La finanza sub-dominante italiana ha fretta

BANCHIERI


di Piergiorgio Rosso – 2.11.2012

 

Se arriva una richiesta dai maggiori azionisti credo sia a tutela dei loro interessi, della banca e del mercato anticipare la nomina del nuovo consiglio di sorveglianza rispetto alla scadenza naturale di aprile” ha osservato il presidente Giovanni Bazoli. Perché? Risponde Massimo Mucchetti sul Corsera:”questa scelta [si spiega] con l’esigenza di avere un vertice già insediato con poteri ben definiti quando, nei primi mesi dell’anno prossimo, il Paese andrà alle elezioni politiche con le conseguenti, possibili tensioni sui mercati

Nel frattempo l’assemblea degli azionisti di BancaIntesa ha approvato alcune modifiche allo statuto che riguardano in particolare la composizione del consiglio di gestione, l’organo operativo della banca, in cui dovrebbe d’ora in avanti prevalere il gruppo dei managers, non senza prima aver definito dei criteri di scelta data la delicatezza delle nomine. Il che rimanda all’equilibrio fra le Fondazioni di Torino e Milano, Guzzetti e Chiamparino, con inserimento di Fassino, sindaco del Comune di Torino, primo azionista del primo azionista di BancaIntesa.

Mucchetti nel suo articolo, pieno di avvertimenti dati a chi volesse ascoltare, è preoccupato degli interessi nazionali, messi in pericolo da assalti esteri alle multinazionali finanziarie italiane sottocapitalizzate, e butta lì l’idea di accorpare BancaIntesa e Unicredit per fare massa critica e conclude: “prevenire è meglio che curare”.

Ora, a prescindere dal possibile esito anticipato da Mucchetti, è un fatto che i prossimi tre mesi rappresentano un ingorgo di decisioni decisamente critiche e cruciali per l’assetto della finanza italiana e quindi per la sistemazione delle gerarchie interne ai sub-dominanti nazionali. Qui di seguito ne facciamo un primo elenco che funzioni da agenda di lavoro per gli interessati.

L’ad di Mediobanca, Nagel, ha annunciato che la definizione del piano strategico avverrà non prima della metà del 2013, in attesa dell’esito di alcune operazioni che potrebbero avere impatto sulla performance. Più che alle sentenze dei tribunali di Milano e Torino sull’affare UNIPOL/Fonsai – attese in primo grado entro l’anno –  dove Nagel rischia una condanna e Mediobanca pesanti penalità, si riferisce in tutta evidenza ai quasi certi aumenti di capitale che interessano RCS e Generali.

Il nuovo piano strategico di RCS è atteso per il 19 dicembre, Agnelli e Marchionne hanno lasciato intendere che se il piano è buono – difficile il contrario dato che l’ad è loro espressione – la FIAT parteciperà, ma il conflitto interno con Della Valle/Rotelli è ancora vivace. E il “vecchietto” Bazoli, presidente dell’attuale e futuro Consiglio di Sorveglianza di BancaIntesa, giocherà un ruolo determinante nelle scelte.

Anche per Generali si attende il nuovo piano strategico entro fine anno. Il problema di Generali è ridurre i costi e creare al suo interno il tesoretto necessario a riacquistare la minoranza della joint-venture cecoslovacca PPF fiore all’occhiello dell’era Perissinotto. Si parla di dismissioni ma è certo che Mediobanca potrà trovare convenienza a ridurre la sua presenza nel colosso triestino anche per ammorbidire la CONSOB che, dopo il via libera all’operazione UNIPOL/FONSAI, chiede di ridurre le partecipazioni incrociate.

Infine Unicredit, la più internazionale delle nostre banche con attività remunerative in Germania, Austria, e Polonia. Il suo Presidente Vita, uomo della Fondazione di Verona – ma anche ex ALLIANZ – ha recentemente lanciato l’idea dello scorporo delle attività italiane. Una struttura ad holding estera con subholding nazionali: quella tedesca sarebbe la più forte, mentre quella italiana particolarmente importante perché padrona della quota maggioritaria di Mediobanca. Con l’idea di mantenere saldamente quest’ultima nelle mani delle Fondazioni minori che stanno soffrendo la presenza ingombrante dei nuovi soci esteri di peso come Aabar (fondo sovrano di Abu Dhabi al 6,5% che esprime il vice-presidente Luca Cordero di M.), Pamplona (fondo anglo-russo, coi soldi di Deutsche Bank, al 5%), Blackrock (fondo USA al 3%), libici (al 4,6%) che insieme detengono già più delle Fondazioni (al 13%). Un piano che qualcuno chiama “Italia agli italiani” senza nascondere la possibilità di una separazione definitiva della parte italiana dal resto del gruppo.

In definitiva pare proprio che il sistema-Nagel erede del ben più solido sistema-Cuccia sia al tramonto: non solo Nagel non è riuscito a perpetuare la centralità di Mediobanca nel capitalismo di relazione italiano, forse tradito proprio dai Ligresti, ma Piazzetta Cuccia dovrà ridimensionare tutte le sue partecipazioni. Lasciando spazio a presenze meno bancarie e più industriali: Del Vecchio, Della Valle, Pelliccioli, Caltagirone, senza contare gli investitori esteri già apparsi in Unicredit (via Luca Cordero di M.) e RCS (via Proto). Tutti gli analisti convergono nell’indicare in Bazoli il regista unico possibile ed insieme il garante necessario, di questo passaggio epocale con il quale tutti dovranno fare i conti. Da qui la necessità di anticipare i tempi della sua riproposizione a Presidente del Consiglio di Sorveglianza in BancaIntesa. Ciò significa che, se dismissioni dovranno esserci da parte dello Stato, queste non passeranno più attraverso Mediobanca, semmai attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (CdP) in cui le Fondazioni, ancorché minoritarie, giocano un ruolo strategico in quanto permettono di configurare come “privata” e non “pubblica” qualsiasi partecipazione di controllo e non. Così piace alla Comunità Europea ed ovviamente al Tesoro italiano. Infatti Grilli e Guzzetti non si risparmiano le cortesie, a conferma che il duo Bazoli/Guzzetti si muove in piena sintonia con il duo Monti/Passera.

In realtà la questione più pesante è proprio rappresentata dalla vicenda Fondazioni/CdP. Entro novembre di questo anno il Tesoro deve decidere se rinunciare ad avere fra gli azionisti le Fondazioni oppure accettare quanto le stesse sono disposte a sborsare (pochino) per la conversione delle loro azioni privilegiate in ordinarie. La questione non è ovviamente tecnico-legale. Tutte le iniziative che hanno visto CdP nel ruolo di “banca di sviluppo” – da TERNA, SNAM a Fintecna e prossimamente la rete TELECOM – hanno avuto nelle Fondazioni Bancarie il promotore ed il motore decisivo anche, e proprio, in virtù del loro intreccio con le banche nazionali. E a capo delle Fondazioni c’è Guzzetti, buon amico di Bazoli.

Insomma un ingorgo o forse un intreccio estremamente complicato che vedrà in posizione apparentemente centrale ancora una volta la scuola democristiana di Bazoli e Guzzetti, che dovranno operare però senza avere alle spalle un solido riferimento politico interno , sotto il costante attacco dei nostrani liberisti duri-e-puri (Istituto Bruno Leoni, Tito Boeri, Repubblica e altre nuove aggregazioni di ogni risma) e potrebbero quindi essere spazzati via da dominanti esterni.

Ecco perché hanno fretta. Ma … la gatta frettolosa ….