LA POLITICA ENERGETICA MONDIALE
L’INSISTENZA degli Stati Uniti per una Europa più indipendente negli approvvigionamenti energetici (in primis rispetto a quelli provenienti dalla Russia), che nella neolingua Occidentale si chiama differenziazione delle fonti e dei fornitori, risponde, innanzitutto, ad un’occorrenza pragmatica, geoeconomica e geopolitica, di Washington.
Gli Usa stanno rimappando le loro priorità strategiche sullo scacchiere internazionale, mettendo in cima ai propri disegni quelle zone e quelle regioni ricche di depositi di materie prime su cui esercitare un sovrappiù di egemonia, sbarrando così il passo alle potenze emergenti/riemergenti rincorrenti i medesimi obiettivi. Gli idrocarburi sono pertanto la benzina che entra nel motore della politica di potenza e della geopolitica della dominanza della moderna macchina epocale.
Non si tratta soltanto di impadronirsi di siti, affari lucrosi e mercati in espansione ma anche, sobillando il caos e aprendo sacche d’instabilità territoriale, di impedire che siano gli altri ad insinuarsi in determinate aree approfittando della situazione. Insomma, se non si possono gestire direttamente le cose si deve fare in modo che nessuno arrivi a sostituirti.
Si fa presto, pertanto, a parlare di abbattimento delle frontiere per la maggiore prosperità dell’umanità, si decanta da sempre ma non si fa, difatti, alcuna razionalizzazione degli investimenti per la riduzione degli sprechi e delle esternalità al fine della protezione dell’ecosistema planetario, ed altro che costi comparati e rischi calcolati! Si azzerano i vantaggi generali per limitare i danni di uno o di due Stati perseguenti progetti economico-sociali aggressivi e contrastanti. Anche il mondo può diventare piccolo come un pollaio se troppi galli alzano la cresta.
La globalizzazione funziona fino a che avvantaggia unilateralmente gli scambi, i commerci, le negoziazioni, gli orientamenti istituzionali favorevoli e le intese militari proficue per il Paese che se l’è inventata, cioè gli Usa. In caso contrario si denunciano le manovre scorrette altrui, dai cinesi che fanno dumping e tengono artificialmente basso il tasso di cambio della loro moneta per proteggere l’export, già oliato dai bassi costi del lavoro (e dalla inesistente sindacalizzazione della manodopera) che rendono ultracompetitive le loro merci, fino ai russi che si servono di ricatti energetici per ingabbiare l’Europa e il suo estero prossimo o delle manovre militari sediziose per rifornire di armamenti i rogue states esclusi dall’ordine atlantico. Invece, sostenere e sovvenzionare le monarchie islamiche dei petrodollari, così attive nel comporre, addestrare e munizionare bande di mercenari islamici, rappresenterebbe il nec plus ultra della democrazia. O questa è una frode che puzza di bruciato oppure la democrazia puzza di zolfo e di polvere da sparo come e più di qualsiasi dittatura. Buona la seconda, oserei dire.
La politica energetica è forse uno degli strumenti più importanti per veicolare, rafforzare, estendere la proiezione geopolitica degli Stati, quella che permette di concentrare più velocemente mezzi, risorse e capitali per il conflitto strategico tra gruppi dominanti finalizzato alla predominanza, nonché per far progredire, allargare, stabilizzare, sinergie e rapporti adatti al medesimo scopo.
Sulle vie infuocate dal gas e dal greggio si giocherà una partita decisiva per la configurazione degli equilibri mondiali e chi riuscirà a presenziare gli snodi e gli sbocchi vitali di pozzi, pipelines e filoni di prospezioni, in terra ferma ed in mare, si assicurerà un ineguagliabile vantaggio nella edificazione del nuovo ordine mondiale.
Gli strateghi americani, consapevoli di dover ripensare forma ed estensione della propria supremazia, che dovrà avere una profilazione differente rispetto a quella immediatamente successiva alla fine della Guerra Gredda – oramai insostenibile per il vizio imperituro della storia di chiudere cicli e aprire nuove sequenze evenemenziali – sono al lavoro per piegare le circostanze verso i loro intendimenti, sollecitando a propria rendita le contraddizioni interne degli apparati economici e politici nazionali di amici e nemici, le loro debolezze e divisioni, utilizzando una linea di condotta a geometria variabile che punta a generare dissidi e provocazioni nelle zone recalcitranti, oppure, ad alimentare assimilazioni culturali e sociali viepiù collimanti con dati intenti primeggiativi tra le collettività ricettive; come dire, la Potenza Centrale vuol far sentire in mille sistemi la sua presenza, dimagrata ma ingombrante, negli scenari fulcrali di questo secolo che sarà irreversibilmente multipolare e che diventerà, prima o poi, del tutto policentrico.
In ogni caso, dal modo in cui la geografia politica planetaria si modificherà con l’emersione inevitabile di detti poli di potenza, dalla maniera in cui gli Usa concederanno prerogative e signorie ai partner subordinati, condividendo la governance o autoritariamente imponendola, da come affronteranno, alla stregua di una bestia ferita, la perdita di influenza bella e buona nei confronti dei competitors non alleabili e allineabili, da tutto ciò, dicevamo, dipenderà il grado di sicurezza del globo, i futuri sconvolgimenti, i conflitti e le guerre che attraverseranno quasi certamente longitudini e latitudini terrestri.
Non c’è da stare tranquilli, nonostante il florilegio di baggianate dei nostri sensali della cooperazione necessaria e della solidarietà obbligatoria, mascheramento di una codardia dirigenziale plenaria, che per non apparire del tutto inadatti ai tempi blaterano sul loro impegno per superare, in un quadro di certezze inesistenti e liberali, la débâcle sistemica.
Ribadiamo, comunque, che il settore energetico rappresenterà il termometro di quello che ci attende nei periodi a venire, qui si porranno le basi per uno slancio determinante del dominio mondiale che l’America, seppur in relativo declino di supremazia dopo l’abbuffata di superiorità assoluta degli anni ‘90, ha intenzione di ipotecare, anche semplicemente impedendo ad altri di avanzare sulla scala della sovranità nazionale, regionale o globale.
Altrimenti non potremmo spiegarci le polemiche contro quei governi scoordinatisi dall’azione di Bruxelles (agenzia indiscussa d’attuazione della subordinazione continentale), alcuni dei quali hanno pagato con la “vita” la loro audacia economica esplorativa non autorizzata dalla Casa Bianca. Quando qualcuno tra questi, come quello italiano, si è lanciato in accordi di collaborazione e contratti bilaterali con la Gazprom, per la posa dei tubi ed il trasporto del gas nel vecchio continente senza passare dall’imprimatur atlantico, sono scoppiati gli scandali sessuali e quelli legati allo sperpero del denaro pubblico. Più sui giornali che nella realtà ovviamente. I tedeschi che vantano una classe dirigente più seria e convinta del proprio servizio alla collettività nazionale hanno tenuto botta (il dotto NorthStream è stato completato), gli italiani, invece, a causa di una élite slittata troppo ad ovest e marcita nella sua spina dorsale identitaria, hanno preso botte da tutte le parti (il SouthStream, partito come un progetto italiano-russo è diventato un affare dei nostri concorrenti francesi, tedeschi e chissà chi altri).
In questa direzione occorre pertanto interpretare le pressioni sull’Ue e sui suoi membri aderenti – nonché il sostegno dato da Obama alle rivoluzioni nordafricane e ora anche mediorientali con il coinvolgimento della Siria (domani forse toccherà all’ Iran, al Libano ecc. ecc.), – da parte dell’Amministrazione Americana che vede come fumo negli occhi qualsiasi avanzamento economico, politico, di collaborazione militare e statale del suo orto occidentale verso Russia e Cina. Bendisporsi ad est significa indisporre gli yankees e pagare a caro prezzo la presunzione di aver agito senza preventive consultazioni. Così funzionano le relazioni tra padroni e servi.
Il dramma europeo sta nel fatto che la sua creme istituzionale, scremata di visione politica, o non ha compreso il programma che sta andando in onda, in mondovisione, sugli schermi di questa epoca storica oppure si è adattata volontariamente, il che è anche peggio, al ruolo di spettatrice inerme dei processi in atto. Oggi l’Europa ha per gli Usa una rilevanza accessoria, indiretta, per niente primigenia, per cui non è più pensabile un’alleanza organica, persino cementata da organismi militari quali la Nato, come avvenuto in passato. Quando gli Usa ci guardano non vedono in noi una comunità fiera di esistere e di affermare le proprie prerogative, un alleato alla pari con il quale dialogare e concordare piani e strategie , ma vedono un cuscinetto di protezione dei loro interessi che anche sfaldandosi consentirà loro di guadagnare tempo, di concentrare le forze ed utilizzarle dove meglio serviranno. Siamo diventati in sostanza il loro parafulmine, il materasso dove atterrare più dolcemente, il corpetto corazzato di mollezza che attutirà i colpi sferrati contro di loro dagli eventi e dagli antagonisti mondiali. Ci beccheremo i proiettili di tutti morendo non da cavalieri ma da camerieri. Chiunque continua a parlare di perfetta coincidenza e piena uniformazione delle mete europee a quelle americane ha deciso di farci fare la fine del tacchino nel giorno ringraziamento. Saremo a tavola con lo zio Sam, ma solo perché ci avrà spennati per mangiarci.