LA FINE DELLO STATO SOCIALE IN EUROPA
Prima dell’euro si viaggiava da un paese all’altro dell’Europa dovendo cambiare continuamente la valuta. Creare una moneta unica non significò cambiare le banconote che si utilizzavano per gli acquisti ma creare una banca centrale, la Bce, operante in tutta l’area e funzionante da prestatore di ultima istanza per le banche dell’eurozona, assicurando agli istituti di credito la liquidità necessaria per far fronte ai prelevamenti dei depositanti. Il trattato di Maastricht del 1992, che ha dato vita all’euro, imponeva ai membri aderenti all’eurozona di soddisfare i cosiddetti criteri di convergenza: i governi che intendevano entrare nell’area dell’euro dovevano contenere il deficit (ossia quella situazione contabile dello Stato in cui le uscite sono superiori alle entrate) e il debito. Il deficit non doveva superare il 3% del Pil.
Il risultato fu che gran parte dei paesi membri registrarono consistenti disavanzi commerciali e contabili e non sono più riusciti a riprendersi dallo shock provocato dalla crisi finanziaria globale del 2008. Non ci sono state né crescita né stabilità e le nazioni dell’eurozona hanno cominciato a divergere, esattamente il contrario dei cosiddetti criteri di convergenza, aggravando il divario tra i paesi ed esasperando le differenze che già esistevano al momento della creazione dell’eurozona. I paesi in crisi hanno dovuto fare i conti con profonde recessioni e depressioni. A questo punto viene da chiedersi se l’intero impianto europeo sia stato artatamente manipolato nel momento della sua costituzione perché non operasse effettivamente, onde portare a termine un programma nascosto. C’è qualcosa che non quadra in tutta la vicenda europea, perché sembra un intero pataracchio del quale non ci si può più liberare.
Ma c’è un problema sottaciuto da troppo tempo: la Bce è la copia sbiadita ed irriconoscibile della Fed. E tutto questo perché l’Europa negli ultimi 70 anni, da quando è uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, si è vista imporre il nuovo modello di capitalismo manageriale americano.
Gli Usa sono il paese dominante e l’area europea è stata sottomessa al suo sistema.
Gli Usa sono sapientemente riusciti a trasfigurare l’intero impianto europeo, da un certo livello di civiltà giuridica e amministrativa, fatto di buon governo con usi e costumi inimmaginabili fino a diversi anni fa, in un luogo di perdizione dove si comincia a respirare aria da terzo mondo, soprattutto a sud.
La grande crisi globale che ha investito l’intera area occidentale ha caratteristiche di prolungata stagnazione che ha distrutto gran parte del benessere creato nei periodi precedenti il dopoguerra.
Non voglio entrare negli effetti catastrofici dell’immigrazione (in Italia) in cui tutto si tiene con la crisi politica dell’Europa in atto, ma cogliere soltanto alcuni aspetti più visibili e concomitanti della profonda trasformazione europea. Gli stessi governi per bocca degli economisti, che non avevano per nulla previsto la crisi in atto, fornirono, immediatamente, una spiegazione che voleva essere scientifica ma che si compendiò in una scusa: gli Stati hanno speso troppo, soprattutto nell’ambito della protezione sociale. Da qui un unico rimedio fu possibile: tagliare drasticamente la spesa pubblica. I governi dell’Unione, concordemente a gli Usa, hanno compresso le spese sociali convinti che una riduzione del debito pubblico avrebbe, prima o poi, condotto alla crescita economica. Su tale base costruirono una campagna stampa tra paesi spreconi e parsimoniosi. I tagli drastici della spesa pubblica hanno toccato pensioni, sanità e istruzioni. Con lo smantellamento dello stato sociale, a suon di tagli e privatizzazioni, si portò all’esclusione di milioni di persone dai relativi benefici.
C’è stato un modello sociale europeo che ha rappresentato una invenzione politica unica nel mondo, forse la più importante del XX secolo. Esso assume un significato che travalica i suoi confini geografici ed assurge ad un modello unico nel suo genere. Una intera società che si assume l’onere di produrre un sistema di sicurezza per ciascun singolo individuo, qualunque sia la sua posizione sociale ed i suoi mezzi. Produrre sicurezza economica richiede la costruzione di sistemi di protezione sociale, avendo in vista eventi che possono sconvolgere in qualsiasi momento la vita: le malattie, la povertà, la vecchiaia….Pensioni pubbliche, sistema sanitario nazionale di qualità, accessibile a tutti, vari tipi di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, invalidità o povertà, un esteso sistema di diritto al lavoro e di diritti del lavoro. Queste erano le nostre caratteristiche migliori, ormai perdute.
L’aspetto più evidente della privatizzazione di beni pubblici essenziali, quali la previdenza e la sanità, hanno minato la base di un modello sociale europeo con cospicue ricadute negative sulle condizioni di vita delle loro popolazioni.
Il venir meno della sicurezza socioeconomica, alla quale intere popolazioni europee erano abituate, si è tramutata in crescente malcontento e insicurezza. Ciò aumenta fortemente la frustrazione e la rabbia, non solo tra le classi più basse delle classi lavoratrici ma anche in gran parte del cosiddetto ceto medio.
Purtroppo, si è inculcata nella popolazione della vecchia Europa l’idea che vivesse al di sopra dei propri mezzi e che le politiche di austerità fossero ormai inevitabili, con i risultati pessimi che sono sotto i nostri occhi.
GIANNI DUCHINI luglio ‘17