, e destinandolo a presiedere il nuovo governo si è così costituita formalmente l’Italia come “provincia proconsolare” retta da un duumvirato. Questa situazione è la “migliore” per portare avanti politiche adatte ad uno Stato colonizzato come il nostro e, per un certo periodo, a rallentare quelle dinamiche economico-sociali e politiche che hanno origine dalla disgregazione e biforcazione della “classe media” anche nel nostro paese.

Mauro Tozzato           05.02.2012