LA FINE DELL’URSS E L’EUROPA UCRAINIZZATA DI G. SOROS
In una delle sue solite interviste schiette ma non per questo meno sconsiderate, il magnate della finanza americana, George Soros, ribadisce un concetto esplicativo di una certa visione geostrategica dominante al di là dell’oceano, già espresso in altre sedi internazionali, che a molti potrà sembrare strampalato ma che segnala la pericolosità di alcune iniziative dell’establishment Usa nel Vecchio Continente: “…c’è una nuova Ucraina determinata a diventare più simile a come la Ue dovrebbe essere”. Badate bene, Soros non dice che c’è una Ucraina che vuole uniformarsi all’Eu per mutuarne prospettive e valori ma esattamente il contrario, cioè che l’Europa dovrebbe diventare “più simile” all’Ucraina. E che cosa significherà mai questa affermazione alquanto discutibile alla luce degli ultimi eventi ucraini? Forse che l’Europa dovrebbe perseguitare le sue minoranze fino a dichiarare loro guerra ed a schiacciarle al fine forzarle alla condivisione di un unico punto di vista culturalmente totalizzante e per di più fondato su mistiche nazionalistiche e su miti etnici del tutto immaginari? Oppure, Soros vorrebbe che l’Ue portasse i suoi stati membri sull’orlo del fallimento economico, proprio come l’Ucraina, il cui default, senza aiuti esterni, come egli stesso ammette, sarebbe ormai questione di poco tempo? O, ancora, il leggendario speculatore amerebbe che, come a Kiev, ruoli istituzionali e incarichi apicali nelle strutture statali delle cancellerie europee fossero direttamente affidati a cittadini americani, proprio come in Ucraina dove governo e partecipate pubbliche strategiche sono finite in mano a uomini d’oltreatlantico? Nulla di tutto ciò guasterebbe per Soros, ma non è questo il punto. Ciò che gli statunitensi pretendono è una assoluta lealtà dell’Europa ai piani geopolitici di Washington. Tale fedeltà deve manifestarsi raggiungendo l’unanimità su alcuni dossier ritenuti dirimenti per l’Amministrazione yankee e su uno in particolare: la “pratica” Russia. Dice Soros: “Putin ha un piano. La sua ambizione prima di tutto è dividere e destabilizzare l’Ucraina. Oltre a questo, mira anche a dividere la Ue, diffondere l’influenza russa e, se possibile, sostituire gli Stati Uniti come il principale fattore esterno di influenza sull’Unione europea. È noto che può già pesare molto sull’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca attraverso il controllo delle forniture di energia”. Putin, ovvero il Cremlino, vorrebbero sostituirsi alla Casa Bianca, nell’esercizio di influenze sull’Europa vincendo la concorrenza con gli americani. In sostanza ciò che è lecito per gli americani, ingerirsi negli affari altrui condizionandone processi ed esiti, non lo è per i russi, i quali, peraltro, non hanno alcuna intenzione di egemonizzare l’Eu sostituendosi a Washington. Mosca cerca sicuramente un’alleanza con i paesi europei perché solo condividendo i suoi obiettivi con alcune potenze sue vicine (Germania e Francia su tutte, nell’ordine in cui sono indicate) può nuovamente aspirare a ridiventare potenza globale, uscendo dal guscio regionalistico in cui la caduta dell’URSS l’ha confinata. Questo è un grosso problema per Washinton, una questione che è nella hit parade degli incubi Usa da molto prima del 1991-92. La Russia è potenzialmente l’unico competitore geopolitico che può, non solo frenare l’avanzata Usa nel mondo ma, persino, spodestare gli statunitensi da alcune aree strategiche determinanti. Il multipolarismo è incominciato proprio con la rinascita dell’ “impero” russo e la fine del suo processo disgregativo, dopo la fine del Patto di Varsavia e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. I tempi non sono ancora maturi per queste sfide dirette tra i due colossi mondiali ma ben presto lo diventeranno perché la Russia è in crescita rapida di proiezione egemonica e militare. Lo spauracchio americano viene, dunque, materializzandosi. Nonostante quello che scrivono molti analisti frettolosi, non la Cina ma la Russia rappresenta la prima preoccupazione globale degli statunitensi. Storicamente questo ha una spiegazione. Come scrive Stephen Kotkin in “A un passo dall’apocalisse – il collasso sovietico 1970-200”: “Dal punto di vista geopolitico, la leadership russa non poteva non osservare che le grandi democrazie liberali, invece di esercitare pressioni nei confronti della Cina, la corteggiavano in virtù della sua forza economica e finanziaria. Il Cremlino, tuttavia, tendeva a sottovalutare il fatto che nel rafforzare la sua influenza internazionale la Cina teneva comunque basse le sue ambizioni. A differenza di Mosca, Pechino non aveva dovuto rinazionalizzare le risorse energetiche, come petrolio, gas e carbone, o altri settori strategici dell’industria, semplicemente perché non le aveva mai privatizzati; il governo cinese si era però reso conto che non si poteva modernizzare il paese senza rapportarsi a Europa e Usa, e aveva perciò obbligato le grandi imprese statali a migliorare la propria competitività sui mercati nazionale e globale. Molti in Cina, come al Cremlino, sospettavano gli Stati Uniti di permanenti trame finalizzate al dominio del pianeta; ma, al contrario di Mosca, Pechino accettò spesso di scendere a patti con gli Usa. La Russia, invece, era riluttante a riconoscere l’evidenza che tutte le potenze che nel recente passato avevano cercato di mettersi contro gli Usa, o di crescere senza di loro – Germania, Giappone, Urss – avevano perso la partita, mentre era andata decisamente meglio a quelli che ci si erano alleati.” La lungimirante dirigenza cinese battezzò la propria politica «imparare a convivere con il più forte”.
Pechino, dunque, continua a tenere basse le sue aspettative geopolitiche e non disdegna accordi con Washington sin dai tempi di Mao e di Nixon. Essa ha costituito e, probabilmente, ancora costituirà per Mosca una spina nel fianco. Per questo i russi non si fidano dei cinesi e preferirebbero confrontarsi più solidamente con gli europei, proprio ciò che gli americani cercano di rintuzzare. La Russia resta una potenza ponte tra Europa ed Asia ma Washington ha tutta l’intenzione di tagliare il cordone che tiene legata Mosca alla prima per farla scivolare verso la seconda, dove sarebbe neutralizzata dalla Cina e non potrebbe più ostacolare l’America nel vecchio Continente ma anche nel medio-oriente ed in Africa. Infatti, scrive ancora Koktin, gli Usa si sono sempre premurati di interrompere sul nascere i sentimenti russi di rinascita imperiale, lasciando, invece, liberi di esprimersi quelli cinesi : “…Pur tenendo sotto stretto controllo i vecchi possedimenti imperiali del Tibet e dell’Asia interna, e insistendo nel sostenere la legittimità delle sue rivendicazioni su Taiwan, la Cina perseguì una «politica di buon vicinato». Ciò significa che si astenne dall’interferire negli affari interni dei vicini e svolse l’apprezzato ruolo di propulsore economico della regione. Beneficiando del sorprendente disinteresse degli Usa per gran parte dell’Asia, la Cina prese in effetti il loro posto come primo partner commerciale di molti paesi del continente. Per quanto impegnati nel pantano dell’Iraq e nella confusione dell’Afghanistan, gli Stati Uniti trovarono invece tempo e risorse per contrastare gli sforzi russi di ricreare una sfera d’influenza nelle repubbliche ex sovietiche”. La provocata (dagli Usa) rivolta di Majdan è solo un altro capitolo di questa storia, volta a contrastare i tentativi russi di ripristinare la propria egemonia geopolitica. Tornando all’incipit del nostro ragionamento possiamo trarre questa conclusione: Soros desidera un’Europa ucrainizzata e totalmente piegata ai voleri statunitensi (anche a costo di lotte fratricide interne) per meglio confliggere con Mosca e spegnere sul nascere le aspirazioni geopolitiche degli europei e dei medesimi russi, i quali coalizzandosi metterebbero a dura prova l’ordine americano. Gli Usa certamente non riusciranno più ad ingannare i russi, come fecero all’indomani della caduta del Muro di Berlino, ma potrebbero riuscire ancora a raggirare l’Europa dove governano élite che devono ai partner americani tutte le loro fortune e che hanno fatto la sfortuna delle popolazioni nostrane. Se queste classi dirigenti infingarde e succubi di Washington perdureranno al potere potremmo davvero fare la fine dell’URSS, senza veder nemmeno un accenno di reazione.
Non dobbiamo dimenticare che l’ex Unione Sovietica collassò per la stagnazione del suo sistema economico, tuttavia con leader politici diversi dai vari Gorbacev e soci qualcosa si sarebbe potuto ancora fare per salvare il salvabile e, magari, evitare quella che Putin ha definito, giustamente, la più grande tragedia storica del XX secolo. Certo è che ci stiamo ancora chiedendo come mai la seconda potenza mondiale potè crollare su stessa senza colpo ferire. Lo stesso Koktin scrive: “Ci ricordiamo delle mappe dell’Eurasia punteggiate di riproduzioni di carri armati, missili e soldati che rappresentavano la potenza sovietica e venivano mostrate nelle televisioni americane in occasione dei dibattiti parlamentari sull’aumento dei finanziamenti al Pentagono? Questa Urss iper-militarizzata non tentò neppure di inventarsi cinicamente una guerra all’estero per creare consenso intorno al regime. Ci ricordiamo dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990, proprio nel mezzo del dramma sovietico, e della paura che il dittatore iracheno possedesse armi di distruzione di massa? La capacità distruttiva del l’Iraq era ridicola rispetto a quella del I’Urss. Ci ricordiamo che il timore di un attacco preventivo sovietico accompagnò tutti i decenni della guerra fredda? Anche se i leader sovietici si fossero dati per spacciati avrebbero sempre potuto scatenare un disastro. Ci ricordiamo delle teorie che stabilivano l’equivalenza dei regimi nazista e sovietico? I nazisti, che non avevano l’atomica, continuarono la guerra fino all’ultimo. Ci ricordiamo delle critiche che subì Roosevelt per aver «regalato» l’Europa orientale a Stalin? Ebbene, Roosevelt non aveva un solo uomo armato su quei territori mentre Gorbacév disponeva di 500.000 soldati, di cui 200.000 ancora in Germania dopo la riunificazione tedesca. La struttura di comando del Patto di Varsavia rimase operativa almeno fino al dicembre 1991. Fu Gorbacev a «regalare» l’Europa orientale. Travolto dagli eventi, rinunciò al gioiello della corona moscovita, ovvero Berlino, che era stato pagato con il più alto costo di vite umane della storia, in cambio di un po’ di contanti e prestiti, presto esauriti, nonché vuote promesse di sostegno. Nel 1994, durante la cerimonia che segnava il definitivo ritiro delle truppe, un Boris EI’cin depresso e mezzo ubriaco afferrò una bacchetta e si mise a dirigere un’orchestra tedesca, causando uno scandalo. Sarebbe andata molto peggio se un leader più forte avesse manifestato la spietata determinazione a tenere l’impero unito o avesse reagito in modo provocatorio o vendicativo di fronte a una situazione dimostratasi ormai irrecuperabile. Il mondo era cambiato dagli anni Quaranta, ma il bagno di sangue jugoslavo degli anni Novanta deve comunque farci riflettere. Una capitolazione docile come quella sovietica è un evento raro nella storia”. Ecco dove possono condurre interi popoli guide politiche vendute al nemico o incapaci di svolgere i propri compiti. In Europa abbiamo troppi esemplari di tal fatta, per questo il futuro non promette nulla di buono.