LA DEMOCRAZIA NON ABITA A KIEV E IN NESSUN ALTRO POSTO
Tutto l’Est dell’Ucraina si è sollevato contro la junta di Kiev. Una dopo l’altra le principali città della regione sono cadute nelle mani delle milizie locali che, dopo aver occupato i palazzi dell’amministrazione e le sedi dei servizi di sicurezza, hanno proclamato la Repubblica indipendente del Donbass.
I commissariati di polizia si sono schierati con gli insorti ed anche l’esercito, inviato a reprimere la rivolta dai golpisti della Capitale, non ha avuto il coraggio di sparare sulla propria gente, defezionando in massa.
A Kiev stanno dimostrando di non avere il polso della situazione. Non si può capovolgere un potere legittimo affidandosi a terze parti straniere senza l’appoggio, anche passivo, della maggioranza del Paese. Sabato il capo della Cia Brennan è volato nella Capitale in gran segreto per dirigere le operazioni di repressione. Mosca ha chiesto conto di questa interferenza ma non ha avuto risposta, solo una tardiva ammissione dello sconcertante episodio con uno scialbo comunicato della Casa Bianca.
La balcanizzazione dell’Ucraina è ormai un fatto acclarato ma non è detto che il governo usurpatore reggerà il colpo, nonostante l’incauto endorsement di Usa ed Ue. I leader dei partiti golpisti si stanno lasciando andare alla rabbia e alla frustrazione. Il momento è pericoloso e carico di tensione.
Yulia Timoshenko, capo del partito Batkivschina, ha chiamato a raccolta la teppaglia dei pro-majdan, nazisti, delinquenti comuni e mercenari, invocando la costituzione di un movimento armato per riconquistare la nazione. Una dichiarazione sconsiderata e suicida che intende allargare il conflitto in atto. Sarebbe la guerra civile senza ulteriore possibilità di mediazione. Sono questi i sinceri democratici amati dall’Occidente? Contrariamente a quanto accaduto in Crimea i russi si sono tenuti fuori dai moti ma vigilano dai confini e con qualche “referente” sul posto. Hanno tracciato una red line che se oltrepassata li vedrebbe direttamente coinvolti. Il Cremlino ha già chiesto l’intervento degli osservatori internazionali e la discussione del tema nei principali consessi mondiali.
Le milizie del Donbass però controllano i centri strategici e nevralgici del territorio e non intendono arretrare davanti alle pesanti minacce del Ministro degli interni Avkov, il quale si è affidato ai provocatori di Settore destro e di Svoboda per accrescere il caos e capovolgere le sorti della battaglia. Si tratta di avventurieri senza criterio che mandano la gente a farsi ammazzare per conservare un potere al quale non hanno diritto perché lo hanno preso con la forza e con i finanziamenti esteri. Se non fossero sostenuti dalla propaganda occidentale sarebbero chiamati ovunque soltanto traditori e attentatori dello Stato. Sul terreno risultano anche all’opera mercenari di società private americane. Due uomini di nazionalità Usa sono stati bloccati ed interrogati dagli indipendentisti.
L’esercito locale ha preso in mano gli snodi strategici dell’area. Scrive il sito russo Pravda: “Slavyansk è il più grande hub ferroviario della regione, Krasny Liman la più grande stazione di smistamento, Kramatorsk un importante polo di ingegneria, Mariupol è la chiave per il Mare di Azov. Complessivamente, creano una zona di difesa intorno a Donetsk e Lugansk, bloccando la strada che conduce alle città”.
In Ucraina si sta combattendo l’ennesima partita geopolitica per interposte potenze. A Washington non stanno a cuore la libertà e la democrazia, quella è sola la facciata presentabile dei suoi obiettivi, ma l’allargamento della sua sfera egemonica a danno del principale player della regione, la Russia, che non ha dismesso le sue ambizioni geografiche e politiche.
Lo ha scritto e descritto, senza troppi giri di parole, anche l’analista americano George Friedman di Stratfor (global intelligence company vicina ai conservatori) il quale parla di mantenimento dei rapporti di forza nudi e crudi. Lo stesso Friedman, dopo aver constatato che molti membri di quell’area che interessano agli Usa “non condividono tutti i valori democratici del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti” suggerisce persino di abbandonare la retorica della democrazia e dei diritti civili per andare dritti allo scopo, perché “una mentalità guidata solo da buoni principi, che ora si sono rivelati illusioni, deve lasciare il posto ai calcoli della realpolitik.
Questi calcoli prevedono l’accerchiamento della Russia, per chiudere le sue valvole di sfogo territoriali, generando instabilità nel suo estero prossimo e restringendo i suoi tradizionali spazi di sicurezza. Si vuole, insomma, soffocare il Cremlino con una manovra a tenaglia armando e collocando basi nei paesi europei dell’ex patto di Varsavia, entrati nella Nato dopo il suo scioglimento, in quelli baltici (l’Europa non ha voce in capitolo su questi paesi che sono anche membri dell’Unione?) e in alcune Repubbliche caucasiche. Per fare tutto ciò il paravento della democrazia non basta. La Russia non starà di certo a guardare. La “reazione misurata” in Ucraina e il successo diplomatico in Siria attestano che Mosca ha imparato molte lezioni in questi anni di umiliazioni e ridimensionamenti. Le osservazioni e gli indirizzi di Friedman incontrano perciò immediatamente una replica russa: “The operation in the Donetsk region becomes a response to “color revolutions.” This is a very interesting response from a technological and methodological aspect: how to take power in a given region under the condition of a collapsing state. The declassified film about the actions of “little green men” in the Crimea, plus self-defense actions in Donetsk have demonstrated it to those who can see how Russia could respond to “color revolutions.” Uzbekistan, Kyrgyzstan are next – we are only showing that everything is not going to be so simple and easy” (Pravda).
L’entrata dei rapporti di forza mondiali in una fase sempre più multipolare farà cadere molti veli ideologici e le potenze dovranno confrontarsi con quegli eccessi frontali già conosciuti in passato. L’America si preoccuperà meno di coprire le sue operazioni militari con i pretesti democratici e le altre nazioni non si affliggeranno per le condanne o i riconoscimenti di una parziale Comunità internazionale. Queste sono le uniche regole che varranno nella presente fase storica e che si estremizzeranno nella prossima “era” policentrica.