La sepoltura dei morti
Parte I. Che cosa mormorava il Piave
«Altri morirà per la Storia d’Italia volentieri
e forse qualcuno per risolvere in qualche modo la vita.
Ma io per far compagnia a questo popolo digiuno
che non sa perché va a morire
popolo che muore in guerra perché "mi vuol bene"
"per me" nei suoi sessanta uomini comandati
siccome è il giorno che tocca morire.
Altri morirà per le medaglie e per le ovazioni
ma io per questo popolo illetterato
che non prepara guerra perché di miseria ha campato
la miseria che non fa guerre, ma semmai rivoluzioni.
Altri morirà per la sua vita
ma io per questo popolo che fa i suoi figlioli
perché sotto coperte non si conosce miseria
popolo che accende il suo fuoco solo a mattina
popolo che di osteria fa scuola
popolo non guidato, sublime materia.
Altri morirà solo, ma io sempre accompagnato:
eccomi, come davo alla ruota la mia spalla facchina
e ora, invece, la vita.
Sotto ragazzi,
se non si muore
si riposerà allo spedale.
Ma se si dovesse morire
basterà un giorno di sole
e tutta Italia ricomincerà a cantare.»
Piero Jahier, Con me e con gli alpini
Conservo gelosamente l’edizione di “Con me e con gli alpini” edita da “La Voce” e con firma di Piero Jahier. Un’edizione tramandatami dalla mia famiglia assieme alla nostra piccola mitologia protestante-resistenziale. Non so se Ignazio La Russa abbia mai letto niente di Jahier. Di sicuro invece Benito Mussolini lo apprezzava, ci litigava e si dannò per non essere riuscito a coinvolgerlo nel Fascismo. Così l’ex studente della Facoltà Valdese di Teologia e antifascista da subito, Jahier, fu picchiato, imprigionato, silenziato e nel ’43 prese la via della montagna. Ma sicuramente il Duce non conosceva questa “Dichiarazione”, perché fu aggiunta alla raccolta dall’autore proprio nel ’43.
Ho sempre correlato la passione morale di Jahier con quella di Pasolini, quella bussola che anche tra le tempeste, gli inevitabili scarrocci, la deriva, i mal di mare, gli smarrimenti, ci dice in qualche modo che il Nord sta in una certa direzione ed è dalla parte opposta del Sud. Poi useremo il compasso e il sestante. E’ necessario. Ma senza la bussola c’è poco da fare.
Dopo questa doverosa premessa, arriviamo al dunque.
In occasione della ricorrenza del 4 novembre la destra si è sbizzarrita con dosi abbondanti di retorica patriottica (che poi erano quelle che si usavano quando io ero alle elementari, benché allora i post-fascisti fossero ancora fascisti e tenuti a debita distanza dalla stanza dei bottoni).
La sinistra ha colto al balzo l’occasione per protestare contro il rigurgito di militarismo e … e …. e basta.
Dirò subito che per me la I Guerra Mondiale ha espresso una casta militare tra le più abbiette della Storia, ben rappresentata da film come “Orizzonti di Gloria” di Kubrick o libri come “Un anno sull’altipiano” di Lussu e, per ritornare in famiglia, dalle parole della canzoncina che mia nonna, comunista credo fin da quando faceva la “piscinina” (cioè la piccola lavorante delle sartorie, in dialetto milanese), ogni tanto mi canticchiava: “El general Cadorna, el magna, el bev, el dorma”.
Ma la critica al militarismo di La Russa, certamente noioso come una mosca tze tze, è stata, per l’appunto, una critica al militarismo di La Russa, e da lì non si è smossa.
Siamo nel 2008: dà più fastidio che si canti la “Canzone del Piave” in TV e nelle scuole o che si mandino i nostri militari in Kosovo, in Afghanistan, in Libano, in Iraq e domani chissà dove? Mandati quando il 4 novembre non se lo filava nessuno. A noi la “Canzone del Piave” ce la facevano cantare obbligatoriamente alla scuola elementare (e, ripeto per chi non avesse ancora capito: non c’erano fascisti al governo) ma appena smessi i calzoni corti siamo andati nelle strade a protestare contro la guerra in Vietnam. Non fermiamoci alla superficie.
Fermarsi alla superficie delle cose, quelle più evidenti e macroscopiche, è sempre stato un comodo esercizio opportunista. E anche questa volta è andata così.
Questa ricorrenza, invece di dar luogo a scaramucce contrabbandate per battaglie campali, avrebbe potuto essere un’occasione buona per fare un discorso politico sulle cause e sulle conseguenze di quella guerra. Lì bisognava battere il tasto.
Per cominciare, bisognava ricordare che da quella guerra erano usciti due vincitori: gli USA e la Russia di Lenin.
Gli USA perché iniziavano quell’egemonia sull’Europa che avrebbero sancito definitivamente con la vittoria nella II Guerra Mondiale, ovverosia con la seconda parte della Guerra dei Trent’Anni (1915-1945) combattuta tra USA e Germania per succedere alla declinante egemonia Britannica. Avrebbero dovuto essere ricordate le sanzioni estremistiche imposte ai vinti dal Trattato di Versailles, talmente foriere di disastri che Lord Keynes (che parlò di “pace cartaginese”) abbandonò schifato la delegazione britannica. Bisognava ricordare la successiva presa ferrea della finanza anglosassone sull’Europa. Bisognava ricordare che da qui nacquero il Nazismo e in parte il Fascismo che infatti descrivevano ideologicamente quella presa ferrea come “complotto demo-pluto-giudaico” (e, sia detto per inciso, chi ancora oggi parla di “complotti” e specialmente “demo-pluto-giudaici” sia considerato come un appestato politico, senza nessuna concessione o attenuante).
Insomma, qui sì che un discorso sul militarismo e il fascismo avrebbe avuto un senso e, soprattutto, sarebbe servito da monito attuale. Qui sì che si sarebbe visto tutto il marciume di quell’orrendo macello e si sarebbe potuto fare un discorso per l’oggi e il domani.
Non prendendosela con le baggianate del ministro La Russa.
Non mettendosi il lutto al braccio per distinguersi dai labari consunti dimenticandosi di quelli appena tessuti (con recentissimo contributo della sinistra).
Non commuovendosi con la struggente “Oh Gorizia tu sei maledetta”, ma pensando per lo meno, visto l’incoercibile filoamericanismo, che i militari statunitensi ormai è da tempo che cantano “Oh Bagdad tu sei maledetta”.
E mai e poi mai facendo sparare addosso alla Rivoluzione Bolscevica come fa Bifo su “Liberazione”. Questo signore disceso dal cyberspazio ha già ricevuto una salutare dose di giusti improperi e quindi dato che il “lavoro sporco” lo hanno già fatto, lascerò perdere. Ma non posso non sottolineare la miseria di chi non ha nemmeno capito che la rivoluzione di Lenin portò fuori da quell’orrendo massacro interimperialistico il proletariato e i contadini russi, che tra militari e civili avevano già avuto più di 3.300.000 morti. Non fosse che per questo, la Rivoluzione d’Ottobre fu sacrosanta, tre milioni e trecentomila volte sacrosanta. E se Bifo non riesce a fare quadrare i conti tra la Storia e le sue elucubrazioni, che torni a smarrirsi nel cyberspazio a combattere contro il semiocapitalismo; ché lì vincerà di sicuro, per la semplice ragione che le scemenze non sono nemmeno confutabili.
Parte II. Elogio degli Stati Uniti
Io non scaricherei la giusta ira contro i filo-Obama di sinistra nostrani, attraverso una serie d’improperi nei confronti del popolo statunitense.
Hanno la democrazia che hanno, che non è un gran che. Tutta basata su bandwagon miliardari dove le lobby potenti contano infinitamente di più di tutti gli americani messi insieme, come contano di più gli strateghi imperiali.
I presidenti democratici USA sono stati tanto, se non più, guerrafondai quanto quelli repubblicani. Il democratico Wilson portò il suo Paese nella I Guerra Mondiale, il democratico Roosevelt nella Seconda. Fu il democratico Truman a far sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Fu il democratico – e idolatrato da Veltroni – Kennedy a far attaccare Cuba alla Baia dei Porci (per poi svignarsela quando gli invasori le presero di santa ragione), fu sempre lui a iniziare l’intervento americano in Vietnam e fu il suo successore, il democratico Johnson a inventarsi il cosiddetto “incidente del Golfo del Tonchino” e a trasformare quell’intervento nella spaventosa guerra che sappiamo. Di Clinton abbiamo già parlato fin troppo e si entra nell’attualità.
Sono cose note. Solo la sinistra, dal Manifesto al PRC al PD, fa finta di non saperle o non ricordarle.
E pur essendo note, tuttavia non credo che debbano impedire di cogliere il significato di queste elezioni.
E’ altrettanto noto, ma non da parte della sinistra e del senatore Gasparri, che Barack Obama si è circondato di consiglieri inquietanti, a partire dal vicepresidente da lui scelto, Joe Biden, promotore delle guerre balcaniche, dell’invasione dell’Iraq e della sua suddivisione etnico-religiosa. E’ da notare tangenzialmente che a parte la stizzita difesa d’ufficio di Obama – e soprattutto degli USA “più importante alleato” – da parte della senatrice PD Anna Finocchiaro, Gasparri è risuscito a ridar fiato, tramite l’On. Luciano Violante, alla solita tesi del giro vizioso guerra-terrorismo, ovvero alla più stucchevole truffa ideologica buonista della sinistra di cui era vate e maestro Fausto Bertinotti, truffa che è servita a non dare mai alle cose il loro vero nome.
Certo, tutto questo servilismo manda in bestia, eppure continuo ad essere del parere che non possiamo guardare alle elezioni USA distratti da queste miserie.
Provo a mettermi nei panni (o meglio “nelle scarpe”, che fa più male, come dicono in certe zone dell’Africa) nelle scarpe degli americani. E’ indubbio che abbiano votato Barack Obama perché non ne potevano più di Bush come non ne poteva più il resto del mondo. Ancora una volta hanno “scelto” tra quel che offriva il mercato (in questo caso in senso quasi letterale), ma pur con questi limiti non me la sentirei di criticare il loro atto di scelta. La loro scelta sì. Ma il loro atto di scelta no. In altri termini, penso che le motivazioni interne del popolo americano debbano essere più attentamente valutate.
E poi l’elezione di Obama mi ricorda, così di pelle, la nomina a imperatori di Roma dei Severi e degli Antonini, i non-italici. Gli Stati Uniti sono veramente un Impero. E ancora una volta l’hanno dimostrato. Hai voglia a considerare gli Americani tutti sciocchi e provinciali.
Al contrario, gli Stati Uniti sono una nazione straordinaria e mi sembra che anche Giellegi lo abbia riconosciuto polemizzando recentemente contro l’antiamericanismo d’accatto di certa parte della sinistra estrema.
Io chiamo questo tipo di antiamericanismo “sindrome di Asterix”, illustrata splendidamente da quella strip dove un tifoso francese, deluso e inviperito perché la Francia ha perso a football contro l’Italia, si vendica guardando Asterix che le suona sode a quei volgari e rincitrulliti di Romani.
Un antiamericanismo astioso, snob ma insieme piagnucoloso, dove si rivaluta ogni cultura “altra”, basta che sia marginale e preferibilmente la più lontana da quella, volgare e stupida ovviamente, del “centro del Potere”.
In realtà nessuna nazione può essere egemone sul mondo per decenni e decenni se composta da beoti volgari. Nessuna forma d’impero si è mai basata sull’idiozia dei dominanti. E gli Stati Uniti non fanno eccezioni.
E infatti gli Americani hanno raggiunto i massimi livelli in ogni singola arte e in ogni singola scienza e tutte le hanno rivoluzionate, una ad una.
Credo che nessuno possa disconoscerlo. E allora non ha senso dar loro del volgare beota.
Jawaharlal Nehru ha dedicato la prima parte della sua vita alla lotta contro gli Inglesi, ma non li considerava degli stupidi e, al contrario, mentre giaceva nelle loro prigioni di massima sicurezza avvertiva: “[…] gli Inglesi rappresentavano un’organizzazione politica e militare superiore, ben unita, e con leader molto capaci. […] erano, a quell’epoca, molto più avanzati politicamente. Essi avevano avuto una rivoluzione politica ed avevano posto il potere del parlamento al di sopra di quello del re. La loro borghesia, conscia del suo nuovo potere, era piena di fermenti espansionistici. […] La cosa che veramente mancava all’India la possedeva l’Occidente, e la possedeva fino all’eccesso. Esso aveva una mentalità dinamica.”
Sono convinto che il popolo statunitense abbia cercato un cambiamento e, in qualche modo, che l’elezione di Barack Obama abbia effettivamente un non so che di “storico”. E’ una sensazione. Una pura sensazione. Però una sensazione che non ha nulla, ma proprio nulla a che vedere col giubilo scomposto dei laeti di sinistra (e di destra) di questa disgraziata provincia.
Dicono, estasiati e proni, che Obama straveda per Gandhi. Beh, Nixon era quacchero e i quaccheri sono noti per essere obiettori integrali di coscienza e pacifisti a oltranza. Eppure è passato alla storia come “Nixon boia”. Ma la sinistra se l’è già dimenticato.
E Clinton? Clinton fu persino renitente alla leva e scappò in Canada per non essere mandato a combattere la guerra del Vietnam alla quale si opponeva attivamente. E poi? Poi divenne comandante in capo delle forze armate USA, altro evento che fu salutato come strabiliante dalla nostra sinistra. Peccato che il suo Segretario di Stato ebbe a dire una volta in televisione che mezzo milione di bambini iracheni morti erano un “prezzo giusto” da pagare (“The price is worth it”). Strabiliante, non c’è che dire.
E infine c’è sempre il modo di richiamare alla memoria del Presidente chi l’ha piazzato alla Casa Bianca e per conto di chi – e non è certo il Popolo (c’è chi dice che il proiettile calibro 22 nel polmone sinistro di Reagan fosse uno di questi promemoria).
Insomma, epidermicamente sento che l’elezione di Obama è stata un evento importante, ma un po’ meno epidermicamente sono preso dalla quasi certezza che anche questa sia una delle tante primavere che non fioriscono.
A meno che … A meno che non succeda qualcosa che i suoi sponsor non riescono a controllare.
“Là vidi uno che conoscevo, e lo fermai gridando: «Stetson!
«Tu che eri a Mylae con me sulle navi!
«Quel cadavere che l’anno scorso piantasti nel tuo giardino,
«Ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest’anno?
«Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiata l’aiuola?
«Oh tieni il Cane a distanza, che è amico all’uomo
«Se non vuoi che con l’unghie, di nuovo, lo metta allo scoperto!
« Tu hypocrite lecteur! – mon semblable, – mon frère! …
T. S. Eliot, La Terra Desolata
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Nel suo ultimo romanzo ‘Petrolio’ (incompiuto), Pasolini descrive con sguardo antropologico l’avvento in ogni ganglio della formazione sociale italiana di una figura sociale decadente : la ‘mezza calzetta’. Secondo Pasolini questa figura (figuro) divenne predominante sia tra i dominanti che tra i dominati, ed in questo credo stia la novità storica, che oggi campeggia davanti a noi sempre più con evidenza. La sovranità nazionale sempre più limitata dai disegni geopolitici statunitensi espressisi anche nella nostra progressiva adesione ad una incolore ed inconsistente UE, la decadenza della struttura produttiva nazionale sovrastata dalla finanza subordinata agli USA, la marcescenza politica nell’omologazione tra destra e sinistra, l’evanescenza manifesta nello svaporamento di contenuti culturali forti. Forse la ‘mezza calzetta’ pasoliniana è al contempo la condensazione umana di tali processi e l’agente sociale attivo promotore degli stessi…
“Nei torbidi periodi d’oscillazione e transizione sempre e dovunque compare tale ‘gentucola’. Io non parlo di quelli che, in generale, cercano sempre di essere i primi, e in questo hanno uno scopo, anche se assai spesso perfettamente stupido, tuttavia più o meno logico. No, io parlo—come dice Dostoevskij, e come io non oserei dire—delle ‘mezze calzette’. In ogni periodo di torbidi e poi di transizione, vengono fuori in numero immenso e soprattutto con un’immensa capacità di ricatto …., queste ‘mezze calzette’, che evidentemente pullulano allo stato potenziale (e in tale stato chissà poi cosa fanno) in ogni società. E vengono fuori non solo senza alcun fine logico, ma senza non avere neanche l’ombra di un’idea : esse semplicemente esprimono con tutte le forze l’inquietudine e l’impazienza, anzi l’insofferenza, generali.
Per prima cosa questa folla di ‘mezze calzette’ spuntate nella fattispecie, nel ’68, senza neanche saperlo, quasi sempre non fanno altroché seguire le parole d’ordine di quel piccolo gruppo di ‘avanguardisti’ che agiscono con uno scopo logico ( e , voglio aggiungere, anche con intenti rivoluzionari onesti e nobili, anche se al tempo stesso improvvisati e puerili). …. Fatto sta che una folla delle ‘mezze calzette’ più spregevoli (con tanto di baffi, basette, capelli fin sulle spalle) aveva preso il sopravvento, aveva cominciato a criticare tutto ‘ciò che vi è di più sacro’. Mentre prima non osava nemmeno aprir bocca : e le persone di primo piano che fino a quel momento avevano tenuto così felicemente la supremazia avevano cominciato ad un tratto ad ascoltarle, e loro stesse a tacere. …
La folla delle ‘mezze calzette’ rivoluzionarie aveva preso il sopravvento non solo sulla buona borghesia, professionisti, alti burocrati, industriali, militari … : ma anche sulla piccola borghesia da sempre irrequieta, e addirittura sui partiti di sinistra coi loro autorevoli uomini politici e i loro irresponsabili intellettuali.” pag 508-509