LA SPALLATA DI DRAGHI di G. Duchini

 

La temuta recessione americana viene affrontata da Bush con il palliativo degli sgravi fiscali e con aiuti all’economia Usa per 150 miliardi di dollari. Il tutto attraverso un pacchetto di misure fiscali, pari all’1% del Pil (800 dollari procapite di rimborsi), avente l’obbiettivo  risibile di elevare i consumi per favorire la ripresa economica e l’occupazione.

Ma, come ben si sa, la strada per l’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. La Fed annuncia un taglio dei tassi dello 0,75% portando così il tasso al 3,50%, come non era mai accaduto negli ultimi 40-50 anni, e, contemporaneamente, si fa sapere da parte della banca Centrale Usa una ulteriore riduzione dei  tassi fino al 2,25% entro l’anno ‘08, per estendere con ciò, la liquidità  in circolazione,  allungando i tempi per la resa dei conti di tutta la finanza spazzatura immessa in giro per il mondo. Ma si sta tentando di conciliare l’inconciliabile,  con una politica monetaria europea che va esattamente nella direzione opposta, una missione impossibile a risolversi. Nel frattempo, le borse europee hanno bruciato, nel loro crollo, centinaia di miliardi di euro di capitalizzazione, a seguito dello “tsunami finanziario”, innescato in Asia come risposta al piano Bush, e non  gradito da tutti i mercati internazionali; in controtendenza alla politica di liquidità della Fed (Banca Centrale Usa), il sistema Europa, rappresentato dalla Bce (Banca Centrale Europea), si propone un compito prioritario di lotta all’inflazione facendo orecchie da mercante alle richieste di governi ed imprese a favore di un costo del denaro più basso, continuando a porsi al traino  della Banca Centrale tedesca, la più inflessibile su questo punto. Weimar docet, le maglie sempre più strette del credito europeo hanno reso più difficile l’accesso ai prestiti sia alle imprese che alle famiglie, determinando un crollo dei mutui immobiliari. Rispetto a ciò è in controtendenza Bankitalia la quale dichiara  che la crisi non ha toccato il nostro paese, se non lievemente.

     L’Italia di fronte a tale disastro finanziario e sociale continua nella sua politica del “pesce in barile”. Il Governatore Draghi, già in busta paga quale Direttore Regionale in Europa della banca d’affari Goldman Sachs e quale emerito rappresentante di questa politica  autarchica (che non ha altro equivalente in Europa),  durante il recente convegno del “Forex” di Bari del 18 gennaio, dopo aver denunciato l’uscita del risparmio degli italiani per un valore di 53 miliardi di euro, ha posto un problema di non poco conto: quello della “Governance” bancaria con un ruolo più rilevante da assegnare  al “Consiglio di Sorveglianza” rispetto al "Consiglio di Gestione", con una netta separazione dei ruoli, ma con la possibilità per “il Consiglio di Sorveglianza di nominare e revocare i membri del Consiglio di Gestione e deliberare in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari delle società predisposti dal consiglio di gestione stesso”; si ricorda che la “Governance” si regge ancora sul sistema del Consiglio di Sorveglianza e del Consiglio di Gestione in modo “duale” cioè paritario, così da confondere  le due funzioni nei ruoli dei diversi organismi.

Rafforzare il Consiglio di Sorveglianza significa centralizzare il comando interno alle concentrazioni bancarie eliminando i pesi e contrappesi delle alchimie politiche del “sistema Duale della Governance” ed al tempo stesso, porre presidi di BanKItalia riguardo ai nuovi indirizzi strategici: si tratta  di  entrare  a piedi uniti dentro i piatti dei commensali proprietari  in “commistione duale,” della parte di finanza (politica) non ancora sulla stessa lunghezza d’onda della nuova linea politica di Draghi. Si pensi a Cesare Geronzi,  Presidente del consiglio di Sorveglianza di Mediobanca o a di Enrico Salza Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa-Sanpaolo (presenti entrambi al convegno), che hanno garantito finora  interessi proprietari più propriamente domestici, anche se con l’occhio sempre rivolto agli interessi superiori d’ Oltreatlantico;  altri presenti al dibattito, come Dieter Rampl, presidente di Unicredit e vice presidente di Mediobanca, o Marcello Messori presidente di Assogestioni, hanno, invece, non solo gradito ma auspicato, il nuovo modello  di governance proposto da Draghi, dimostrando di essere, come diceva Totò, “Uomini di Mondo.”

      L’annuncio dato da parte del Governatore sul  nuovo sistema di Governance, qualche giorno prima della crisi finanziaria mondiale e della possibile caduta del governo Prodi (in concomitanza all’intervento di Bush sulla defiscalizzazione  tesa a sostenere la domanda dei consumi interni in forte decrescita), fanno da contraltare  alla recente proposta governativa di  defiscalizzazione per un aumento dei salari, da porre invece secondo Draghi,  solo in una fase di maggiore produttività salariale. Ciò dà non solo un segnale forte a tutti i governi prossimi a venire, quanto e, soprattutto, inizio ad una resa dei conti interna a tutto il sistema finanziario italiano; un passaggio ulteriore nella direzione, ormai ravvicinata, di rinuncia(?) di Bernheim (Presidente delle Generali), e dei tempi improcrastinabili e ormai ineluttabili, dell’obbiettivo sempre perseguito dalla morte di Cuccia, della  consegna delle “Generali” in mani più forti (partendo proprio dai controlli interni più centralizzati, ed in maggiore osservanza agli indirizzi strategici finanziari Usa). Così il cortile finanziario italiano sta diventando una zona franca di scorribande internazionali, una sorta di laboratorio politico-finanziario onde sperimentare ridefinendo (continuamente) nuove alleanze in Europa e più sofisticate strategie, cercando nuovi spazi geopolitici di confronto.    

 

G.D. gennaio ‘08