La “Rivoluzione Manageriale” di James Burnham
Una lunga trama teorica lega l’analisi della realtà d’impresa di Burnham fino ai giorni nostri, nella sua “Rivoluzione Manageriale,” libro scritto nel 1941 dall’economista newyorkese di formazione marxista (troskista); sembra una lunga parafrasi di Orwell, tante sono le predizioni e gli appunti sul futuro del capitalismo, anche se una lettura più attenta, e non sintomatica, ci introduce una prefigurazione di una realtà di organizzazione aziendale in fase di sviluppo fin dai primi del Novecento, asse portante a sua volta, di implicazioni ad elaborazioni successive; oltre a rappresentare l‘humus accademico (Usa) degli anni Trenta-Quaranta, tra ‘sponde’ culturali dei grandi economisti (marxisti) in fuga dal nazismo come Schumpeter e Nuemann.
Escludendo il ‘vuoto storico,’ in analisi dei capitalismi, con le uniche eccezioni di Sweezy e di Bettelheim, la letteratura economica ufficiale e non del Novecento ha ridotto e limitato l’idea di Management a combinazioni tecniche-giuridiche in compatibilità a ‘soggetti economici’ dominanti all’interno delle singole aziende. L’oggetto storico della ricerca di Burnham sul Capitalismo Manageriale corre sul filo di tutta la storia del Novecento, in controtendenza alle dottrine ufficiali che attribuivano alla Proprietà (Privata) in simbiosi al Controllo Pubblico dello Stato, gli elementi unificatori di tutti i mercati: un quesito posto e risolto nel ‘Capitalismo Manageriale, in sostituzione alla ‘Proprietaria Capitalista’ dei mezzi di produzione di stampo Ottocentesco, nelle declinazioni, soprattutto, dei marxismi di tutto il Novecento fino alle ultime versioni neo-postkeynesiane. L’emergere di un ‘Capitalismo di Tipo Nuovo’ (che ha origine dalla fine della prima grande guerra mondiale ’15-’18), non poteva non porre quesiti sulle strutture economiche e sociali che si andavano configurando nel corso dei conflitti intercapitalistici: uno tra tutti, la centralità della ‘Funzione’ (Capitalistica) nel ruolo del Manager che si contrappone, esautorandolo, alla mera proprietà del Capitalismo Borghese; un passaggio fondamentale e decisivo che allarga l’orizzonte di indagine nei cambiamenti di prospettiva dei nuovi ‘Capitalismi,’ in conflitto per la supremazia (in)tra imprese; una metodologia di ricerca storica sulle strutture economiche di transizione, con un accento posto sugli elementi di passaggio tra una formazione economica ad una altra, dal di dentro, come processo immanente della storia del capitalismo in transizione, tra diverse formazioni economiche sociali.
Partendo dalle società che conosciamo, ed in particolare da quella feudale, c’è un gruppo relativamente piccolo di uomini che controlla i principali strumenti della produzione secondo un diritto di proprietà, che a sua volta non è mai assoluto e sempre soggetto a limiti e restrizioni: le fasi cruciali di questo controllo sono rappresentate, dapprima nell’impedire ad altri l’accesso di questo controllo in maniera coercitiva (tramite tribunali, polizia, forze armate,..), poi successivamente “un trattamento preferenziale nella distribuzione dei prodotti degli oggetti controllati (posseduti)…. Il gruppo che possiede l’una delle due cose generalmente possiede anche l’altra: questa è la legge storica generale.” Nella società feudale lo strumento di produzione più importante era la terra in quanto l’economia prevalente era quella agricola, ed il trattamento prevalente della distribuzione dei prodotti agricoli era nelle mani dei feudatari con i connessi diritti feudali della proprietà, sanciti e garantiti dagli strumenti coercitivi dei tribunali e forze armate. La lotta per il potere del capitalismo borghese contro il sistema feudale, si sviluppò in un arco di tempo relativamente breve (dal secolo XVII al XIX) rispetto al sistema feudale (che durò per un tempo molto più a lungo); l’inizio del predominio borghese si ebbe nei primi embrionali rapporti capitalistici in pieno Medioevo, che si estesero gradualmente inglobando commercio e produzione (di merci) entro strutture di forme capitalistiche con strumenti di produzione in proprietà dei capitalisti ( si pensi alle città medioevali), estendendosi nei secoli successivi e permeando tutte le società occidentali fino alla prima guerra mondiale.
Il predominio borghese raggiunse una notevole importanza dentro il feudalesimo, e rappresentò la “condizione necessaria perché potesse presentarsi nel tipo di società successiva come classe dominante.” Il passaggio dal feudalismo al capitalismo borghese fu infine nel controllo degli
apparati statali, anche se “la costruzione del predominio borghese cominciò, e raggiunse notevole importanza dentro il feudalesimo, mentre la struttura della società aveva ancora un carattere prevalentemente feudale;” nello stesso modo il passaggio dal capitalismo borghese a quello manageriale come posizione di classe dominante, si svolse dall’interno della società borghese, attraverso il controllo della proprietà statale dei principali strumenti della produzione: “dentro questa cornice non vi saranno diritti di proprietà diretta sui principali strumenti della produzione investiti in individui come individui,” i managers eserciteranno il loro controllo sugli strumenti della produzione e acquisteranno una posizione preferenziale nella distribuzione dei prodotti, non direttamente come individui per il tramite della proprietà borghese, ma indirettamente attraverso il controllo degli istituti politici che compongono lo Stato.
Il mutamento che avvenne, dall’interno del capitalismo borghese verso quello manageriale fu reso visibile dai processi in atto nella formazione dei managers che rese del tutto passivo il rapporto, nei confronti della società (per azioni), della grande maggioranza dei proprietari legali della maggioranza di azioni possedute: l’unico diritto dell’azionista(i) è quello di percepire denaro sotto forma di dividendi; in tutto questo, la ricerca di Burnham gioca il ruolo essenziale e fondamentale dei cambiamenti della forma del capitalismo (in particolare dal capitalismo borghese a quello manageriale) attraverso la funzione come “oggetto gnoseologico” di identità di fronte ad ogni variare del contingente materiale empirico; il mutamento della “forma di proprietà” si sostanzia attraverso la separazione della struttura legale del diritto della proprietà borghese, dalla gestione, che diventa a sua volta forma funzionale di uno stabile sistema di condizioni di esistenza del management.
Il quesito essenziale posto da Burnahm sul che cosa cambia nel Capitalismo Borghese è risolto nella funzione che rappresenta a sua volta il mutamento di forma del diritto(i) della proprietà borghese individuale e nella sostituzione con l’individuo(i) manager (nel suo rapporto di potere di gestione e di controllo con la funzione). E qui si tocca un punto essenziale nella elaborazione teorica: superare la forma proprietaria individuale borghese significa un (ri)posizionamento del gruppo(i) emergente-dominante del management che subentra nel diritto di controllo dei mezzi di produzione associato alla distribuzione dei prodotti come maggior quota di reddito nazionale rispetto al resto della società; l’esperienza storica ha dimostrato che questi diritti sono interdipendenti nel senso che se si possiede uno di questi diritti automaticamente si possiede anche l’altro. Chi controlla gli strumenti della produzione ha al tempo stesso il dominio sociale poiché essi sono “ i mezzi mediante la quale la società vive.” In altri periodi di transizione, i signori feudali davano in affitto città e terre a condizioni capitalistiche dure agli stessi capitalisti ed avevano il diritto oltre al potere di cacciare via gli stessi capitalisti se non adempievano al contratto stabilito; dopo un certo periodo però i capitalisti avevano città e terre ed ai feudatari rimaneva soltanto “un elenco di antenati, una borsa vuota ed un potere svanito.. i mercanti gli affaristi ed usurai decidevano con i loro ducati la successione ai troni, l’elezione di imperatori e papi, la vittoria nelle guerre, i trattati di pace.” Cresceva così in estensione il processo conflittuale capitalistico, i singoli capitalisti venivano spazzati via da altri (capitalisti) che prendevano il loro posto o spesso anche da signori feudali o da funzionari; anche se ” l’estendersi del controllo capitalistico non fu lento e progressivo, ma subitaneo e su larga scala. Ciò avvenne in conseguenza di guerre internazionali, coloniali e civili.” Nello stesso modo le grandi e poche famiglie borghesi Usa che controllavano quantità enormi di diritti di proprietà capitalistica, in titoli ed azioni, molto maggiore rispetto agli gruppi sociali, cominciarono “a ritirarsi dalla produzione industriale alla finanza; il controllo si fece a questo punto più indiretto, fu esercitato di seconda, di terza o di quarta mano attraverso i vari sistemi finanziari. Ma questo ritiro non si limitò alla finanza, ma anche da ogni forma di partecipazione attiva o diretta a qualunque processo economico, impiegando maggiormente il loro tempo negli yaghts o nelle spiagge..”
I segni del cambiamento, che nascono dall’interno del capitalismo e si diffondono dapprima in modo graduale e poi improvvisamente con salto discontinuo, manifestano una corrispondenza funzionale ad una identità e continuità, come dei postulati che servono da generali linee di direzione
alla progressiva connessione delle leggi; il Capitalismo Manageriale all’inizio limitato indirettamente dal controllo dei grandi Capitalisti (Borghesi) sulle banche e la finanza, veniva esteso attraverso le società anonime controllate dal management: una trincea economica finanziaria con controllo occulto, ma con l’immagine dei Capitalisti Proprietari, ormai comunque esautorati dal governo dell’impresa ed a cui si potevano concedere soltanto i dividendi. La fase che condusse al dominio sociale del management non fu più “quella dell’accumulazione di diritti di proprietà capitalistica detenuti a titolo personale;” la nuova classe emergente rappresentata dal Capitalismo Manageriale per estendersi su larga scala, non poteva avere gli stessi diritti ottenuti a titolo personale del Capitalismo Proprietario: una classe dominante ormai entro una ristrettissima cerchia di componenti (circa sessanta grandi famiglie Usa detenevano il controllo di gran parte della produzione e del reddito di quel paese).
I ‘segni predittivi’ di Burnham trovarono conferma soprattutto nello sviluppo del Capitalismo Manageriale Occidentale (e non nelle ‘autocrazie’ naziste o staliniste) e con due direzioni di sviluppo, in ragione degli epigoni della errata trasformazione della proprietà nel suo aspetto formalistico giuridico, in quanto reale potere di controllo, con l’introduzione dell’ideologica coppia privato -pubblico. La nuova classe dominante (manageriale) per estendersi e sostituirsi ai capitalisti borghesi, dovette trovare nuovi mezzi efficaci, in nuovi diritti estesi su larga scala; l’estensione del diritto d’accesso dei nuovi capitali necessitati dai nuovi livelli della riproduzione allargata, nella ‘ Mondializzazione’ degli anni Venti del Novecento, dopo la prima guerra mondiale (è simile alla Globalizzazione dei giorni nostri), trovò un inserimento successivo nel consolidamento giuridico delle nuove forme società di “azionariato diffuso” delle “Pubblic Company”; una sorta di democrazia economica di massa nell’espressione dell’azionista-risparmiatore senza alcun potere societario e da tosare, da parte gruppi degli azionisti-manageriali, in ragione dei supremi interessi delle strategie finanziarie societarie. In Usa lo sviluppo del Capitalismo fu a prevalenza Manageriale ed in connubio con la Proprietà Familiare già ridimensionata dal precedente ruolo dominante borghese, nel comando assoluto attraverso la centralizzazione dei capitali; in Europa, Il Capitalismo Manageriale non si sviluppò in piena autonomia e non fu in grado di svolgere una funzione di competizione strategica ma soltanto quella del ruolo assegnato, in ‘brutta copia,’ ed in dipendenza Usa, con alta intrusione affaristica nel finanziamento della Spesa Pubblica (nell’ideologica coppia pubblico-privato) concessa a un management politico -partitico, in grado di gestire soltanto industrie assistite dallo Stato (si veda in particolare il caso Italia), in controtendenza a come si andò invece caratterizzando nel paese dominante (Usa) con imprese competitive, gestite con management strategico (in grado cioè di decidere in piena autonomia di sviluppo competitivo).
I processi del cambiamento dal capitalismo borghese a quello manageriale è simile ai passaggi che avvennero dal feudalesimo al capitalismo: quando una classe dominante decade e diminuisce, si estende il controllo detenuto da un’altra classe. Le numerose evocazioni, in segni predittici, di Burnham, sono svolte con trasposizioni storiche, alla ricerca dei significati più accorti che danno l’inizio del cambiamento, quando i Managers rimangono i “delegati servitori dei grandi Capitalisti” ; come per esempio sotto i Merovingi nella Francia del medioevo,”il maestro di palazzo all’origine non era nient’altro che un volgare capo dei servitori di corte. Gradualmente il controllo effettivo dell’amministrazione passò nelle mani dei maestri di palazzo. Ma, per alcune generazioni dopo di ciò, i Merovingi, divenuti sempre più meri fantocci, furono tenuti come re e vissero con tutti i segni esteriori della regalità. L’atto finale della loro eliminazione, ebbe luogo quando il maestro di palazzo che fu padre di Carlo Magno si proclamò re, non fece che dare una forma esteriore, a ciò che era accaduto nella realtà sociologica;” mi viene da pensare, sempre per trasposizione storica in questo caso ‘rovesciata’, e riandando in ‘moviola’ all’inizio della storia dei governi italiani dall’ultimo dopoguerra, che hanno via, via, sgovernato l’Italia fino ai giorni nostri, e trasformati nel tempo volgari capi dei servitori di corte delle Banche d’affari Usa, pur mantenendo tuttavia l’apparente autonomia di governo del paese come “maestri di palazzo”.
L’intromissione dell’attività di governo (il cosiddetto Pubblico), secondo Burnham, per preservare l’integrità del mercato e dei rapporti di proprietà capitalistica, e per dare aiuto e
sostegno quando ciò sia necessario, nelle guerre, o nelle competizioni internazionali, o nei disordini interni, è parte integrante della struttura sociale capitalistica, e l’intromissione governativa si estese all’assistenza, alla disoccupazione…, alla totalità del mondo economico Usa, fino a poter osservare che una metà o più dell’intera popolazione dipende del tutto o in parte preponderante, dal governo per i propri mezzi di sostentamento; si rammenta che il periodo storico preso in esame riguarda il New Deal degli anni trenta e l’inizio della seconda guerra mondiale. Quello che l’economista Burnham mise in evidenza fu l’emergere di un tipo di economia Capitalistica a conduzione manageriale dove nella funzione del manager veniva fusa l’accoppiata (sopra menzionata) del pubblico -privato: una predizione alquanto mirata e confortata dallo sviluppo capitalistico successivo, fino ai giorni nostri.
Mi sembra di poter aggiungere rispetto a quella intuizione, che mano a mano che l’intromissione politica dei Governi (destra sinistra) si intromettevano nella proprietà privata, ormai fortemente sminuzzata nell’azionariato diffuso (e ricomposto nel potere gestionario del “Patto di sindacato”), e interessato soltanto alla distribuzione del dividendo, la funzione dei management Usa approfondiva la sua funzione strategica di controllo reale dei processi di produzione del paese Centrale, parallelamente ed in relazione alle funzioni rese ambivalenti dal controllo formale del management europeo che dirige prevalentemente la direzione di investimenti di Spesa Pubblica nella versione ideologica della coppia Privata-Pubblica, tutto interna comunque al quadro strategico assegnato dal capitalismo Usa; su quest’ultimo punto si può aprire una qualche riflessione sul management italiano che viene premiato con i più alti compensi (europei) quanto più riesce a socializzare le perdite d’impresa.
G.D. Gennaio ‘08