LA LONGA MANUS AMBIENTALISTA DEGLI USA di G.P.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale si sta avvicinando una catastrofe climatica di proporzioni immani che, se non verrà arrestata per tempo, rischierà di far collassare il pianeta.
E’ a dir poco singolare che sia un organismo di regolazione dell’economia mondiale, il quale dovrebbe occuparsi di aiuti allo sviluppo economico, a lanciare un allarme di tale portata.
Le funzioni specifiche del FMI dovrebbero essere indirizzate alla promozione della cooperazione monetaria internazionale, all’attivazione dei meccanismi di fluidificazione del commercio internazionale, alla promozione della stabilità dei rapporti di cambio, all’appianamento degli squilibri nella bilancia dei pagamenti tra Stati, ed in particolare, tale organismo, dovrebbe garantire supporto finanziario al sud del mondo nonché a tutti i paesi in via di sviluppo.
In realtà, il F.M.I. controllato dagli Stati Uniti e dai suoi partners europei, è uno strumento di affermazione egemonica che, attraverso i diktat del libero mercato, (una forma più o meno morbida di condizionamento della politica economica degli Stati) tenta di direzionare lo sviluppo dei paesi che si lasciano sottomettere alle sue cure.
In sostanza, il FMI rende tali paesi ancora più dipendenti dagli aiuti del mondo occidentale, prescrivendo loro ricette per lo sviluppo che hanno il solo fine di approfondire la subordinazione di questi ai “first comers”.
Ma se per il FMI le politiche di ristrutturazione economica hanno la prevalenza sulla gente che muore d’inedia, quando si tratta di ambiente, invece, la sottrazione dello stesso alle dure leggi del mercato diviene una priorità per la quale si può anche pensare di sospendere l’azione virtuosa della mano invisibile.
La bizzarria, tuttavia, non si ferma qui, perché il Fondo Monetario scopre, in maniera non troppo astuta, le proprie carte ed aggiunge che a doversi adeguare ai parametri di sostenibilità ambientale sono i paesi che si stanno affacciando sulla scena geopolitica con velleità d’indipendenza economica, politica e militare: in pratica, Russia, Cina ed India.
E qual è la piazzaforte dalla quale il FMI scuote l’umanità ed elargisce consigli ecologici? Naturalmente, Washington la capitale dell’ “Impero” che si guarda bene però, pro domo sua, dal sottoscrivere il protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas serra nell’aria.
Dunque, cresce quotidianamente il numero degli organismi internazionali, quasi tutti controllati dal governo americano, che lanciano psicosi ecologiste puntando il dito sui giganti asiatici in piena fase di recupero economico e geopolitico.
Chi non vede dietro quest’azione coordinata pro ambientalista la longa manus della potenza predominante ha, davvero, la benda sugli occhi.
Non intendo dire che le tematiche ambientali (o quelle ad esse legate per ciò che concerne la ricerca sulle energie pulite) debbano essere accantonate, ma è sempre utile discernere tra gli obiettivi reali di certe campagne e i meri aspetti ideologici con i quali si vuole terrorizzare la pubblica opinione.
Quanti di noi, ad esempio, sarebbero disposti a credere alla conversione ambientalista di un Al Gore o alla sensibilità ecologista di un abile polarizzatore di fondi pubblici come Pecoraro-Scanio? (Il quale è pure finito sotto inchiesta, ed è notizia fresca fresca, per una storia di consulenze ed appalti elargiti a cuor leggero).
Io mi riservo tutti i dubbi del caso.