LA DISINFORMATIJA OCCIDENTALE di G.P.

 

Il 20 marzo in Russia doveva essere il giorno dell’ira e della rabbia della piazza contro Vladimir Putin (a proposito, non si capisce come mai il Presidente Medvedev, pur essendo il più “alto in grado” in questa fase politica, resti artificiosamente avulso dall’idiosincrasia popolare e da quella mediatica occidentale, quasi si trattasse del leader di un altro Paese) ma si è trasformato nella solita kermesse arrogante e scarsamente frequentata, istigata a macchia di leopardo, in quattro gatti, da provocatori risaputi per dimostrare che il malcontento della nazione è diffuso e generale.
Balle sesquipedali montate ad arte dai mezzi mainstream per colpire le politiche nazionalistiche di una classe dirigente incarnata da Putin ma anche da Medvedev (i cui presunti dissapori col primo rientrano certamente nella normale dialettica tra membri dello stesso partito) la quale, sui destini della Russia, ha una solida comunità di prospettive e di intenti, supportata nelle sue azioni dai riscontri positivi ottenuti dopo un’intera era di saccheggi e predazioni seguita alla dissoluzione dell’URSS.
Ma per i nostri prezzolati giornalisti, per i prebendari di corte della “carta strampalata” e disinformativa italiana, da Vladivostok a Kaliningrad, i russi sono scesi in strada in massa per riprendersi un futuro che l’attuale governo starebbe ipotecando in malo modo. E quanti erano gli individui che affollavano l’orda popolare? Meno di cinquemila anime esagitate e distribuite su cinquanta città dello sconfinato territorio russo. Roba che qualsiasi questura italiana, già di per sé incline a dimezzare i numeri delle manifestazioni come accaduto, verbi gratia, anche  in quella recente di Roma organizzata dal PDL, avrebbe derubricato ad una fiaccolata o ad un assembramento di passeggiatori casualmente confluiti in un unico punto. Ma qui si parla della Russia, di un paese disallineato e non propenso a piegarsi all’impero occidentale, per cui qualsiasi scaramuccia o rissa da bar assume i contorni narrativi della protesta politica. Come sempre, in prima fila nell’avvelenamento delle notizie e dei fatti si schierano i demo-imbonitori di sinistra, i “newspaperi” (inesistente anglicismo ma molto calzante) starnazzanti di Repubblica o del Corriere, raccoglitori di menzogne piene e di mezze verità da amplificare per ragioni di bottega e di codinismo filo-atlantico. Certo, anche in Russia si sentono i morsi della crisi, del carovita, della disoccupazione, ma sono, come un po’ dappertutto, i frutti amari della debacle sistemica globale dalla quale non si sottrae nessun paese sviluppato. Per noi che siamo antieconomicisti e che cerchiamo la spiegazione di detti fenomeni oltre la superficie del mercato globale, la stessa crisi economica è effetto e non causa degli sconvolgimenti geopolitici dell’epoca attuale sulla quale la Russia sta incidendo col suo rinnovato peso geostrategico.
Una costante di queste sedicenti esplosioni antigovernative, che si vorrebbero riportare anche in altri contesti nazionali non del tutto supini ai diktat della superpotenza atlantica, è l’unione tra forze eterogenee cha vanno dalla sinistra ai comunisti, dai colorati ai libertari. Queste componenti rappresentano la parte più reazionaria della società civile, in Russia come in Italia. Forse la loro aderenza ai principi imperiali non sarà consapevole ma storicamente è questa la funzione deleteria che sono chiamate a svolgere. E tra questi nostalgici, spesso sono proprio i cosiddetti alternativi  puri e duri (di cervello, in primo luogo)  a garantire la riproduzione, sotto forme solo apparentemente antisistemiche, delle battaglie e delle parole d’ordine più retrograde. In un recente articolo diffuso sulla rete qualcuno ha persino proposto di mettere insieme in Italia “da un parte l’area che si ispira a principi di giustizia sociale (più o meno l’area di chi, fuori dalla casta, si definisce ancora “comunista”), poi l’area di chi mette al centro il problema della legalità (“popolo viola”, “grillini”, “Il fatto quotidiano”), infine l’area degli ecologisti (ovviamente quelli veri, estranei alla piccola burocrazia del partito verde)”.
Questa mistura di propugnatori dei sacri principi della carta costituzionale, di giustizialisti a senso unico, di vaffanculisti falsamente indignati e di mummie comuniste di un altro tempo storico, rappresenterebbe l’humus ideale per far proliferare la pletora di provocatori che nella confusione sociale trovano il loro principale alimento. Non è difficile pronosticare che se la situazione dovesse realmente peggiorare da quelle file verrebbero i nuovi picchiatori del XXI secolo. E sicuramente i loro intenti non sarebbero progressivi e orientati al benessere popolare come sperano i patrocinatori di queste macedonie ultrarivoluzionarie storicamente indigeste.
Invece di ammonticchiare le soggettività sociali, così come si presentano sulla scena politica e civile, pensando che il solo fatto di proclamarsi giusti e pii basti a rendere meno soverchianti i poteri dominanti, questi illustri pensatori dovrebbero impegnare il loro tempo in analisi più strutturali e oggettive che non si sdilinquiscano in sentimentalismi e illusioni (le quali, come diceva Lenin, sono la sorte dei deboli). Anzi, meglio ancora sarebbe se costoro convertissero definitivamente il loro romitaggio spirituale e accademico, che dà le allucinazioni politiche, in un meditativo silenzio. Ne guadagnerebbero tutti quanti.