LA DEFLAZIONE di G, Duchini
La deflazione è una drammatica realtà che si è sviluppata sulla paura dell’inflazione, in particolare in Germania con i suoi incubi weimariani e con lo spettro del nazismo cresciuto grazie allo svilupparsi della disoccupazione. Anche se c’è stata una forte sottovalutazione del problema e non si è voluto vedere quello che era sotto gli occhi di tutti. Il problema è stato rimosso, a partire dalle Banche Centrali, e si è parlato per tutto un periodo di bassa inflazione; un semplice sprofondamento semantico che ha fatto poi gridare ad una deflazione conclamata e già avviata su una strada recessiva.
In un recente documento della Fed (USA) spiega come di fronte alla possibilità di una deflazione, l’Europa possa contagiare il mondo intero; e con il beneplacito della Germania, che gode notoriamente di conti a posto.
La tenuta dei conti è sacra; una Europa che costruisce il proprio potenziale di crescita sulla base di una crisi è destinata al puro fallimento. E se perfino Krugman fatica a capire come andrà a finire l’euro o meglio come andrà a finire in modo catastrofico qualche dubbio permane. Solo dubbi appunto, ma le certezze sono altre. E sono da ricercare nella persistente pervicacia con la quale l’intera Europa viene tenuta in vita con una respirazione “bocca a bocca” tramite i mille fili Usa, oltre ai numerosi organismi internazionali quali il Fmi e attraverso questo la Bce.
La stessa Bce è sempre più bloccata dai veti della Bundesbank, la quale per il tramite Angela Merkel continua ad attribuire la tempesta sui mercati al mancato rispetto da parte di alcuni paesi dell’area euro delle regole del Patto di Stabilità e di crescita. Siamo come sempre rimasti completamente inebetiti al solito vecchio e insuperabile schema del mercato come principio regolatore di ogni cosa che si muove in economia.
L’Europa può diventare l’epicentro di un terremoto deflattivo in grado di minacciare l’intero mondo e i cosiddetti paesi periferici sono in un “cul de sac”, non potendo svalutare sono costretti a tenere salari e prezzi a livelli molto bassi: una vera stretta tra moneta unica e scarsa produttività nei confronti di altri Paesi che hanno maggiore competitività.
E così lo stesso Giappone è entrato in una deflazione con calo del Pil del -1,6% che conferma il fallimento di una intera società e che riassume in questi dati una inequivocabile recessione. Una deflazione con prezzi costantemente al ribasso e con un indebolimento dello yen che favorisce l’export manifatturiero, nel mentre i dipendenti pubblici preferiscono la deflazione all’inflazione perché gli stipendi rimangono invariati.
Gianni Duchini, novembre ‘14