LA FILOSOFIA FEMMINILIZZATA
I filosofi che parlano di società femminilizzata o svirilizzata non solo non conoscono la storia ma non hanno mai nemmeno compreso la vera “natura” dei rapporti sociali capitalistici.
Vediamo cosa scrivono alcuni di questi pensatori, come richiamati in un pezzo di Sebastiano Caputo, presi a modello dallo sciocchezzaio filosofico italiano (il peggiore di tutti):
“La società unanime sta domandando agli uomini di rivelare la femminilità che è in loro. Con sospetta, morbosa e stupefacente buona volontà gli uomini stanno facendo del loro meglio per mettere in atto questo programma ambizioso: diventare una donna come le altre. In sostanza per superare i propri istinti arcaici. La donna non è più un sesso, è un ideale”, scrive Zemmour. L’editorialista di Le Figaro identifica come responsabili di questa metamorfosi antropologica e societale l’alleanza post-sessantina tra femministe e lobby omosessuale con la complicità di multinazionali, definite “la quintessenza del capitalismo”, e mondo dello show-business il quale offre alle nuove generazioni modelli culturali profondamente degenerati, dai calciatori svirilizzati alle modelle anoressiche. Il progressivo smantellamento di una società patriarcale ha prodotto una donna mascolinizzata e un uomo svirilizzato, dunque femminilizzato, perfettamente interscambiabili tra loro. Se prima infatti le rivendicazioni sull’uguaglianza dei sessi erano di carattere giuridico ed economico, di conseguenza ragionevoli e legittime, queste sono diventate di carattere antropologico. Sembrerebbe così disegnarsi all’orizzonte una figura nuova: l’essere umano unisex. Perché dove c’è convergenza delle identità sessuali c’è di conseguenza annullamento. Il maschile e il femminile si cancellano a vantaggio di un ibrido modello androgino in una società artificiale e post-umana. Lo stesso Alain De Benoist ne La femminilizzazione dell’Occidente aveva scritto in relazione al rapporto tra i sessi: “la Modernità tende a sopprimere le differenze, di qualsiasi natura, a vantaggio di un modello omogeneo. Tale omogeneità risponde in primo luogo alle esigenze del capitale, cui occorre trasformare l’esistenza quotidiana in un immenso mercato, dove desideri e bisogni si somigliano”. Il pamphletista Zemmour denuncia così l’uomo sottomesso all’ideologia dominante, il quale ha perso la sua autorità e autorevolezza all’interno del nucleo famigliare quanto in quello sociale. L’uomo ideale oggi? “Si depila. Fa incetta di prodotti di bellezza. Indossa gioielli”.
Ma gli uomini, come le donne, hanno sempre fatto incetta di cosmetici, parrucche, orecchini ecc. ecc. Pensate agli egizi o agli stessi romani. Se i primi adoravano il make-up, i secondi eradicavano anche i peli del culo. Svetonio riporta che Augusto usava gusci di noce bollenti per ammorbidire la peluria del corpo e Giulio Cesare si depilava integralmente. Ma senza andare così lontano nel tempo, pensiamo alle chiome posticce e ai monili di cui si sono sempre addobbati i nobili, sia maschi che femmine, in ogni epoca ed in ogni continente. Ed anche il popolo, quando poteva o derubava i ricchi, si ornava senza risparmiarsi e possibilmente con più rozzezza e pacchianeria. Dunque, collane e pendenti sui prepotenti ma anche sui pezzenti.
Ma di che parlano questi imbecilli che vedono degenerazioni ovunque, meno proprio là dove ci sono, cioè nelle loro teste bacate?
Il secondo errore, ancora più grave, commesso da questi filosofastri cialtroni, è quello di considerare il capitalismo un virus che genera mutazioni antropologiche nella razza sapiens. Il capitale è un rapporto sociale e non ha nulla a che vedere con l’alienazione umana. Come ha ben spiegato La Grassa: “Gli uomini che entrano fra loro in relazione nei rapporti di produzione non sono quelli dotati di tutte le loro prerogative di individui umani. Questi ultimi non sono necessariamente a una dimensione, alienati, puramente schiavi di una società dello spettacolo, e tutta una serie di altre considerazioni unilaterali elaborate da “filosofi” sociali che sinceramente mi appaiono lontane dalla “realtà”.
L’alienazione, insomma, è negli occhi di chi la vede, o meglio, di chi la vende, per fama e soldi, ad un pubblico incantato e belante.