LA SPORCA GUERRA AMERICRAINA di P. R. Spadoni
Ormai dovrebbe essere chiaro ai più che nonostante la sicumera ostentata dal governo ucraino, spalleggiato dalla Nato, le operazioni armate nel Donbass non sono una questione di giorni o settimane, come dichiarato dal truce Presidente cioccolataio, già all’indomani della sua farsesca investitura elettorale. Fare la guerra non è come produrre caramelle o mettere a segno rapine contro le casse statali e i beni pubblici. Attività in cui eccellono, dai tempi della caduta dell’URSS, i lestofanti slavi eletti a paladini della democrazia dal sedicente mondo libero, vittima delle sue stesse contraddizioni. La stampa mondiale parla con soddisfazione dell’assedio di Donetsk e Lugansk, dove i civili vengono colpiti senza alcuna pietà e valgono meno degli omologhi di Gaza (per i quali si fanno manifestazioni oceaniche ovunque), convinta che la Russia stia per essere sconfitta e ricacciata indietro da quello che fino a ieri era il suo giardino di casa.
L’Eu pagherà un prezzo salatissimo per il suo coinvolgimento in questa complicazione internazionale dalla quale non trarrà vantaggi, né immediati né futuri, ma solo disagi per un lungo periodo. Sanzioni a parte. Da adesso in poi dovrà fare i conti con il deterioramento delle relazioni diplomatiche coi russi, con l’ingerenza accresciuta degli Usa in Europa e con la fine della sua credibilità per gli aiuti concessi a criminali oligarchici in odor di squadrismo, eletti frettolosamente a controparte accettabile. La sua retorica inclusiva e riconciliante è andata a farsi benedire, l’Europa non è l’eden del dialogo e della solidarietà tra i popoli europei ma una fucina di burocrati e di servitori politici che prendono ed eseguono ordini da oltre Oceano, tradendo i propri cittadini ed ingannandoli bellamente.
L’Occidente che ha scatenato il conflitto fratricida coi suoi soliti metodi velenosi e banditeschi è il responsabile dell’eccidio in corso nel Paese. Non ci sono scusanti, nemmeno se la guerra viene condotta per procura. Ha armato ed addestrato gli elementi più settari e facinorosi del settarismo ucraino dimostrando di disprezzare la democrazia e la libertà di ogni collettività di essere artefice del proprio futuro, senza condizionamenti esterni.
Ma la scia di sangue sta per allungarsi perché a breve dovrebbe partire il contrattacco delle milizie, secondo le informazioni in nostro possesso. Tuttavia, la situazione, con il respingimento dell’esercito di Kiev lontano dalle principali città del Sud-Est, si protrarrà fino all’autunno quando l’Ucraina sarà socialmente ed economicamente in ginocchio e le sue truppe allo sbando si scioglieranno come neve al sole. Le nuove proteste di Majdan, che vedono coinvolti i battaglioni privati degli oligarchi, una polizia sempre più aggressiva e corrotta e manifestanti delusi dalle promesse americane, rivelatesi un bluff utile solo capovolgere i rapporti di forza geopolitici a favore di Washington contro Mosca, certificheranno una situazione insostenibile che farà collassare lo Stato Ucraino. Sarà un disastro a due passi dall’Europa in una fase in cui questa si è già dimostrata incapace di prendere in mano il suo destino e di dare speranza ai suoi dimoranti umiliati dalla crisi economica e dalla caduta del benessere sociale.
Obama ha deciso di andare avanti sulla sua strada, e nonostante qualche timido tentativo della Germania di farlo ragionare, non c’è stato nessun altro che si è assunto la responsabilità di rompere il fronte atlantico per evitare il peggio. Non di certo l’Italia che tra tutti i membri comunitari è quello più ortodosso alla fede americanista. Cambiano i governi e i giullari di corte ma il filo-atlantismo degli italiani resta indissolubile, al pari della loro mancanza di coraggio. Ma il coinvolgimento diretto degli Usa negli affari ucraini alza il prezzo della scommessa. La sconfitta di Kiev potrebbe essere anche quella americana. Ciò non resterà senza conseguenze, almeno agli occhi dei suoi partner che dovranno constatare l’inaffidabilità degli yankees. Un membro del team presidenziale, Benjamin Rhodes, come riporta il sito di Carnegie, “ha pubblicamente riconosciuto che l’Amministrazione ha forgiato una qualche forma di intelligence sharing con Kiev”. Questo significa che è la Casa Bianca a fornire ai vertici militari ucraini informazioni sui movimenti delle truppe nemiche sul terreno, nonché i target da colpire. Ne deriva che tutta l’escalation del conflitto è stata concordata o suggerita dagli esperti americani, convinti di poter liquidare la pratica separatista rapidamente. Ma qualche intoppo deve essere stato percepito dai medesimi americani perché la resistenza filo-russa risulta sempre più agguerrita e ben armata. Cosicché, improvvisamente si sono riaccesi gli animi nel Nagorno Karabakh l’enclave armeno-cristiana sulla quale gli azeri rivendicano una sovranità che non avranno mai. Anche perché gli armeni sono stati “allevati” sotto l’ala protettiva russa, come ci ha rivelato una nostra fonte, quindi sanno come comportarsi in caso di aggressione. Dietro queste provocazioni ci sono ancora una volta gli statunitensi che quando non riescono a venire a capo di una situazione non trovano di meglio da fare che aprire un altro fronte di vendette e di persecuzioni, al fine di individuare una via di fuga attraverso l’ulteriore scompiglio creato. Come ha scritto ieri Micalessin su Il Giornale è stata proprio l’Italia ad accendere la miccia di quest’ennesima disputa che potrebbe sfociare in un conflitto guerreggiato come quello ucraino: “Per capire il gioco azero, ovvero il tentativo di garantire una copertura diplomatica alla proprio interventismo sfruttando l’inesperienza del governo di Matteo Renzi, bisogna tornare al 13 luglio, quando Aliyev sbarca a Roma e incontra il nostro presidente del Consiglio. Al termine del vertice sugli accordi per la Trans-Adriatic pipeline (Tap), il gasdotto destinato a portare il gas azero in Puglia, la delegazione di Aliyev esibisce un’ambigua bozza che avvalora l’idea di un’intesa con l’Italia per il ritorno del Nagorno Karabakh all’Azerbaigian.
I consiglieri diplomatici di Renzi, invece di respingerla con un secco «no» in quanto contraria a tutte le delibere europee ed internazionali, prendono tempo. La Farnesina, invece, si accorge del pasticcio e cerca di rimediare. Ma è troppo tardi. Mentre l’Italia temporeggia l’ambasciata azera pubblicizza la finta bozza dandola per firmata. Dietro quel bluff c’è il tentativo di sfruttare l’esitazione italiana per saltare a pié pari tutti i precedenti negoziati con il Gruppo di Minsk, la struttura dell’Osce composta da Stati Uniti, Francia e Russia e altri Paesi (Italia compresa) che da vent’anni cerca una soluzione diplomatica al conflitto”. Al contrario del bravo giornalista non crediamo che si sia trattato di un errore accidentale. I tempi sono così sospetti che nulla viene lasciato al caso. Roma ha agito su suggerimento americano attirandosi ancor di più le ire della Russia. Non chiedetevi più perché Mosca ci stia scaricando, le motivazioni cominciano ad essere troppe e troppo evidenti.
Ps. Se tutto va secondo i piani vedremo a breve le milizie marciare dentro Slaviansk. Sarà una vittoria simbolica che segnalerà però il ribaltamento delle sorti della guerra. Di lì in poi nulla fermerà i guerriglieri novorussi. Almeno ce lo auguriamo sinceramente.