La ragione del torto, il torto della ragione
“Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione[…]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”.
““Gli affari esteri devono essere condotti con prudenza, e il ministero di ogni nazione deve disporre di un buon numero di spie e di informatori all’estero, ed essere a conoscenza degli atti pubblici di tutti i paesi che per vicinanza, forza o interessi possono essere di vantaggio o di danno, per poter prendere di conseguenza le misure necessarie, ostacolando alcuni e favorendo altri, secondo che la politica o l’equilibrio delle forze richiedono…queste sono le arti che conducono alla grandezza terrena”.
B. Mandeville
La Storia umana è costellata di crimini. Ci sono periodi di particolare efferatezza ed altri meno turbolenti ma i delitti sono una costante dell’evoluzione umana. Le guerre che coinvolgono molti attori geopolitici sono sicuramente fasi in cui gli ammazzamenti crescono esponenzialmente ma anche nei periodi di pace si verificano singoli episodi o battaglie minori in cui la morte è “compagna di vita” delle nostre società. Probabilmente, la stessa guerra con il suo “climax” di violenza consente di abbassare la tensione e di ritornare a conflitti meno acuti che non sono mai del tutto debellati. Lo diceva anche Ortega Y Gasset:
“Il pacifista vede nella guerra un danno, un crimine o una perversione. Però dimentica che prima di ciò, e al di sopra di ciò, la guerra è un enorme sforzo che gli uomini compiono per risolvere certi conflitti. La guerra non è un istinto, bensì un’invenzione. Gli animali la ignorano ed è pura intuizione umana, come la scienza o l’amministrazione. Essa portò ad una tra le maggiori scoperte, base di ogni civiltà: la scoperta della disciplina. Tutte le altre forme di disciplina procedono da quella primigenia, la quale fu la disciplina militare. Il pacifismo è perduto e si trasforma in inetta ipocrisia se non tiene presente che la guerra è una geniale e formidabile tecnica di vita e per la vita…“La guerra, ripetiamo, era un mezzo che avevano inventato gli uomini per regolare certi conflitti. La rinuncia alla guerra non sopprime questi conflitti. Al contrario, li lascia più intatti e meno risolti che mai. L’assenza di passioni, la volontà pacifica di tutti gli uomini risulterebbero completamente inefficaci, perché i conflitti reclamerebbero soluzione, e, “fino a quando non si inventasse un altro mezzo”, la guerra riapparirebbe inesorabilmente in codesto pianeta immaginario abitato soltanto da pacifisti.”
Senza la guerra, sembra suggerire il pensatore spagnolo, ci logoreremmo a lungo non ottenendo quei risultati che consentono di calmierare i conflitti.
E’ ovvio che le guerre le fanno gli uomini, in particolare i gruppi dirigenti che sono ben strutturati gerarchicamente con uno o più leader in testa. Capita che questi capi diano ordini particolarmente “risoluti”, moralmente quasi sempre discutibili, ma quello che costoro hanno nel cervello non è lo spargimento di sangue bensì la vittoria sui nemici. I crimini sono pertanto inevitabili e non esiste atto criminoso che non sia praticato da un soggetto criminale, tuttavia, non è l’istinto criminale che orienta il leader ma la tattica e la strategia che devono portare al trionfo, anche al prezzo di molte uccisioni. Messa così la questione, si capisce altresì che in simili circostante di scontro non esistono buoni e cattivi, belli o brutti. Esistono i contendenti e la loro disputa, esiste una questione di prevalenza e di sopravvivenza, di vita o di morte.
Ieri leggevo un articolo dell’analista di geopolitica George Friedman su Limes. Egli scrive:
“La storia umana è sanguinosa agonia. Il peccato originale non sta nella brutalità. Sta nel desiderio universale di rendere migliori le cose. Lenin e Stalin uccisero milioni di persone per creare un mondo migliore. Hitler ne mise altrettanti a morte in nome del miglioramento nazionale. Si stima che i giapponesi abbiano massacrato 15-20 milioni di cinesi. Gli inglesi distrussero l’Irlanda. Gli australiani annientarono i nativi. I comanche conquistarono, uccisero e schiavizzarono innumerevoli nazioni degli indiani d’America. Anche gli ultracivilizzati scandinavi hanno i norreni da ricordare e a cui forse rispondere”.
Verissimo. Magari Friedman avrebbe potuto elencare, oltre allo schiavismo afro-americano, i genocidi di cui si è macchiato il suo Paese, dalla strage degli indiani d’America, a quella dei cittadini americani di origine asiatica durante la II guerra Mondiale, a tutti gli altri danni procurati dall’esportazione della democrazia.
Inoltre, non furono solo Hitler, Mussolini, Lenin o Stalin a dare ordini crudeli. Chi autorizzò lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasak (per citare un episodio, ma ce ne sono altri) è almeno parente stretto dei primi. Friedman però sembra appoggiare la versione per cui quegli ordigni, ponendo fine alla guerra, salvarono molte vite. Questa è solo una giustificazione ideologica. Bisogna andare, invece, fino in fondo alla faccenda. Occorre dire che se gli Usa avessero perso la guerra adesso giudicheremmo tali fatti molto più gravi dei danni causati dai nemici dell’America. Questo significa essere storicamente onesti e profondamente antimoralisti. Ciò che è bene e ciò che è male non può essere stabilito a priori. Post-festum trionfa la grande narrazione di chi ha prevalso nella sanguinosa disputa. Se il torto avesse avuto ragione dei suoi nemici, la ragione di oggi avrebbe sicuramente torto.