LA IDEE CONFUSE DELLA SINISTRA LIBERALE
Riallacciandomi alla brillante ed efficace arringa di Gianni (Petrosillo) nel suo intervento del 17 novembre mi pare che si possa rilevare come la canea immane dei liberali “normali” che monopolizzano i giornali stia tentando, spesso goffamente, di far intendere di aver compreso che il “politicamente corretto” deve a sua volta essere “corretto”. Allo scopo, naturalmente, di renderlo di nuovo, almeno in parte, efficace nel condizionare i prodotti della materia grigia dei “grigi” esponenti dalla masse “abbastanza scolarizzate” e perciò “incolte” (o “semicolte” come direbbe GLG). Così si esprime, ad esempio, Mario Ajello in un articolo apparso su Il Gazzettino del 13.11.2016:
<<I populisti […] vincono per tante ragioni e una di queste è che la sinistra, tecnocratica, salottiera, anti-popolare, autoreferenziale e freddamente riformista spesso senza riforme, risulta antipatica. […] Troppa ragione, almeno presunta, e troppo poca passione rendono i progressisti spesso invisi alle masse vogliose di emozionarsi (magari sbagliando). Troppo Cupertino (per restare negli Usa) e poco Kansas, ossia troppo fighettismo da radical Volvo (altro modo per chiamare i radical chic) e poca attenzione alle periferie dove si vincono orsi (“e si” [N.d.r. – correzione refuso]) perdono le elezioni: ecco la sinistra antipatica, tutta Martha’s Vineyard, Hollywood, Silicon Valley e stampa di Washington. Un operaio del depresso Wisconsin l’altra sera ha spiegato in tivvù: “Qui la Clinton non l’abbiamo mai vista, mentre The Donald è venuto cinque volte in tre mesi”. Alla prossima winter o summer school di formazione politica del nostro Pd, invece del solito sociologo di Harvard, si provi a invitare l’operaio del Wisconsin. Almeno per vedere come sono fatti gli alieni.>>
Risulta abbastanza inquietante anche leggere (Il Messaggero – 13.11.2016), in un intervento pieno di filo-americanate, le cose scritte da quel mai dimenticato ex-leader del centrosinistra – e grande “affossatore”, in Italia e in Europa, di quello che rimaneva in tema di dignità politica e autonomia decisionale – che risponde al nome di Romano Prodi (primo componente della micidiale trimurti Prodi-Napolitano-Renzi). L’ex-presidente della Commissione europea tenta anche di articolare dei ragionamenti plausibili prima di scadere nelle più trite banalità. Così, infatti, si esprime riferendosi a quelle recenti elezioni e referendum che hanno evidenziato le difficoltà da parte dei “decisori” di tenere sotto controllo l’”opinione pubblica”:
<< Le spiegazioni dei risultati elettorali si sono soprattutto concentrate sulla frustrazione e la paura di una consistente parte della classe media, sulle delusioni nei confronti dell’andamento dell’economia, sui limiti della globalizzazione e sulla crescente differenziazione dei redditi fra i cittadini. Tutto giusto, ma questi erano i temi classici che in passato conducevano all’alternanza fra diversi partiti politici. Negli ultimi tempi invece, in tutti i sistemi democratici, le differenze fra i partiti sono fortemente diminuite e i programmi si sono standardizzati e omogeneizzati. In Europa questo ha dato spazio alla formazione di un crescente numero di governi di coalizione. Negli Stati Uniti, la candidata del partito democratico, pur tradizionalmente posizionata a sinistra, è stata messa in croce in quanto rappresentante della finanza e del big business mentre il suo antagonista, invece di convergere al centro come lei, ha scelto una posizione estremista. Questo ci dice che, quando le insoddisfazioni degli elettori ricevono una risposta non adeguatamente differenziata da parte dei partiti tradizionali, in Europa si ha come risultato la crescita dell’astensionismo e dei nuovi partiti estranei al sistema. Negli Stati Uniti lo spazio è stato invece occupato non da nuovi partiti ma da un candidato altrettanto estraneo al sistema. L’insoddisfazione provoca cioè l’attesa di alternative che, anche se prive di programmi coerenti e concreti, mandano tuttavia un messaggio di cambiamento radicale. Non si spiegherebbe in altro modo il rilevante consenso raccolto alle primarie del partito democratico americano da parte di un candidato che si definiva “socialista” come Bernie Sanders e il fatto che una parte sostanziosa dei suoi sostenitori non abbia poi votato per Hillary Clinton che, in teoria, avrebbe dovuto essere a loro ben più vicina di Trump. Pensando al round di elezioni europee che ci attende, le elezioni americane ci inducono quindi a porci l’interrogativo se la mancata differenziazione tra i partiti tradizionali favorirà l’astensionismo e i nuovi partiti o sarà invece la differenziazione sociale a costringerli a radicalizzarsi, differenziandosi fra di loro.>>
Insomma, l’attuale presidente dell’International advisory board di Unicredit, arriva a domandarsi se gli attuali partiti che occupano il “centro”, e si dichiarano “moderati” e “liberali” con l’aggiunta di lievi tinteggiature di destrismo o sinistrismo, saranno infine costretti a riconvertirsi – assumendo posizioni più spregiudicate – per contrastare le forze cosiddette populiste. Gli umori del “popolo” stanno cambiando e i toni “forti” capaci di intercettare il disagio e la rabbia di molti ceti sociali in difficoltà – che hanno bisogno inoltre di sfogare il loro astio e recuperare una identità culturale e morale messa sempre più in discussione da istanze iperpluralistiche e interculturali estreme – risulterà determinante nella prossima fase storica multipolare in cui la ricerca di una nuova identità nazionale e l’avanzata del protezionismo economico non potranno non giocare un ruolo rilevante.
Concludiamo con le parole di un premio Nobel dell’economia che, probabilmente, ha ormai delle difficoltà a connettere le funzioni delle varie parti del suo cervello. Il prof. Krugman dapprima esterna la sua “disperazione” per l’elezione di Trump in questo modo (Sole 24 ore-15.11.2016):
<< Ha senso, a livello personale, continuare a lottare dopo una botta del genere? Non è più logico smetterla di cercare di salvare il mondo e dedicarsi a se stessi e alle persone care? Ammissione: ho trascorso gran parte della giornata dopo il voto ad ascoltare musica, fare esercizio fisico, leggere un romanzo, sostanzialmente a prendermi una vacanza mentale.>>
Successivamente il leader dei neokeynesiani incomincia a farneticare usando il gergo degli economisti e ribadendo che la presidenza Trump risulterà catastrofica in questo momento per la condizione di estrema fragilità in cui versa ancora il “pianeta”, otto anni dopo la crisi finanziaria:
<< È vero che l’occupazione sta crescendo di buon ritmo e che l’economia statunitense è vicina alla piena occupazione. Ma finora le cose sono andate bene solo grazie a tassi di interesse estremamente bassi. Non c’è niente di male in questo di per sé, ma che succederà se capiterà qualcosa di brutto e l’economia dovesse aver bisogno di una spinta? La Federal Reserve e le sue consorelle degli altri Paesi sono rimaste con spazi ridottissimi per apportare ulteriori tagli dei tassi, e di conseguenza possono fare molto poco per reagire a eventi negativi. E ora arriva una presidenza Trump, la madre di tutti gli eventi negativi: e porterà con sé un regime ignorante di politica economica e ostile a qualsiasi sforzo per farla funzionare. Che la politica di bilancio possa venire efficacemente in aiuto alla Fed è fuori discussione. Al contrario, potete scommettere che la Fed perderà la sua indipendenza e verrà presa di mira dai fanatici.>>
Ohè, signor Krugman, ma chi cavolo ha governato gli Usa a partire dal 20 gennaio 2009 ? Non è stato forse il nobel per la pace e “uomo di colore” Barack Hussein Obama il presidente degli Stati Uniti fino a oggi? E i presidenti della Federal Reserve erano, per caso, degli agenti della destra repubblicana ? Il “mago” Alan Greenspan ad esempio – che non ha capito niente riguardo alla crisi dei mutui subprime e a tutto quel casino derivato dai titoli di credito derivati -era forse uno scatenato razzista e uno xenofobo misogino ? E Bernanke e la Yellen ? Sissignori , per il grande Krugman la colpa è tutta di chi non ha governato, di quelli che ricevono ora i voti della gente perché si è stancata di chi ha comandato fino ad ora ! In maniera lamentosa e piagnona l’insigne economista si scandalizza, infine, nello scoprire che il popolo americano è composto da un mucchio di persone “rozze” e “abbruttite”, dando per scontato che quando le cose vanno male, lavoratori, disoccupati, ceti medi finiti sul lastrico, debbano “ringraziare” quei governanti che, dopo averli rassicurati, hanno dimostrato la loro incapacità portando allo sfacelo le istanze e le istituzioni fondamentali per la tenuta del tessuto sociale. Con lo stupore di un maestrino di scuola elementare così conclude il signor Krugman:
<<Pensavamo che la nazione, anche se ancora lontana dall’essersi lasciata alle spalle pregiudizi razziali e misoginia, fosse diventata enormemente più aperta e tollerante col tempo. Pensavamo che la stragrande maggioranza degli americani considerasse un valore le regole democratiche e lo Stato di diritto. Ci sbagliavamo. Abbiamo scoperto che c’è una quantità enorme di persone – persone bianche, che vivono prevalentemente nelle aree rurali – che non condividono minimamente la nostra idea di cos’è l’America. Per loro l’America è una questione di sangue e suolo, di patriarcato tradizionale e gerarchia razziale. E ci sono moltissime altre persone che magari non condividono questi valori antidemocratici, ma sono comunque disposti a votare per chiunque si presenti sotto le insegne del Partito repubblicano.>>
E questo sarebbe uno degli esponenti più importanti del ceto intellettuale della sinistra liberale contemporanea !
Il vecchio Heidegger, a suo tempo, ha detto: “Solo un dio ci può salvare”. Ma noi siamo costretti ad aggiungere: “Se non esiste o non arriva dobbiamo provare a fare qualcosa lo stesso altrimenti siamo rovinati ! Amen”.
Mauro Tozzato 23.11.2016