LA POLITICA E’ SEGRETEZZA
Il mito della trasparenza in politica è una sciocchezza. Ad una simile stupidaggine possono credere solo i militonti grillini o anche quelli di altri partiti i quali, con la partecipazione e l’impegno, si costruiscono una falsa coscienza civile che è l’altra faccia della medaglia della loro ignoranza delle dinamiche sociali.
I capi no, loro non prestano fede a queste storielle benché le lascino proliferare tra il popolino bue. I dirigenti, pentastellati o meno, sanno benissimo che meno si conosce di quel che realmente pensano e, soprattutto, di quel che fanno e meglio è. Alle moltitudini si danno in pasto le narrazioni sulla pulizia morale dell’organizzazione, tutta dedita al bene comune e al cambiamento etico, quelle sull’onestà-ta-ta dei suoi ispiratori votati al sacrificio disinteressato per il prossimo, quelle sulla chiarezza di iniziative di pubblico interesse mentre dietro le quinte si tessono continuamente le trame volte a preservare ed estendere il comando e a conquistare sempre più cadreghe nei posti chiave dello Stato o di partecipate dallo stesso.
E’ normale che nel mercimonio completo della politica italiana qualcuno fotte meno di qualche altro, per pudore o per noviziato, ma ciò non muta la sostanza del ragionamento. Tuttavia, non bisogna pensare che agire copertamente significa sempre imbrogliare la comunità, come accade nella nostra epoca degenerata dominata da furfanti di professione e da imbonitori per inclinazione.
Quando, per esempio, si perseguono obiettivi di preservazione della sovranità nazionale, di limitazione dell’influenza straniera sul proprio territorio, di rilancio delle attività strategiche del Paese, tanto in ambito internazionale che interno, la prospettiva, ovviamente, cambia. Questo non significa che i drappelli che inseguono tali scopi “superiori” siano amici del popolo. Il popolo (nella sua suddivisione in segmenti e strati sociali differenziati) è sempre uno strumento nella mani di questi settori che confliggono con altri per affermarsi e imporre la propria interpretazione del mondo. Sicuramente, formazioni con siffatti intendimenti vanno appoggiate nella loro lotta contro quelle che, invece, nel perseguire i loro interessi danneggiano la nazione o la svendono a potentati esteri.
E’ vero che la gran massa non potrà mai cogliere queste situazioni fino in fondo (e, certo, non intendiamo cadere nell’eccesso opposto sostenendo che la politica è solo azione dietro il sipario perchè anche quella fatta alla luce del sole ha una sua valenza non sopprimibile) ma alla retorica e alla demagogia si deve porre un limite, in primo luogo quando è palese che i moralizzatori all’opposizione fanno il medesimo gioco dei sicofanti che governano, magari appoggiandosi ad elementi di contatto stranieri poco diversi da quelli che sostengono le élite ora predominanti (o sub-dominanti, se guardate da una angolazione globale), a causa delle quali l’Italia è divenuta un bordello. Sul medesimo piano mistificatorio si devono porre alcuni sedicenti rivoluzionari, i quali distraggono la pubblica opinione con teorie e slogan di facile appeal, come quelli contro la finanza predona, che hanno il compito compito di mascherare determinati rapporti di forza politici (non esistono congreghe finanziarie, occulte o no, che non si appoggino agli Stati per penetrare i mercati e le nazioni) al fine di dirottare la rabbia di massa verso elementi secondari o non centrali dei meccanismi sistemici.
Fortunatamente ci sono analisti seri che tirano fuori l’argomento. Come Germano Dottori su Limes, il quale (affrontando lo spinoso il tema del complotto) scrive che, nell’azione politica “…per ottenere un risultato favorevole in un ambiente competitivo nel quale operino dei rivali aventi interessi opposti a quelli perseguiti occorrono infatti alleanze, segretezza e stratagemmi. Il concorrente va ingannato, confuso, isolato e destabilizzato, in modo tale da pregiudicarne le possibili contromosse e indurlo a cedere. È la logica non lineare della decisione in campo conflittuale a rendere necessaria la cospirazione, perché il corso d’azione più semplice è anche quello più immediatamente intelligibile da tutti, inclusi gli avversari che si vogliono sconfiggere. Capita allora il paradosso sul quale poggia tutto l’edificio della strategia: non è la retta il percorso migliore tra un attore politico e la soddisfazione del suo interesse, ma una fra le possibili traiettorie alternative più accidentali e meno prevedibili. Non sono in questione il carattere moralmente positivo o negativo di un traguardo o di una linea operativa. Quello che conta è la modalità attraverso la quale i soggetti politici cercano di raggiungere i loro obiettivi laddove questi competano con quelli di altri attori. Solo una parte della lotta politica si svolge alla luce del giorno anche nelle democrazie più avanzate, come quella americana o la nostra. Dobbiamo probabilmente a Niccolò Machiavelli la valutazione più corretta del peso relativo dispiegato sui processi politici dalle astuzie cospiratorie e dai vari fattori materiali concorrenti: nel Principe, testo che paradossalmente proprio gli italiani conoscono meno, probabilmente perché concentrati sullo stile della sua prosa, il segretario forentino è al riguardo chiarissimo. Cesare Borgia, detto “il Valentino”, che pure incarna l’ideale dell’abile cospiratore ambizioso, fantasioso e privo di scrupoli, alla fine viene sconfitto e manca l’obiettivo di dare solidità al suo Stato perché neanche la sua capacità di manovra può ovviare alla precarietà della propria posizione geo politica, legata alla sopravvivenza momentanea di un papa consanguineo e condizionata dall’insufficienza delle forze. Machiavelli lo spiega ancora più efficacemente quando descrive le cause della nostra crisi di fine Quattrocento nel suo Dell’arte della guerra, criticando i limiti di una classe dirigente impegnata a ottenere vantaggi marginali nell’incessante competizione tra i principati italiani attraverso la furbizia diplomatica o il sapiente utilizzo politico delle costosissime truppe mercenarie, mentre incombeva sulla nostra penisola la minaccia degli eserciti delle nuove grandi potenze europee, che l’avrebbero dominata per più di tre secoli . È da qui, dunque, che si deve partire per valutare il ruolo svolto dalla cospirazione nella vicenda politica a fronte delle altre determinanti del successo o del fallimento. Il complotto non può spiegare sempre e comunque l’esito di un confronto, come giustamente viene rimproverato a coloro che ne fanno la chiave di lettura esclusiva delle dinamiche politiche, ma ipotizzarne l’esistenza e decifrarlo aiuta a comprendere le intenzioni delle parti coinvolte nella lotta e ricostruirne l’apporto a un dato risultato”.
Il nostro Gianfranco La Grassa è stato altrettanto esplicito al riguardo nel suo scritto: “Stato, Interesse Nazionale. Perché scegliamo in questa fase l’Autonomia Nazionale”. Afferma l’economista veneto, sottolineando le sottomissioni straniere che bloccano e danneggiano il Belpaese, che: “I conflitti più acuti e più significativi sono quelli tra Stati. Di conseguenza, diventa in un certo senso scopo preminente seguire gli eventi di quella che è la politica internazionale, l’interrelazione tra i diversi Stati, lo stabilirsi di determinati rapporti di forza tra essi, il loro eventuale modificarsi i cui effetti ricadono immediatamente anche sull’andamento dei sistemi economici. Tuttavia, abbiamo già ricordato come gli Stati siano un insieme organico di svariati apparati, di cui alcuni sono quelli adibiti all’effettivo uso del potere (mentre altri hanno un carattere più propriamente amministrativo, diciamo così). E’ allora rilevante la comprensione dei contrasti in atto tra quei gruppi d’élite che si battono per il controllo e l’uso di tali apparati. Poiché questo “battersi” è appunto la politica, è un intreccio tra differenti strategie svolte per conquistare la supremazia, i gruppi d’élite (se tali sono effettivamente) debbono essere strettamente correlati con dati nuclei in cui si elaborano le strategie. E poiché le mosse della politica mirano al successo nell’ambito di uno scontro tra le varie élites, la segretezza è d’obbligo; e ogni venir meno della stessa o è una di queste mosse o è lo sgretolamento della “copertura” (lo sbucciarsi della “corteccia”) dovuto ad un acuirsi del combattimento tra due o più “attori”. Del resto ho già ricordato un fatto ben noto a chiunque segua minimamente le vicende politiche. Non esistono élites dirigenti dei gruppi sociali nei diversi paesi, che non siano variamente interrelate tra loro in senso economico, politico, culturale. E certamente nel nostro paese, e più generalmente in tutti i paesi europei, in misura maggiore o minore queste élites sono strettamente collegate con quelle statunitensi, ponendosi nei loro confronti in una situazione di maggiore o minore subordinazione. In questo senso, gli Stati Uniti sono ancor oggi il centro di un ampio sistema mondiale di paesi; in particolare, hanno la guida, per quanto a volte appena mascherata, dell’intera UE che, come già detto, è in definitiva un’organizzazione parallela a quella della Nato. E’ impossibile seguire le vicende politiche interne di un qualsiasi paese europeo senza tener conto dei rapporti di subordinazione rispetto al paese predominante. Questo è particolarmente valido per l’Italia, paese la cui subordinazione è di alto livello e va crescendo. E continuerà a crescere per quanto diremo subito appresso”.
Se i nostri politici infarciscono i loro comizi, televisivi o sulla rete, esclusivamente di chiacchiere moralistiche e pseudodemocratiche, salvo poi mostrarsi più sporchi e farabutti dei predecessori o di chi momentaneamente li sopravanza sulla scena politica, il motivo è la loro scarsa visione dei processi epocali o la loro sudditanza ai poteri forestieri di cui parla La Grassa. Diffidate di chiunque pronunci parole come democrazia, diritti, cultura, solidarietà, ambiente, ecc. ecc. unicamente per coprire vuoti strategici. Parlano d’altro per non affrontare i veri problemi dell’Italia, soprattutto la sua subordinazione agli Usa e all’Ue.