La fase multipolare e l’accentramento dei poteri. Di Luigi Longo

Multipolarismo imperfetto (2)

Multipolarismo imperfetto (2)

Multipolarismo imperfetto, dipinto di P. Audia.

[…] la legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla. E chi vuole cavare la sua briciolina da questo sfruttamento, deve attenersi strettamente alla legge.

Bertolt Brecht*

 

 

La fase multipolare

 

 

La fase multipolare sta perdendo la sua mobilità oscillante e si sta avviando con più decisione verso la configurazione di alcune potenze mondiali che siano in grado di competere, nel lungo periodo, con l’attuale potenza mondiale egemone degli USA che dà segni di instabilità. Con l’inizio della fase multipolare è giunto al culmine anche l’ammirazione e l’emulazione del modello statunitense.

Gli antichi spesso usavano la metafora di tipo biologico “ciascun impero o stato aveva la sua gioventù, la sua maturità, la sua vecchiaia”(1); i contemporanei parlano di crisi caratterizzata dalla fase di transizione egemonica (crisi-caos) alla fase della nuova egemonia (nuovo ordine) da parte di un nuovo stato-potenza o del riproporsi in forme nuove del vecchio stato-potenza egemonico (2).

Le potenze mondiali sono la Russia e la Cina che potrebbero mettere in discussione il dominio unipolare degli USA per un mondo multipolare. Gli USA temono in particolare la Russia, sia per ragioni storiche ( è il principale successore dell’ex Unione Sovietica implosa nel 1990-1991 ed è la protagonista di quasi mezzo secolo di guerra fredda), sia per ragioni pratiche ( per il suo potenziale arsenale militare soprattutto nucleare), sia per ragioni teoriche ( vedi la grande scacchiera di Zbigniew Brzezinski), sia per ragioni politiche ( è portatrice di una visione differente di società).

Gli USA-NATO stanno preparando con la servitù volontaria degli stati europei << il più grande rafforzamento militare ai confini della Russia dai tempi della Seconda Guerra Mondiale[…] in Asia, il Pentagono manda navi, aerei e forze speciali nelle Filippine per minacciare la Cina. Gli USA circondano già la Cina con centinaia di basi militari che formano un arco dall’Australia, e attraversano l’Asia fino all’Afghanistan. Barack Obama questo lo chiama un “pivot” >> (3). Ciò è da leggere non come possibili eventi bellici su grande scala nel breve periodo, ma come mosse tattiche-strategiche perchè attraverso << […] una guerra minacciata e non agita si raggiungono diversi risultati: 1) il complesso scientifico-militare-industriale tira come se fosse in guerra con evidenti benefici economici interni anche in funzione dell’export (Obama toglie l’embargo al Vietnam ed invita tutti gli alleati a spendere di più per gli armamenti, apposta essendo il principale fornitore della merce e l’ultimo G7 tende a sdoganare la ripresa degli “investimenti statali” con tanto di paper IMF che riconsidera i meriti del neoliberismo e suggerisce un po’ di keynesismo giudizioso); 2) gli “alleati” riottosi, sono spinti a superare le proprie resistenze da una continua escalation delle tensioni e con ciò sottratti al dialogo col nemico e riportati nel recinto amico; 3) i nemici, sono costretti a competere nell’escalation degli investimenti militari e con ciò, rallentare il loro sviluppo economico (Cina) o rischiare di diventare una leadership che non dà benessere (Putin) e come tale, che perde consenso sociale e quindi, prima o poi, da cambiare. Poiché ogni potenza è formata da stratificazioni interne di diversi interessi, alcune parti del complesso militar industriale russo o cinese, potrebbero avere cieco interesse a seguire questa escalation poiché dà a loro, nel gioco del potere interno, più centralità e forza. Si notano quantità crescenti di minacciosi articoli, libri, dichiarazioni di militari o esperti occidentali che è evidente parlano alle loro controparti russe e cinesi, proprio per riscaldarle e dar loro materiale col quale allarmare le proprie leadership politiche. Ne consegue una possibile deduzione ipotetica: ogni parola in più spesa nell’aumentare l’isteria da guerra imminente, fa il gioco americano di alimentare l’escalation e con ciò, irrigidire le relazioni internazionali affinché il tempo rallenti, affinché i nemici siano paralizzati dallo sforzo di difesa e gli amici riottosi, congelati nel “o di qua o di là”. La guerra ibrida è calda nelle minacce e fredda nell’esito >> (4).

Gli USA hanno chiesto e ottenuto un aumento della << […] spesa militare dei Paesi europei che fanno parte della Nato [e] aumenterà quest’anno per la prima volta dopo quasi un decennio. Non sono stati diffusi dati ufficiali ma è certo – come ha affermato il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg – che le tensioni, non solo economiche, con la Russia di Vladimir Putin e la crisi dei migranti stanno facendo aumentare i problemi di sicurezza in tutto il continente. «Le previsioni per il 2016, sulla base dei dati preliminari che ci hanno fornito le Nazioni alleate, mostrano che ci sarà per la prima volta, dopo molti, molti anni, un incremento delle spese tra i Paesi europei», ha detto Stoltenberg in un’intervista al Financial Times. Una svolta ancora più significativa in vista del vertice che si terrà a luglio in Polonia per decidere i movimenti delle truppe Nato ai confini con la Russia […] Nel 2015 gli alleati europei nella Nato hanno speso per la difesa 253 miliardi di dollari contro i 618 miliardi spesi dagli Stati Uniti. Per rispettare l’accordo che prevede una spesa minima pari al 2% del Pil, i Paesi europei dovrebbero aumentare di 100 miliardi il loro budget militare annuale. Il loro contributo attuale si ferma infatti all’1,43% del prodotto interno lordo >> (5).

En passant: storicamente non esiste una Europa come soggetto politico autonomo << Nel corso dell’Ottocento, un secolo di pace (1815-1914) dopo venticinque anni di guerre ai tempi della Rivoluzione e dell’Impero, l’Europa si stabilizza con un ordine interno fondato sul fragile equilibrio diplomatico e militare fra stati in competizione economica. Il fallimento di Napoleone conferma un dato che sarà riconfermato nuovamente dal fallimento di Hitler: i paesi europei rifiutano una unificazione che preluda o prenda le forme di un impero egemonico. Il loro modello consiste in una organizzazione pluralistica di stati che dovrebbero coincidere con altrettante “identità nazionali”[…] >> (6) e << L’Unione Europea [a partire dal secondo dopoguerra con l’egemonia mondiale USA, mia specificazione] non sarebbe mai diventata tale se non fosse stata il progetto, pensato, finanziato e guidato segretamente dagli Stati Uniti, di uno Stato Federale europeo politicamente a loro legato, per non dire vassallo degli Usa, come è emerso da documenti alcuni venuti alla luce nel 1997, altri desecretati nel 2000 grazie a un ricercatore della Georgetown University di Washington, Joshua Paul. Un piano volutamente portato avanti sotto traccia e gradualmente dal dopoguerra a oggi, fino all’accordo economico transatlantico siglato nel 2007, mai ricordato […] concretizzatosi nel poco discusso e non ancora ratificato TTIP.

A rilanciare questa narrazione – già oggetto nel 2000 di un breve articolo del Telegraph di un giovane Ambrose Evans-Pritchard [ è stato] […] soprattutto […] un libro inglese divenuto un best seller (Christopher Brooker , Richard North, The Great Deception. A Secret History of the European Union, Continuum 2003 […] >> (7).

Non sto parlando di un mondo multipolare dove le relazioni sociali dei Paesi sono determinate dalla maggioranza delle popolazioni, no, sto parlando di un mondo multipolare dove le relazioni sociali dei Paesi sono determinate dalle strategie degli agenti dominanti del conflitto strategico mondiale (8).

Se leggiamo la storia mondiale divisa, nell’accezione lagrassiana, in tre grandi fasi, unipolare, multipolare e policentrica, dobbiamo ragionare sulle diverse strategie di dominio nelle diverse fasi: unipolare, dove prevale un dominio basato sul consenso e sulla “democrazia” ( rispetto formale della Costituzione); multipolare, dove prevale un dominio basato su una forte riduzione della democrazia e si preparano nuove forme di istituzioni per l’accentramento del potere-dominio ( modifica della Costituzione); policentrica, dove prevale la forza del dominio con annullamento della democrazia attraverso varie fasi di eccezione (sospensione della Costituzione).

La fase unipolare è caratterizzata dalla prevalenza delle varie sfere, economica, politica, istituzionale e culturale, con processi di crescita, di sviluppo e di allargamento della democrazia (il nuovo ordine con un centro di coordinamento mondiale dopo la fase policentrica).

Le fasi multipolare (caratterizzata dalla altalena della crisi d’epoca) e policentrica comportano una prevalenza delle varie sfere, politica, istituzionale e militare nella direzione di un accentramento istituzionale e territoriale del dominio (la formazione delle potenze mondiali e lo scontro decisivo per l’egemonia mondiale).

E’ importante, a mio avviso, capire il peso delle sfere sociali ( una sorta di fascio di luce che illumina l’insieme della formazione economico-sociale) e la costituzione degli agenti strategici egemoni (dominio), espressioni del potere degli agenti strategici delle varie sfere, che decidono le strategie politiche di un Paese e le relazioni nelle gerarchie di dominio nelle suddette fasi storiche mondiali. Da qui è possibile costruire la filiera del dominio delle relazioni mondiali con il centro di coordinamento ( fase unipolare), con le diverse potenze mondiali (fase multipolare) e con i blocchi determinatisi delle potenze mondiali nel conflitto per la egemonia mondiale (fase policentrica). Altrimenti, se così non fosse, si rischierebbe di ricadere sempre nella sfera economico-finanziaria (logica economicistica) delle relazioni sociali ( impresa, area di influenza economica, approntamento di infrastrutture, relazioni finanziarie, eccetera) che è importante come strumento non come decisione strategica determinante per un disegno egemonico soprattutto nelle fasi multipolare e policentrica.

Per esempio, è la logica economicistica che ha fatto dire allo storico Angelo Del Boca e alla leader del Front National francese, Marine Le Penn, che la responsabilità della distruzione della Libia è stata della Francia. Essi hanno visto i processi economico-finanziari della Francia ma non i processi strategici della potenza mondiale egemone USA.

 

 

L’accentramento dei poteri

 

 

E’ da tempo che i Paesi dell’Europa hanno messo mani alle loro Costituzioni intese come cornice formale dei fondamenti della società basata sul modo di produzione capitalistico ( tutto da ri-definire e ri-elaborare) (9). Lo hanno fatto non per consentire una profonda e reale partecipazione della maggioranza del popolo alle decisioni che regolano la vita di un Paese, ma lo hanno fatto su mandato della Commissione Europea (una istituzione che non rappresenta direttamente nè il Parlamento Europeo eletto dalle popolazioni europee nè il Consiglio Europeo) (10) a servizio delle strategie dei predominanti USA e dei subordinati europei gerarchicamente intesi ( la Germania, il maggiordomo della servitù, la Francia, eccetera).

Non leggerò le modifiche delle Costituzioni dei Paesi europei a partire dalla introduzione nei rispettivi ordinamenti delle politiche europee sul patto di bilancio europeo (Fiscal Compact), sul pareggio di bilancio e sulla riduzione del debito pubblico, leggerò, invece, brevemente, a partire dalla riforma della Costituzione italiana che sarà l’oggetto del referendum di Ottobre prossimo, la questione dell’accentramento dei poteri istituzionali e territoriali in funzione delle strategie USA (11). Brevemente: le suddette politiche europee, queste politiche europee!, recepite dai parlamenti nazionali, hanno realmente stravolto illegalmente le Costituzioni che, oltre a segnare un elevato degrado sociale nazionale ed europeo, hanno portato soprattutto nelle nazioni deboli ( esempio la Grecia, ma non solo) devastazione sociale, economica, politica e culturale. E’ la strategia del divide et impera degli USA, è l’americanizzazione delle costituzioni che passa attraverso i Trattati dell’EU ( dal Trattato che istituisce la Comunità europea dell’acciaio e del carbone al Trattato di Lisbona) e gli Accordi commerciali di nuova generazione tra USA e UE (TTIP). L’americanizzazione della vita materiale nazionale ed europea è già avvenuta e per dirla con Raimondo Luraghi, americanista, storico militare e combattente partigiano pluridecorato, << Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente: non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di comportamento americani penetrano, per il bene come per il male, tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente non appaia >> (12).

L’Italia è l’anello debole dei Paesi dell’UE, ma è fondamentale per la sua geografia, per il suo territorio, per le sue città dove sono localizzate le basi NATO-USA e le infrastrutture tecnologiche militari avanzate, funzionali alle strategie USA sia in Europa, sia nel Mediterraneo, sia nel vicino Medio Oriente. E’ questo ruolo determinante che i nostri sub-dominanti devono garantire ai pre-dominanti USA e mai come adesso nella storia della Repubblica italiana si è vista una perdita così pesante di sovranità e di democrazia sovrana (13). E’ questo l’obiettivo prioritario della riforma costituzionale cioè la codifica del rafforzamento del potere esecutivo su quello legislativo in modo da accelerare e restringere la catena del comando degli agenti sub-dominanti italiani in funzione delle strategie dei pre-dominanti statunitensi per gli scenari che si andranno a configurare nella fase multipolare. La nuova legge elettorale, le modifiche della Costituzione, l’elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici della Corte Costituzionale e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, eccetera, vanno inquadrate nel ruolo che si configura all’Italia nella fase multipolare per cui il vero problema è quello della sovranità reale e della democrazia sovrana reale.

Per cui attardarsi sulla forma istituzionale senza collegarla alla sostanza è fuorviante e non fa capire, per esempio, perché un Presidente della Repubblica ha avallato l’invasione e la distruzione della Libia; così come attardarsi sul meccanismo del controllo e bilanciamento reciproco ( detto con chiarezza nella nostra bella lingua italiana anzichè “Check and balance”, in piena servitù linguistica!) dei poteri non fa capire che è una illusione storica, come ha chiarito molto bene Louis Althusser (14), perché il blocco sociale dei sub-agenti dominanti egemoni include tutti i poteri degli agenti dominanti di tutte le sfere della società, inclusa la Magistratura.

La cornice della Costituzione, che regola le relazioni e i rapporti sociali del Paese con la farsa delle categorie eterne, (per usare una categoria di Petr I. Stucka giurista e ministro della giustizia della rivoluzione russa), dei diritti e doveri tra rapporti sociali asimmetrici e lo scarto con la realtà materiale dei rapporti sociali, è cambiata da tempo, da molto tempo! nella sostanza; attardarsi a difendere la Costituzione nata dalla Resistenza è una offesa ai caduti della Resistenza che certamente non hanno combattuto e dato la vita per questa Costituzione ma l’hanno data per nuove relazioni sociali, per nuovi rapporti sociali, per un alto ideale di vita e di Nazione.

 

A questo punto, a comprova del suddetto ragionamento riporto una sintesi, con notarelle critiche, delle relazioni tenute dal nuovo presidente della Confindustria (che è luogo di costruzione della filiera del dominio attraverso l’intreccio inestricabile del potere privato-pubblico) e dal nuovo Ministro dello Sviluppo economico del Governo, relazioni tenute a Roma all’Assemblea del 26 maggio scorso.

Vincenzo Boccia ha precisato le linee strategiche della Confindustria:

 

  1. La fine della ideologia del “piccolo è bello”. << L’industria del futuro richiede dimensioni adeguate. Per questo dobbiamo crescere. Crescere deve diventare la nostra ossessione. Il nostro dovere, la nostra responsabilità verso il Paese. Ricordando a tutti, a partire da noi stessi, che “piccolo” non è bello in sé, ma è solo una fase della vita dell’impresa. Si nasce piccoli e poi si diventa grandi >> (pag.7).
  2. Il ripensare l’impresa con le nuove tecnologie digitali (innovazione 4.0), che vengono confuse con le stesse portate dalle precedenti tecnologie industriali, risultato di rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, in termini di sviluppo e di salto dell’insieme delle relazioni nazionali e mondiali (15), e un timido tentativo di reazione al dominio delle banche. <<[…] lavoreremo affinché al programma “Elite” di Borsa Italiana partecipi un numero molto più ampio di imprese, un numero che deve passare da poche centinaia a diverse migliaia. Alle banche, però, vogliamo strappare una promessa. Quella di tornare dentro le imprese, a parlare con noi imprenditori. Nei nostri capannoni, non nei vostri uffici. Dovete vedere quello che produciamo, come lo produciamo e con quali persone. Venite a conoscere gli asset intangibili: per esempio, i rapporti con i clienti e i fornitori, il management, i brevetti, i marchi, la nostra reputazione, le relazioni con il territorio, le reti commerciali, i contratti di secondo livello che rilanciano la produttività. Sono elementi qualitativi che vanno valutati al pari delle voci quantitative del bilancio e voi dovete assumervi questo rischio e questa responsabilità >> ( pp.7-8).
  3. Lo sviluppo dell’impresa è pensato solo nei settori tradizionali del cosiddetto “made in Italy” tenendo fuori i settori della nuova ricerca scientifica e tecnologica e non pensando minimamente alle imprese strategiche del Paese. << Dimensione qualitativa significa anche statura internazionale: portare i nostri prodotti e i nostri servizi nel mondo, intercettando quella classe media che nei nuovi mercati si allarga e apprezza sempre di più il “bello e ben fatto” italiano. Per questo importante obiettivo dobbiamo mettere insieme tutti gli attori, pubblici e privati, in un progetto strategico per accompagnare il Made in Italy all’estero, rafforzando i servizi di assicurazione e di finanziamento. Sull’internazionalizzazione molto è stato fatto, andiamo avanti in questa direzione >> (pag.9).
  4. La produttività del Paese è pensata sempre e solo dal lato del costo del lavoro come se per una impresa fosse determinante il livello di sfruttamento, inteso nell’accezione marxiana, dei lavoratori e delle lavoratrici e non invece la sua capacità politica-strategica, la sua strategia di processo e di prodotto, la sua abilità di penetrazione nei mercati, il suo livello di R&S, il suo saper fare e creare reti territoriali, eccetera.<< La variabile decisiva per le nostre imprese è la produttività. E nell’andamento della produttività c’è la causa della lenta crescita Due numeri sono da tenere bene a mente: dal 2000 a oggi la produttività nell’intera economia è salita dell’1% in Italia, contro il 17% dei nostri maggiori partner europei. Nel manifatturiero i distacchi aumentano: +17% da noi, +33-34% in Germania e Spagna, +43% nel Regno Unito e +50% in Francia. Il nodo da sciogliere è qui. Siamo tutti chiamati in causa: la produttività, infatti, è il frutto delle azioni e dei comportamenti dell’intero Paese. Tutti, dunque, dobbiamo impegnarci allo spasimo per ristabilirne una tendenza adeguata alle nostre potenzialità e alle opportunità offerte dalle tecnologie e dai nuovi mercati. Su un punto, però, vogliamo subito fare chiarezza, per rispondere a chi sostiene che sia mancato lo stimolo dell’aumento del costo del lavoro a cercare maggiore efficienza e a innalzare il valore dei nostri prodotti. Al contrario, il costo del lavoro è aumentato più che in altre economie: nel manifatturiero, sempre dal 2000, è salito del 56% in Italia, rispetto al 58% di Francia e Spagna, il 55% del Regno Unito e il 36% della Germania. In base a questi numeri, dovremmo essere campioni di produttività. Consideriamo da sempre lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio >> ( pp.9-10).
  5. L’attacco a quello che resta dello stato sociale e la privatizzazione, nonché la corporativizzazione sociale, dei servizi fondamentali per la tutela e la salute della popolazione. << I mutamenti sociali degli ultimi decenni sono evidenti a tutti: gli italiani sono sempre più anziani, i nuclei familiari più fragili, le esigenze di salute in aumento. Conciliare lavoro e vita privata è puro equilibrismo. Come sanno le colleghe imprenditrici sedute qui in sala, che lavorano e accudiscono i figli, tenendo le redini di casa e azienda. Spesso, sono più capaci di riconoscere nei collaboratori la loro stessa fatica e di intuirne le Alla luce di questi cambiamenti sociali, e consapevoli che lo Stato andrà via via restringendo il proprio raggio di azione nelle politiche sociali, il welfare aziendale ( corsivo mio) rappresenta per noi una grande sfida >> ( pag.13).
  6. La lettura economicistica della crisi attuale paragonata per analogia a quella della grande crisi del ’29, invece di leggere l’attuale crisi come crisi d’epoca che trova la sua analogia con la lunga crisi di fine secolo XIX (1873-1895), una lunga fase multipolare che sfociò nella fase policentrica mondiale con la prima grande guerra (16). << L’aumento delle disuguaglianze dentro i paesi avanzati è una delle cause ultime della crisi. La crescita globale non si consolida. Il Fondo Monetario Internazionale ha da poco abbassato ulteriormente le proprie stime. Gli esperti parlano di “stagnazione secolare”. È una diagnosi che riporta indietro le lancette dell’orologio a un’era che non vogliamo rivivere: gli anni Trenta e il mondo aveva davanti a sé scenari tetri. Lo stallo non è soltanto economico, è anche politico. Soprattutto politico. L’Europa sembra scricchiolare. Il prossimo 23 giugno il Regno Unito sceglierà se restare o meno all’interno dell’Unione europea. Se decidesse di no, sarebbe il primo paese a lasciare. Le conseguenze di questa scelta sono difficilmente immaginabili. In caso di “Brexit” a essere indebolita sarebbe la credibilità stessa del progetto europeo. Da quel momento in poi, ciascuno Stato potrebbe decidere di sfilarsi, se non ritenesse esaudite le proprie richieste. Un effetto domino da scongiurare. Oggi l’Europa ci appare fredda, astratta, capace soltanto di imporre sacrifici e rigore. Non era così meno di 25 anni fa. L’età di molti dei nostri figli. Nel 1992 Jacques Delors lavorava per far nascere il Mercato Unico e al Parlamento europeo affermava: “La nostra ambizione è sempre stata una società più accessibile per tutti. È con questo obiettivo che l’Europa rimarrà fedele al suo modello di società, alla sua tradizione di apertura e di generosità”. Quella era l’Europa per la quale ci siamo battuti. E quell’Europa esiste A ricordarcelo sono i migranti che, a centinaia di migliaia, fuggono dalle guerre e dalla miseria. Ai loro occhi l’Europa possiede quei valori che noi abbiamo dimenticato: stabilità, benessere, pace. La loro sofferenza risveglia in noi la memoria storica, che abbiamo smarrito nel corso delle generazioni. Papa Francesco, il Papa venuto da lontano, pochi giorni fa ha detto: “Sogno un’Europa in cui essere migrante non sia un delitto, bensì un invito a un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano”. La libera circolazione è, anzitutto, delle persone. Schengen è una conquista di civiltà, rinunciarvi sarebbe imperdonabile. Dobbiamo, dunque, opporci con tutte le nostre forze alla costruzione di muri, che siano fatti di filo spinato o di posti di blocco, che siano fra la Serbia e l’Ungheria oppure fra l’Austria e l’Italia. Chiudere il Brennero è come bloccare un’arteria: causerebbe un infarto. Ricordando che, poco meno di trent’anni fa, noi in Europa i muri li abbattevamo! >> (pp.14-15).
  7. La riforma Costituzionale come accentramento dei poteri e delle istituzioni con le loro articolazioni territoriali ( il clero universitario regolare è già al lavoro per il loro accentramento) (17). << Molte e complesse, dunque, sono le azioni da intraprendere in seno all’Europa e in questo processo l’Italia deve poter giocare un ruolo all’altezza della sua storia e dell’Europa che sogniamo. Questo ci obbliga a essere responsabili e a proseguire con forza sulla strada delle riforme. Perché non può esistere un capitalismo moderno senza una democrazia moderna, senza Istituzioni moderne. Solo così possiamo tornare a essere un Paese autorevole, capace di dialogare alla pari con gli altri. A Bruxelles come in ogni sede Per noi le riforme non hanno un nome, ma un oggetto. Non conta chi le fa, ma come sono fatte. E se noi le condividiamo, le sosteniamo. Le riforme non sono patrimonio dei partiti, ma di tutti i cittadini. E quindi anche nostro. Appartengono alla nostra storia di Confindustria fin dagli

anni Novanta. Le riforme sono la strada obbligata per liberare il Paese dai veti delle minoranze e dai particolarismi, che hanno contribuito a soffocarlo nell’immobilismo. Le riforme possono inaugurare una grande stagione della responsabilità, nella quale chi governa sceglie e prende decisioni e il consenso si misura sui risultati. Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di mano >> (pp.18-19).

 

Carlo Calenda ha tracciato le linee guida del Governo, che si intrecciano e si completano con quelle della Confindustria, che si possono così sintetizzare:

  1. << Al populismo non si può dunque rispondere che rafforzando la nostra

capacità di reazione alle sfide globali. Per portare i nostri ideali nella realtà di un mondo più duro e difficile occorrono una governance forte e politiche più

orientate al realismo. Questo vale in particolare per la politica commerciale dell’Unione oggi paralizzata dalla incapacità degli stati membri di fronteggiare l’inquietudine dei propri cittadini. Dobbiamo invece spiegare che solo attraverso la costruzione di una alleanza economica tra paesi che accettano le stesse regole e standard elevati, potremo finalmente riprendere il timone della

globalizzazione. Di questo progetto l’accordo transatlantico, il TTIP, è l’asse

portante ( corsivo mio). Non possiamo perdere questa occasione >> (pp. 4-5).

  1. << Tra il populismo di chi strumentalizza le paure dei cittadini per rifiutare le sfide della modernità; e l’idealismo di chi non riesce ad affrontare la realtà per paura di perdere i propri ideali, esiste una diversa strada che dobbiamo percorrere: quella di una politica coraggiosa e assertiva e di istituzioni veloci

e reattive ( corsivo mio). Per questo il tema della riforma delle istituzioni è oggi così centrale: in Italia e in Europa ed è, in entrambi i casi, alla base di ogni seria politica sulla competitività. Sulla riforma dello Stato in Italia ci giochiamo una partita cruciale. Non possiamo più rimanere in balia dei veti locali quando si parla di infrastrutture fondamentali o avere processi legislativi infiniti ( corsivo mio). Affrontare così la competizione internazionale è impossibile! Il referendum serve per far diventare i cittadini, e non Renzi, padroni dell’Italia >> (pp.5-6).

  1. << Le iniziative che metteremo in campo possono essere ricondotte a due filoni: le politiche industriali attive e le politiche per la produttività totale dei fattori. Per quanto riguarda le prime i tre assi fondamentali di investimento saranno innovazione, internazionalizzazione e crescita dimensionale. L’innovazione avrà come perno il nuovo manifatturiero, quell’Industria 4.0 di

cui molto si parla ma che per ora ha prodotto poche iniziative concrete, e non

solo in Italia […] Sull’internazionalizzazione potenzieremo il piano straordinario per il Made in Italy [..]. Gli USA rimarranno il paese su cui investiremo di più. L’anno scorso è stato per le nostre esportazioni un anno record >> (pp.9-10).

  1. << Aumenterò poi l’impegno sull’attrazione di capitale di crescita e investimenti diretti esteri. Su questo punto desidero essere chiaro. Per me un’azienda è italiana quando opera in Italia.

La proprietà dell’impresa riguarda l’imprenditore, l’attività di impresa riguarda

anche la società. Io non devo difendere l’italianità delle imprese ma le

imprese italiane. Che è cosa ben diversa >> (pag.11).

 

Riporto, infine, un passo di Niccolò Macchiavelli perché, parafrasando Karl Marx, (18) sono sorpreso di trovare nelle cose più antiche le cose più recenti: << Considerato dunque tutte le cose di sopra discorse e pensando meco medesimo se al presente in Italia correvano tempi da onorare uno nuovo principe, e se ci era materia che desse l’occasione a uno prudente e virtuoso d’introdurvi forma che facessi onore a lui e bene alla università delli uomini di quella, mi pare concorrino tante cose in benefizio di uno principe nuovo che io non so qual mai tempo fussi più atto a questo. E se,come io dissi, era necessario, volendo vedere la virtù di Moisè, che il populo d’Isdrael fussi stiavo in Egitto, e a conoscere la grandezza dello animo di Ciro ch’è persi fussino oppressati da’ medi, e la eccellenza di Teseo che li ateniesi fussino dispersi, così, al presente, volendo conoscere la virtù di uno spirito italiano, era necessario che la Italia si riducessi ne’ termini presente e che la fussi più stiava che li ebrei, più serva ch’è persi, più dispersa che gli ateniesi: sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa, e avessi sopportato d’ogni sorte ruina.

E benché insino a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno da potere iudicare ch’è fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto come di poi, nel più alto corso delle azioni sua, è stato da la fortuna reprobato in modo che, rimasa come sanza vita, aspetta quale possa essere quello che sani le sua ferite e ponga fine a’ sacchi […] Vedesi come la priega Iddio che li mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà e insolenze barbare; vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera pur che ci sia uno che la pigli >> (19).

Gianfranco La Grassa, nel suo scritto << Si contano gli alberi: e la foresta? >> (20), così concludeva << Il risanamento non è per nulla certo; e, se ci sarà, avrà tempi assai lunghi. Risalta in ogni caso con forte drammaticità l’assenza di una forza politica, che abbia almeno il proposito di iniziare una cura. D’altra parte, nessuna cura sarà mai apprestata se non si parte da un corretto ripensamento critico dell’esperienza “democratica”, che ha creato, dopo 70 anni, il deserto nei cuori e nei cervelli di una popolazione allo sbando >> già,[…] occorre un moderno principe sessuato gramsciano all’altezza dei tempi […].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*L’epigrafe riportata è tratta da Bertolt Brecht, Teatro. L’opera da tre soldi, Einaudi, Torino, 1978, Volume primo, pag. 481.

 

 

NOTE

 

 

1.Greg Woolf, Roma. Storia di un impero, Einaudi, Torino, 2014, pag. XIV; si veda anche Carlo M. Cipolla, Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, il Mulino, Bologna, 1989, pp.209-224.

2.Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Bruno Mondadori, Milano, 2003.

3.John Pilger, Mettere tutto a tacere nell’America che si prepara alla guerra in www.sakeritalia.it, 30 maggio 2016, pag.2. Si veda anche The Saker, La Russia si sta preparando alla terza guerra mondiale in www.sakeritalia.it, 29 maggio 2016; Manlio Dinucci, Escalation USA contro la Cina in il Manifesto del 1 giugno 2016.

4.Pierluigi Fagan, Termodinamica delle relazioni internazionali in www.megachip.globalist.it, 04/06/2016.

5.Luca Veronese, Nato, torna a crescere (dopo 10 anni) la spesa militare dei Paesi europei in il Sole 24 Ore del 31 maggio 2016.

6.Perry Anderson ed altri, a cura di, Storia d’Europa, Einaudi, Torino, 1993, Volume I, pag. XXVIII. Si veda anche di Ludwig Dehio, Equilibrio o egemonia. Considerazioni sopra un problema fondamentale della storia politica moderna, il Mulino, Bologna, 1988.

7.Maria Grazia Ardizzone, L’UE dalle origini al TTIP. Le operazioni segrete Usa per dar vita a uno Stato Federale Europeo in www.ariannaeditrice.it, 3 giugno 2016.

8.Gianfranco La Grassa, Navigazione a vista. Un porto in disuso e nuovi moli, Mimesis/Eterotopie, Milano-Udine, 2015.

9.Su questi temi si rimanda ad una vecchia lettura di Ugo Rescigno, tutta interna alla logica di un marxismo economicistico, Costituzione italiana e stato borghese, Savelli, Roma, 1975.

10.La Commissione Europea è << […] un gruppo o “collegio” di commissari, uno per ciascun paese […] è il braccio esecutivo politicamente indipendente dell’UE. E’ l’unico organo cui compete redigere le proposte di nuovi atti legislativi europei. Inoltre attua le decisioni del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’UE [ ma non è un braccio politicamente indipendente dell’UE?, mia domanda ] >>. Il Consiglio Europeo è formato dai capi di Stato o di governo dei Paesi membri, il presidente della Commissione europea, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Sulle istituzioni europee e sul loro ruolo si rimanda a www.europa-eu/about-eu/institutions-bodies/index_it.htm .

11.La lettura terrà conto del referendum costituzionale di Ottobre 2016 (i testi, divisi in tre parti, della riforma costituzionale in www.camera.it, www.wikipedia.org, voce Referendum costituzionale del 2016 in Italia), della relazione del Presidente della Confindustria all’Assemblea del 26 maggio 2016 (www.confindutria.it ), della relazione del ministro Carlo Calenda all’Assemblea della Confindustria del 26 maggio 2016 (www.sviluppoeconomico.gov.it ) e della relazione annuale della Banca d’Italia del 31 maggio 2016 (www.bancaditalia.it ).

  1. Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI.

13.Sul ruolo subordinato dell’UE agli USA, sulla perdita della sovranità nazionale e sul concetto di democrazia sovrana nella fase multipolare si veda Jacques Sapir, La Russia e il “mondo multipolare” in www.ariannaeditrice.it ,6/6/2016.

14.Louis Althusser, Montesquieu la politica e la storia, Savelli, Roma, 1974.

15.<< Rivoluzione comunal-contadina dei secoli XI-XIII, Rivoluzione Scientifica del secolo XVII, Rivoluzione Industriale dei secoli XVIII e XIX: la nostra società contemporanea è stata forgiata da queste tre rivoluzioni legate l’una all’altra da un filo che ex post appare ancor più logico addirittura quasi ineluttabile. Rivalutazione sociale del lavoro sia dipendente che manageriale, connubio della scienza e della tecnica, trionfo del metodo sperimentale e della misurazione quantitativa di precisione, applicazione della ricerca-tecnologica a fini produttivi, fede nella sostanziale bontà dello sviluppo tecnologico e nella libera circolazione delle conoscenze tecnologiche e scientifiche, concentrazione del lavoro e del capitale nella fabbrica, dipendenza dell’intero sistema economico da fonti di energia inanimata ( soprattutto petrolio e carbone): i caratteri dominanti delle nostre strutture mentali, culturali, sociali ed economiche sono il prodotto delle tre Rivoluzioni. Ma la traccia di quelle Rivoluzioni non si esaurisce in Europa. Le tre Rivoluzioni in questione segnarono le tappe di uno sviluppo che si impose via via al resto del mondo >> in Carlo M: Cipolla, op.cit., pag.417.

16.Gianfranco La Grassa è stato uno dei pochi studiosi a capire subito, con il suo paradigma del conflitto strategico, l’analogia dell’attuale crisi d’epoca con quella della lunga fase multipolare della Grande depressione di fine Ottocento.

17.Sul concetto di clero universitario regolare rinvio a Costanzo Preve, Il ritono del Clero. La questione degli intellettuali oggi, Editrice C.R.T., Pistoia1999, pp.27-30. Sulle nuove questioni che propongono l’accentramento territoriale e la riconfigurazione di nuove aree regionali si veda il “progetto Nord” inteso come una “regione multi-nodale del mondo” avanzato dalla Fondazione IRSO (fondata nel 1974 da Federico Butera, ha come partner le maggiori università italiane) in Paolo Perulli e Angelo Picchieri, La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

18.Marx-Engels, Carteggio, Volume quinto (1867-1869), Editori Riuniti, Roma, 1972, pag.165.

19.Niccolò Macchiavelli, Il principe, a cura di Ugo Dotti, Feltrinelli, Milano, 2011 ( diciassettesima edizione), pp. 227-228.

  1. Gianfranco La Grassa, Si contano gli alberi: e la foresta? In www.conflittiestrategie.it, 8/6/2016.