LA CRISI DELLA FIAT di G. Duchini
a seguire Duemilaotto o Duemilasessantotto di P. Pagliani
Il mago Marchionne ha messo a segno un altro grosso punto finanziario: il gigante degli investimenti finanziari Usa “Capital Research and Management” ha accresciuto la propria partecipazione in Fiat dal 2,025% al 5,183%, diventando così il secondo più importante azionista dopo la famiglia Agnelli che detiene la quota del 32,7.% Un tentativo del mago di frenare la caduta del titolo Fiat che negli ultimi due anni si è ridotto a 5 euro per azione (1/5 dei 25 euro di pochi anni fa). A ciò si aggiunge la crisi mondiale del settore auto che ha inciso particolarmente nella regione Piemonte coinvolgendo il 65% delle aziende dell’indotto, con decine di migliaia lavoratori in cassa integrazione, sparsi per tutto il territorio nazionale; un segnale forte della crisi che inesorabilmente avanza partendo dall’economia reale vera causa di quella finanziaria.
Sul problema del nuovo assetto societario della Fiat aleggia il destino personale della famiglia Agnelli, stando alla recente intervista rilasciata al “Giornale del 17/11/08, dalla maggior azionista Maria Sole Agnelli, sorella di Gianni; secondo le sue dichiarazioni, si tende ad imprimere una maggiore svolta all’intero Gruppo Fiat, al fine di renderlo nel suo complesso “più internazionale,” attraverso la modifica dell’assetto societario, con l’ingresso di un grande Fondo Usa (speculativo), insieme alla soppressione delle controllanti nazionali Ifil e Ifi (Istituto Finanziario Industriale) e la loro sostituzione con la misteriosa società internazionale “Exor,” nei cui confronti le sorprese sono tante; si ricorda a questo proposito che tale società è stata una holding finanziaria della famiglia Agnelli per operare sui mercati internazionali, come “cassaforte personale” di Gianni Agnelli per fare speculazioni internazionali, con l’aiuto dell’allora Alberto Cribiore, numero due della Banca d’Affari “Clayton & Dubilier,” la più grande banca del mondo di “leverage” e di “hedge fund” ( e come grande artefice della crisi di fine anni Novanta delle “Tigri Asiatiche.”) La sopra nominata società Exor ritornò alla ribalta nel 2005 grazie a Marchionne che fece partire un “equity swap” (derivati finanziari) per rivalutare i titoli Fiat, dando mandato alla banca d’Affari “Merril Lynch” di rastrellare 90 milioni di azioni Fiat: una speculazione al rialzo del prezzo del titolo, che come si sa andò a buon fine, facendolo passare dai
E proprio in questo nuovo assetto societario, due destini si incontrano: la delega posseduta da Marchionne, in rappresentanza degli innominabili interessi d’Oltre Atlantico, si incrocia con la società finanziaria Exor, adusa ad agire in nome e per conto della famiglia Agnelli, con l’obiettivo di replicare il miracolo di un aumento del prezzo del titolo, come già avvenne qualche anno fa; dal “core” industriale di vallettiana memoria, al “core” finanziario altamente speculativo; una trasfigurazione dell’attività industriale già avviata, del resto, da Gianni Agnelli fin dagli anni ‘80.
Ma le motivazioni di fondo di questa scelta del gruppo Fiat sono inscritte in coabitazione di interessi industriali, prevalenti nel periodo del boom economico italiano degli anni Sessanta, insieme a quelli finanziari, per l’idea, non tanto peregrina, di mettersi nel cono d’ombra finanziario degli aiuti di Stato Usa, già annunciati da Obama, che riguarderanno principalmente il settore auto (Gm); quest’ultimo aspetto potrebbe essere il segnale (Usa) dell’inizio di un “protezionismo statale” che potrebbe sfociare in una indesiderata guerra commerciale, come già avvenne negli anni ’30 dopo il crollo del ’29, tra Usa ed Europa, con le continue svalutazioni dei cambi e delle monete con gli unici obbiettivi di favorire le esportazioni dei singoli paesi. Un regolamento dei conti (nello statalismo di Obama) all’interno dell’area occidentale è già nell’aria e non sarà lineare, per improvvisi colpi di scena, a causa di inevitabili difese strutturali che le singole economie europee saranno costrette ad approntare concedendo nuovi incentivi finanziari ed economici al fine di mettere al riparo non solo le proprie banche, ma anche i settori industriali messi già a dura prova dalla crisi in corso.
G.D. novembre ‘08
*********************************
Duemilaotto o Duemilasessantotto?
Lo scorso week-end a Roma si è svolta la grande assemblea plenaria degli studenti dell’Onda Anomala.
Io sono andato alla Sapienza a sentire cosa dicevano, da interessato osservatore. Lasciamo stare i numeri: erano tanti, da tutta Italia. E per certi versi in fase di maturazione (sembra che si stiano finalmente rendendo autonomi da baroni e difensori di prebende varie).
Alla Sapienza ho sentito discorsi simili a quelli di inizio Sessantotto, prima cioè della “scoperta” del marxismo come metro interpretativo di quello che stava succedendo.
Tempo al tempo. Intanto siamo agli inizi, poi all’epoca il marxismo fu riscoperto – come discorso condiviso, anche se in diverse varianti – in collegamento con le lotte operaie del 1969. Inoltre in tutto il mondo (e non solo Occidentale) si stavano scaricando le enormi tensioni economiche, culturali, ideologiche ed esistenziali, accumulate durante il cosiddetto “periodo d’oro del capitalismo” iniziato con la fine della II Guerra Mondiale, tensioni che si stavano scaricando proprio mentre il “periodo d’oro” stava finendo e il ciclo di accumulazione del capitale centrato sugli USA stava entrando in crisi, così che esse furono fraintese come spinte rivoluzionarie tout-court (fraintendimento lucidamente capito da Pasolini sin dall’inizio e ribadito ancora negli ultimi anni della sua vita).
Vedremo come l’Onda Anomala si rapporterà al cambiamento epocale segnato da questa crisi. Tempo al tempo.
Rimangono ancora ciò che per me sono “difetti di pigrizia”, come l’insistere sull’antifascismo (se venti energumeni di Casa Pound menano i ragazzi delle superiori per prendere la testa del corteo e poi vengono ai ferri corti con gli universitari in Piazza Navona, per me il problema è di gestione della piazza da parte dei manifestanti, al più un problema di difesa fisica, non è un problema politico – e non ci vedo nemmeno l’implementazione delle dichiarazioni provocatorie di Cossiga, come si poteva leggere in molti messaggi un po’ affrettati e superficiali nei blog degli studenti, perché Cossiga lancia messaggi obliqui e inquietanti che usano la questione studentesca, ma vanno ben oltre; forse tra qualche tempo si riuscirà a capire cosa sta macchinando il gladiatore).
Un altro difetto correlato è quello di caricare a testa bassa contro il drappo rosso del torero Berlusconi e dimenticarsi dei picadores di sinistra che con le loro lance hanno dolorosamente imperversato fino ad ora, dimenticarsi cioè che siamo al redde rationem di una politica sostanzialmente bipartisan di almeno 15 anni.
Un terzo difetto è quello di concentrarsi per ora solo sulla cosiddetta (ma proprio per abuso di linguaggio) “Riforma Gelmini” e far fatica ad azzardare qualche interpretazione e analisi politica di più largo respiro, che non sia una critica generica al capitalismo nella sua versione neoliberista, causa di ogni male (mentre per me è effetto del male, cioè della sovraccumulazione dovuta allo scontro degli agenti attivi nel sistema capitalistico e dello sfaldamento del ciclo centrato sugli Stati Uniti).
Così, per ora, questa analisi viene surrogata dal repechage archeologico dell’antifascismo in chiave antiberlusconiana, con l’effetto che l’Onda Anomala erge, in gran parte inconsapevolmente, un vero scudo ideologico dietro la cui protezione ogni componente della sinistra, dal PD alla “sinistra radicale”, cerca di nascondere la prima la totale mancanza di una linea politica (se non difendere a spada tratta l’alleato americano, persino nelle sue “carognate” più appariscenti, come il sostegno alla Georgia) e la seconda la mancanza del coraggio di lasciare vecchie formule, gloriose ma ormai inutili e fuorvianti, e usare quel che resta della sua capacità di elaborazione e di organizzazione per cercare di capire come vanno le cose realmente oggi, in Italia e nel mondo e muoversi di conseguenza.
E tuttavia, con tutti i sui limiti, l’Onda Anomala non è la Vandea.
Questi ragazzi sono portatori di un disagio reale, oggettivo – e condivisibile – che, a mio avviso, non hanno ancora iniziato a decifrare politicamente. Riusciranno a far emergere qualcosa di sensato?
Io non lo so dire. Ma non perché questi ragazzi siano più sciocchi di quelli della mia generazione (perché nemmeno noi scherzavamo in quanto a stupidate). Al contrario, perché non si sono ancora affrancati dall’eredità che noi, con le migliori intenzioni, gli abbiamo tramandato. Nel Sessantotto avevamo assunto in blocco le tesi del marxismo novecentesco (ortodosso o eretico, non è questo il punto) e abbiamo capito solo parzialmente quello che stava succedendo (e se mai i nostri figli ce lo dovessero rinfacciare, avranno ragione). E’ quindi ovvio che questo movimento abbia, per ora, difficoltà a costruire una bussola nuova e meglio tarata, perché esso non nasce né in un vuoto generazionale, né sociale, e neppure ideologico.
La grande maggioranza di questo movimento è composta da gente che sa benissimo che farà parte di quella classe media autonomo/salariata che è stata e sarà la più penalizzata da questa lunga ed epocale crisi sistemica che è andata sotto il nome di “globalizzazione” e di cui la crisi economica attuale è solo il periscopio di un sommergibile che sta emergendo. Quindi ha perfettamente ragione a pensare che la loro fonte di guai sia il sistema capitalistico. E non possiamo scandalizzarci più di tanto se i ragazzi dell’Onda pensano che questo sistema sia rappresentato da poteri economici e finanziari sostenuti dal governo in carica. Solo in parte lo fanno, infatti, perché succubi della propaganda buonista-antiberlusconiana con cui la sinistra ha inquinato ogni messaggio critico, ma soprattutto lo fanno perché è questo governo e non un altro che hanno di fronte oggi.
Analisi parziali? Orizzonti limitati? Certamente. E’ colpa degli studenti? In parte sì, ovviamente, perché ognuno ha la propria testa per pensare. Ma innanzitutto è colpa nostra. Ci siamo baloccati con pensieri edificanti per anni, riducendo la comprensione della realtà capitalistica alla ripetizione acritica di formule che una volta avevano un senso scientifico e politico ma che poi sono servite solo a rivestire slanci onirici, belli ma alla fine colpevoli: colpevoli di vaghezza, di approssimazione, di mancanza di coraggio, di mancanza di esiti (last but not least, la stupidaggine del “movimento no-global seconda potenza mondiale” ci ammonisca severamente in modo imperituro). E alla fin fine è questo modo di ragionare e di fare che abbiamo trasmesso.
Certo, qualcuno ha tentato di andare oltre, ovviamente. Certo, chi non cantava nel coro è stato azzittito, allontanato come stonato o addirittura insultato, sia dagli scribi sia dai Farisei di sinistra. Lo sappiamo. Anzi, sappiamo che le cose funzionano così specialmente a sinistra, purtroppo. Tutto questo lo sappiamo. Ma il fatto incontestabile è che siamo indietro, drammaticamente indietro nella comprensione e, quindi, nella capacità di far passare concretamente messaggi differenti nel mentre si cerca di allestire concretamente una resistenza socialmente e teoricamente fondata.
Sta emergendo il sommergibile della crisi e non solo non siamo stati capaci di prevederlo, ma abbiamo appena iniziato a capirci qualcosa (a parte i soliti sognatori che ci vedono la crisi terminale del capitalismo e la rivoluzione qui e ora – mannaggia la prescia e la tartaruga che l’à inventata).
E quel poco che abbiamo iniziato a capire non siamo ancora in grado di farlo vivere come senso comune, o almeno come inizio, in ambito sociale.
Così, proprio non me la sento di criticare gli studenti più di quanto debba invece criticare me stesso e la mia incapacità di dialogo.
Che altro deve fare, infatti, un vecchio militante in questa congiuntura, ma infine in ogni congiuntura, se non trasmettere quel poco o molto di saggezza politica e di conoscenza teorica cui è giunto ai soggetti sociali nuovi e, specialmente, alle nuove generazioni? Sapendo bene che non si tratta di “dettare la linea”, anzi, evitandolo accuratamente per non chiudersi immediatamente in una monade senza possibilità di comunicazione, ma dialogando.
E questa “forma-dialogo” non è, ovviamente, solo un involucro stilistico. E’ uno scopo e quindi detta tempi, modi e contenuti dell’argomentare. Non del teorizzare, ovviamente, che ha altri ritmi e altre esigenze, ma dell’argomentare sì.
Ci sarà modo di rifinire gli argomenti. Tuttavia, o si rifiniscono in un ambito sociale, oppure il solipsismo è dietro l’angolo.
Piero Pagliani