La notte della sinistra
Mi sento senz’altro di consigliare il libro di Federico Rampini “La notte della sinistra”. Finalmente, anche se troppo tardivamente, da quelle parti si intravede un barlume di riflessione. Il tentativo di Rampini, per quanto meritorio, è però destinato a non sortire alcun effetto sui suoi “simili”. Non esiste più nessuna terapia, per quanto d’urto, che possa riportare i morti in vita. In ogni caso, Rampini smonta tutti quei luoghi comuni con i quali la sinistra della II Repubblica ha affossato se stessa e l’intero Paese. Sottoscriviamo parola per parola alcuni passaggi delle sue critiche ma segnaliamo anche che non condividiamo le sue analisi sulla politica estera, quest’ultime davvero arretrate per i tempi in trasformazione che corrono. Etichettare i nemici degli Usa quali dittature dove non sono rispettati i diritti umani, nonostante le tante guerre lanciate dagli americani in giro per il mondo, con ammazzamenti di ogni genere ed in spregio a quei valori che essi dicono di voler salvaguardare, è solo propaganda di bassa lega. Qui tutti si danno da fare con mezzi spregiudicati, tanto che male e bene sono intercambiabili a piacimento. Di solito il male coincide con l’avversario ed il bene con se stessi. Certe categorie non andrebbero proprio prese in considerazione quando ci si introduce nella disamina dei rapporti di forza. Dietro il palcoscenico della pubblica opinione, dove gli strateghi fanno la vera storia, democrazia e diritti umani sono barzellette di nessun conto (o quasi). C’è da capire, piuttosto, che i metodi di chi deve recuperare terreno, sul lato della potenza, viaggiano con meno infingimenti rispetto a quelli di chi conserva da decenni una posizione di forza, coperta da narrazioni rodate. Rampini sostiene che Russia e Cina corrono alle armi in spregio ai trattati di non proliferazione eppure queste nazioni cercano solo di ridurre il gap con una superpotenza assoluta che fino a pochi anni fa sembrava irraggiungibile e stabiliva per tutti il giusto e l’errato. Inoltre, russi e cinesi, al netto del deficit democratico, partecipano molto più attivamente e appassionatamente alla vita dei loro Stati, alle iniziative dei leader, alle manifestazioni a sostegno dei capi, di quanto non facciano i nostri svogliati elettori, chiamati ad imbucare pezzi di carta ogni tot di anni per stabilire da quale incompetente devono essere (s)governati. La maggioranza dei russi adora Putin perché fa funzionare lo Stato, fornisce sicurezza alla comunità, riporta i fasti del passato ecc ecc e pertanto gli perdona volentieri eventuali forzature costituzionali, così come la maggioranza dei cinesi appoggia Xi Jinping e non è interessata alle investiture di un’Assemblea popolare solo nominalmente tale se i ritmi di crescita economica e sociale sono ancora così elevati. Detto ciò evidenziamo le cose positive del testo di Rampini.
Scrive Rampini nell’introduzione: “ci fu un tempo in cui sinistra e popolo erano quasi la stessa cosa…Quando elenco i tanti errori compiuti – dall’immigrazione alla vecchia retorica europeista ed esterofila, dal globalismo ingenuo alla collusione con le élite del denaro e della tecnologia –, è perché sono convinto che da lì bisogna ripartire [aspirazione chimerica secondo me…] Non rispondetemi che «quegli altri» sono peggio, non ditemi che è l’ora di fare quadrato, di arroccarsi a contemplare con orgoglio tutte le nostre sacrosante ragioni, a raccontarci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un’orda fascista. Quand’anche fosse vero che «quelli» sono un’orda fascista (narrazione diffusa in campo progressista), allora dobbiamo chiederci: com’è stato possibile? … Se “davvero una peste nera sta dilagando in tutto l’Occidente, dov’eravamo noi, cosa facevamo mentre questo flagello si stava preparando? (Aiutino: spesso eravamo al governo.) Ho appena usato l’immagine della peste nera perché oggi compare nei commenti di opinionisti politically correct. La metafora è significativa. È comoda, rassicurante. Ci assolve. La peste è una malattia. Se dilaga il contagio, la causa è qualche germe. Il presunto fascismo di massa, che sembra circondarci, è dunque una forma patologica di abbrutimento, di istupidimento del volgo. I demagoghi ne approfittano, eccitano i pregiudizi, raccolgono consensi perché sfruttano ignoranza e bassi sentimenti (odio per l’altro, razzismo). Troppo autoassolutoria, confortante, questa rappresentazione. Quanta presunzione, quanta arroganza, nell’autodefinirsi minoranza eletta, moralmente superiore, l’unica a detenere valori degni di questo nome. È una sinistra pigra e autoreferenziale, che non ha nessuna aspirazione a tornare maggioranza, quella che passa il suo tempo a lanciare scomuniche, a levare alte grida d’allarme contro la deriva autoritaria…
Vorrei anche che la smettessimo “di infliggere ai più giovani delle lezioni di superficialità, malafede, ignoranza della storia. Si parla ormai a vanvera di fascismo, lo si descrive in agguato dietro ogni angolo di strada, studiando pochissimo quel che fu davvero, in quale contesto storico nacque, quali “ne furono le cause profonde e gli ingredienti decisivi. Si spande la retorica di una nuova Resistenza, insultando la memoria di quella vera (o ignorandone le contraddizioni, gli errori, le tragedie).
Cominciai a fare politica da giovane adulto, appena tornato in Italia dopo un’infanzia e un’adolescenza all’estero. Frequentavo l’università a Milano mentre iniziavano gli anni di piombo (1974-77). Ero iscritto al Pci, a quel tempo guidato da Enrico Berlinguer. Non ho dimenticato le assemblee universitarie dove un militante comunista faceva fatica a intervenire perché la «vera sinistra», cioè gli estremisti, decidevano chi aveva diritto di parola e chi no. «Fascisti», urlavano a chiunque non la pensasse come loro. L’élite di quel momento (giovani borghesi, figli di papà, più i loro ispiratori e cattivi maestri tra gli intellettuali di moda) era una Santa Inquisizione che sottoponeva gli altri a severi esami di purezza morale, di intransigenza sui valori. “In quanto ai giovani cattolici progressisti, se avevano la sciagura di essersi iscritti alla Democrazia cristiana, erano trattati come fascisti, punto e basta. Molti di loro oggi sono sulle posizioni di papa Francesco, considerato il pontefice più progressista da molti decenni a questa parte, rispettato dagli opinionisti liberal. Con che disinvoltura si passa dall’ostracizzare un avversario politico, negandogli legittimità, ad abbracciarlo come uno dei nostri…Nel politically correct di oggi sono cambiate solo le apparenze, il linguaggio, le mode. Tra i guru progressisti ora vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer dei social, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti “in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity. Mentre si trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo. Periferie: questo termine è sulla bocca di tutti. Perfino quei leader di sinistra che fanno fatica a situarle su Google Maps ammettono che bisogna andarci, nelle periferie, oggi egemonizzate dalle destre populiste e sovraniste. «Andarci»? Forse il percorso più logico sarebbe quello inverso: è dalle periferie che dovrebbero venire persone e idee, infusione di energie nuove dentro la sinistra. Portandosi dietro le emozioni, le paure, le angosce. Perché la sinistra si vieta di parlare di paure? Questo termine oggi viene usato per accusare i demagoghi di turno, i sovran-populisti che «alimentano, eccitano» la paura. Da quando in qua la paura è una cosa di destra, anticamera del fascismo? Deve vergognarsi chi teme di diventare più povero? Chi patisce l’insicurezza di un quartiere abbandonato dallo Stato?” “Alla destra abbiamo lasciato anche un’altra parola: Italia. Certi progressisti, si direbbe, sono capaci di entusiasmo solo per cose molto più grandi, si commuovono esclusivamente davanti a dimensioni superiori: Europa, Mediterraneo, Umanità. L’idea di nazione sarebbe anch’essa un eufemismo per non dire fascismo. Curiosa deformazione, perché non si dà un solo caso di liberaldemocrazia moderna che non sia nata in quell’ambito, dentro lo Stato-nazione. Mazzini e Garibaldi (che nessuno legge più) sono tra i padri nobili della sinistra italiana. Abbiamo venerato tanti leader del Terzo Mondo – da Gandhi a Ho Chi Minh a Fidel Castro – che erano prima di tutto dei patrioti. Abbiamo rispettato con una punta d’invi“d’invidia, nei nostri vicini francesi o inglesi, il sentimento di fierezza nazionale. «Right or wrong, my country» (che abbia torto o ragione, è il mio paese) è un motto che condivideva anche Winston Churchill, avversario dei nazifascismi. C’è qualcosa di malsano nel pensare che una maggioranza degli italiani siano idioti manipolati da mascalzoni…”
Il testo inoltre è disseminato di altre perle come questa: “Una delle frasi in codice che oggi ti fanno riconoscere come uno stimato opinionista di sinistra è che «dobbiamo stare dalla parte dei più deboli». Sottinteso: purché i deboli siano stranieri, possibilmente senza documenti, meglio ancora se hanno la pelle di un colore diverso dal nostro. Sono deboli se corrispondono a questa descrizione. Almeno una parte della sinistra ha deciso che sono sempre e soltanto queste le vittime dell’ingiustizia, per definizione. Tanto peggio per i pensionati poveri, con cittadinanza italiana, se la sera hanno paura a rincasare da soli perché davanti al loro portone comandano gli spacciatori. Gli si risponde citando le statistiche, per dimostrargli che non esiste un legame tra stranieri e criminalità. Dunque se vedono dei nordafricani spacciare impunemente sui marciapiedi del loro quartiere, è un’illusione ottica. O peggio, accostare il mestiere dello spacciatore e la sua nazionalità o etnia è un riflesso razzista. Che taccia, il pensionato povero, e si vergogni di avere questi pensieri immondi.”
Ma, ancora, Rampini denuncia le sciocchezze sullo spread, sull’austerità, sull’ineluttabilità delle leggi del libero mercato (pura ideologia dei prepotenti usata per fottere i più deboli) , con le quali una sinistra, priva di riferimenti teorici validi e assuefatta ai suoi compiti antipopolari, si è fatta scudo per autoconservarsi al potere. Nessun principio serio, nessun concreto senso di responsabilità per il proprio Paese ha guidato la mano di questa che si è sentita élite mancando di idee originali e del coraggio necessario al cambiamento in un’epoca difficile ma di trasformazione. La sinistra della canzone popolare anziché alzarsi si è impancata contro quelli che pretendeva di rappresentare. Ora che il popolo la odia vorrebbe sciogliere il popolo, parafrasando Brecht, e rifarsi, contro un amore non più corrisposto e da essa tradito, ricorrendo ad un sottoproletariato di sbandati culturali e antisociali da mettere contro i cittadini italiani. Il pericolo reale è questo, non un fascismo ormai sotterrato da decenni, buono solo per rimestare nel torbido, generato dalla liquidazione e liquefazione di un’Italia sicuramente ancora sana o curabile prima del suo nefasto arrivo.