LA DIVERSITA’ NON (SEMPRE) ARRICCHISCE
I popoli sono tutti diversi. Sono differenziati al loro interno, da città a città, da provincia a provincia, da regione a regione, da nord a sud (in Italia ne sappiamo qualcosa, persino di rivalità tra contrade), e a fortiori lo sono quando separati da confini, naturali o artificiali, nazionali e continentali. Esistono aree culturali più o meno omogenee (l’Occidente, l’Asia,l’Africa ecc. ecc.) in cui, benché stranieri gli uni agli altri, per lingua e non solo, è più semplice comprendersi in quanto si subiscono minime variazioni (divenute tali nel corso delle epoche, dopo conflitti ed eccidi) su una comune trama storico-sociale, ed altre con le quali i divari di tradizioni, credi, abitudini sono talmente ampi che ciascuno giudica delle bizzarrie le ataviche convinzioni/convenzioni altrui.
Dire che tutti siamo biologicamente umani, in quanto discendenti dalla razza sapiens, non accorcia queste distanze di un millimetro e non risolve le molteplici contraddizioni tra le persone, i gruppi, le comunità. E’ giusto che ognuno stia nel suo ambiente, che quando si sposti altrove, provvisoriamente o stabilmente, abbia sempre rispetto di quello in cui si reca senza giudicarlo dall’alto in basso o credendo di potersi liberare del suo passato (vedi certi snob nostrani i quali, come direbbe Pareto si americanizzano, si francesizzano, si germanizzano o più che altro si istupidiscono) tanto da immedesimarvisi totalmente, mantenendo la indissolubile consapevolezza che non esistono civiltà superiori o inferiori, essendo le civilizzazioni molteplici e variegate, anche se caratterizzate da marcati differenziali di sviluppo economico, tecnologico, scientifico ecc.
Detto ciò, affermiamo che la differenza tra raggruppamenti sociali appartenenti a diversi Stati arricchisce solo se colta nell’ambito di queste specificazioni. La diversità che intruppa coattivamente individui con radici distinte destabilizza, genera dissidi, fomenta violenze, procura immani disastri. Posso amare la cultura francese o inglese ma non sarò mai un francese o inglese e costoro prima o poi me lo farebbero notare, sbattendomi in faccia i loro luoghi comuni sull’Italia (è accaduto qualche giorno fa) cosicché, in un moto di rabbia, mi ritroverei a dichiarare guerra a Parigi e a Londra, tirando fuori il peggio di me stesso, anche qualora non fosse mia intenzione farlo.
I dissidi etnici delle grandi metropoli multirazziali, nascondono problemi ben più rilevanti, ma la miccia viene sempre accesa dalle sciocchezze di poco conto. Figuriamoci cosa potrebbe avvenire (ed avviene) con soggetti di etnie ancora più esotiche (per me, ovviamente, mentre esotico sono io per loro), con le quali ho pochissimo a che spartire. Ognuno si tenga i propri vizi e le proprie virtù evitando inutili frammischiamenti perché solitamente i difetti si sommano mentre i pregi si elidono. Gli islamici che, travasati in Europa o in America, formano comunità separate all’interno del paese accogliente, fanno benissimo. Idem i cinesi o altri. Non saranno mai come noi, cioè non saranno noi, se non dopo alcune generazioni. I radicamenti sfumeranno lentamente ma qualcosa resterà ugualmente appiccicato, tanto che diventeranno italo-qualcosa, ma difficilmente italiani tout court, anche se parleranno la nostra lingua meglio di molti “indigeni”. Dopo qualche secolo, gli immigrati italiani in America, per esempio, sono sempre italo-americani, nonostante i loro legami con la madre patria siano inesistenti e la loro idea d’Italia più che altro un mito. Nel frattempo però, restando uniti in terra straniera pareranno meglio i colpi dello “spaesamento” (lo hanno fatto i nostri connazionali ovunque si siano recati, con buone o cattive intenzioni. E non sono i soli). Saranno tenuti a rispettare le nostre leggi ma conservando la loro identità che nessuno vuole togliere loro. Sul lungo periodo le cose muteranno ma occorre dar tempo ai processi di decantare. Subito non si ottiene nulla, anzi, si finisce con l’alimentare un odio reciproco. Non avverrà una totale integrazione ma nasceranno dei corridoi culturali tra allogeni ed autoctoni in cui sarà più agevole incontrasi ed intendersi, piano piano.
In ogni caso, non va bene l’invasione di tanti corpi estranei nello stesso periodo come adesso pare avvenire. L’organismo sociale non ha il tempo di metabolizzare tutta questa alterità. Così si finisce male. Non ne ha colpa chi scappa da guerra o fame ma non ne hanno colpa nemmeno gli italiani, i quali, a loro volta, hanno subito le scelte sbagliate dei loro governanti. Ma i governanti possono essere irraggiungibili, bravi a scaricare le loro responsabilità, cosicché la frustrazione dell’uomo della strada si abbatte sul vicino “alieno”, pilotata proprio da chi sta in alto. Per questo chi invece specula sulle vite dei migranti per fare propaganda politica è un criminale. Tanto chi ha appoggiato i conflitti in quei contesti (quelli di sinistra), i quali adesso piangono per i fratelli martoriati in preda ai mari e respinti da crudeli razzisti, tanto quelli che (da destra) usano il razzismo bieco per mascherare una uguale sudditanza ai macellai internazionali, prendendosela unicamente con i fuggiaschi sventurati e non con chi ha causato le loro disgrazie.
Certo, non si può più accettare chiunque, aprendo le porte ad ognuno perché danneggeremmo tutti, chi arriva, chi c’è già da un po’ e, infine, noi stessi. Infatti, la misura è colma. Ma si sappia che buonisti e antibuonisti rappresentano due facce della stessa medaglia, per le ragioni brevemente accennate.
Ps.
L’ultima diatriba ancora in corso riguarda la sorte di circa 600 profughi imbarcati su una nave battente bandiera di Gibilterra, utilizzata da una ong francese, rifiutata dal porto di Malta. Ci sono pressioni per farla approdare in un porto italiano, come avvenuto spesso nei mesi passati. 600 disperati non sono tanti, ma ne sono arrivati a migliaia sulle nostre coste in tempi recenti e non è stato possibile accoglierli a dovere. Ovviamente, i migranti sono diventati, oltre che un argomento di disputa demagogica tra partiti, un’arma di ricatto contro l’Italia, utilizzata da forze esterne che dopo aver precarizzato i già fragili equilibri di vaste aree dell’Africa e del Medio-oriente intendono esportare il disordine direttamente al nostro interno. Non è possibile sottostare a queste minacce senza reagire. Purtroppo, pagano i più deboli ma in qualche modo occorrerà far capire che la musica deve cambiare. Si devono però denunciare e fermare i veri manovratori del torbido evitando di criminalizzare quelli che sono divenuti, sfortunatamente per loro, strumenti di un gioco molto più grande.