La dittatura sanitaria e’ l’ultimo rifugio degli imbecilli

Karl-Marx

 

La situazione di emergenza mondiale nella quale siamo ancora immersi è stata una “fortuna” per la compagine eteroclita che guida l’esecutivo italiano. Senza questo “imprevisto” il governo dell’avvocato del popolo, ad insaputa del popolo, avrebbe avuto molte più difficoltà a tenere insieme la sua squadra fino a questo punto. La totale incompetenza dei nostri (in)decisori che non hanno saputo prendere di petto la pandemia (come hanno fatto altri Paesi, occidentali e non) con misure sanitarie adeguate e, soprattutto, correttivi economici di vero rilievo, sta mettendo in ginocchio la stabilità del sistema, già compressa da un decennio e passa di crisi globale.
C’è da aggiungere che una opposizione inesistente, incapace di assumersi le proprie responsabilità, ha favorito il degenerare di tutti gli aspetti della vita sociale. Questa opposizione non ha alcuna intenzione di sostituirsi alla maggioranza perché, probabilmente, ha meno idee di essa sul da farsi, vive di slogan assurdi buoni per la pancia ma non per la testa. Meglio aspettare il logoramento di chi c’è in sella ora per riprendersi la greppia domani. Le interessano i posti a sedere non cogliendo la natura del potere che non è spirito di razzia ai danni dei propri connazionali ma strategia per affrontare le sfide dei tempi.
Tutto ciò rappresenta il punto più basso della (non) politica mai raggiunto nello Stivale. La gente è stata colpevolizzata ed abbandonata, trattata alla stregua di bambini da rimproverare senza nemmeno il premio educativo per aver rispettato le regole. Ed infatti, a fronte di un gruppo dirigente che manda allo sbaraglio l’intera popolazione sono fioriti biechi complottismi da quattro soldi, alimentati da finti intellettuali del piffero i quali stanno soffiando sul fuoco per impedire che la collettività si svegli davvero. Ormai se ne sentono di tutti i colori. Ci sarebbe un disegno delle élite per calare sul mondo una dittatura sanitaria, i più arditi parlano persino di schiavitu’ sanitario-finanziaria, sublimando una sublimazione  “figosofica” già tutta da ridere, il cui segno bestiale sarebbero gli aghi di vaccini obbligatori conficcati nella pelle.
Ormai la si spara sempre più grossa per mistificare ciò che è già stato ampiamente sofisticato da lustri di cattive teoresi filosofiche e sociali. Siamo letteralmente nella merda concettuale, disabituati all’analisi seria e rigorosa dei rapporti che innervano il tessuto sociale. Ho persino letto che scopo di questa “dittatura sanitaria” sarebbe quello di desocializzarci per impedire il formarsi di una resistenza. Il problema è opposto, il capitale ha sempre socializzato tutto quel che si è trovato davanti. Questi guitti lanciano simili campagne da strapazzo sui social dai quali ovviamente vengono censurati ottenendo la prova provata dei loro deliri. Brutti imbecilli, state scambiando Facebook per la realtà e facendo questa incredibile confusione vi sentite perseguitati perché avete profferito chissà quale posizione scomoda. Come può la vostra mancanza di pensiero essere contrastiva di un pensiero unico, peraltro inesistente o non esistente nei termini in cui lo descrivete?
Maledetti filosofi della nuda vita e della desocializzazione. Costoro non hanno capito un bel niente ne’ del capitalismo passato e nemmeno di quello presente, se è lecito chiamarlo ancora così.
Eppure ci sono pagine bellissime de Il Capitale di Marx in cui il pensatore tedesco descriveva a quale grado di socializzazione il Capitale avesse portato la forze produttive e sociali dell’umanità. Vi siete dimenticati dell’isolamento delle campagne e della compartimentazione in cui agivano gli artigiani nelle città? Marx leggeva il capitalismo come un fenomeno comunque progressivo, un avanzamento incredibile nella storia degli uomini e dei loro rapporti sociali, qualcosa che tra mille contraddizioni li avrebbe condotti ad una società dell’abbondanza e del vero sviluppo individuale, ben oltre il becero individualismo psicologico borghese e l’odioso plusvalore sottratto alla gran massa dei lavoratori. Il capitalismo avrebbe posto le condizioni del comunismo che sarebbe sorto dalle viscere del primo e non dall’animo umano, la scappatoia più ipocrita mai inventata da intellettuali rivoluzionari e biechi arruffapopoli del cazzo. Tornate a studiare le cose serie e non fatevi derubare del cervello dai desocializzatori del buon senso.

“La proprietà privata acquistata col proprio lavoro, fondata per così dire sulla unione intrinseca della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui, ma, formalmente, è libero.
Appena questo processo di trasformazione ha decomposto a sufficienza l’antica società in profondità e in estensione, appena i lavoratori sono trasformati in proletari e le loro condizioni di lavoro in capitale, appena il modo di produzione una nuova forma la ulteriore socializzazione del lavoro e l’ulteriore trasformazione della terra e degli altri mezzi di produzione in mezzi di produzione sfruttati socialmente, cioè in mezzi di produzione collettivi, e quindi assume una forma nuova anche l’ulteriore espropriazione dei proprietari privati. Ora, quello che deve essere espropriato non è più iL lavoratore indipendente che lavora per sè, ma il capitalista che sfrutta molti operai.
Questa espropriazione si compie attraverso il giuoco delle leggi immanenti della stessa produzione capitalistica, attraverso la centralizzazione dei capitali. Ogni capitalista ne ammazza molti altri. Di pari passo con questa centralizzazione ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale, combinato, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.
Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.
Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.
La trasformazione della proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo, più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica, che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà sociale. Là si trattava dell’espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori, qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del popolo”.

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MARX: Il Capitale