La strategia geopolitica americana (il Mar Caspio)
di redazionale – 1310312007
L’ 11 Settembre 2001deve necessariamente essere considerato come una data di fondamentale importanza per la storia recente, se non altro perché è proprio a partire dagli accadimenti verificatisi nel “settembre nero” americano che si viene “legittimando” l’’intensificazione della strategia del governo USA contro i cosiddetti Rogue States. Per questa ragione si può considerare tale data fatidica come un vero e proprio spartiacque – non certamente per la spettacolarità mediatica dell’accaduto o per i 6000 morti seguiti allo schianto e al successivo crollo delle Twin Towers (se si vuole sono solo un’ennesima “statistica” e nemmeno così prorompente se paragonata ai milioni di morti provocati dalle ultime guerre statunitensi) – poiché è da quel preciso momento che il “terrorismo” si materializza con tutta la sua carica nel cuore dell’impero, diviene “cosa pulsante” che dissolve, nella testa degli americani, la mera evenemenzialità mediatica con la quale avevano sin qui percepito la guerra e la morte portata nelle “case” altrui (a distanza di migliaia di miglia da casa propria). Per milioni di americani, i quali fino a quel momento si erano limitati ad aderire passivamente ad una propaganda un po’ “esotica” condotta dai vari presidenti americani (dal Bush padre passando per Clinton fino al Bush figlio), la guerra ha smesso di essere una sequenza da film o da telegiornale stile Fox News ed ha riportato alla mente episodi del passato (come Pearl Harbor) ancora ben conficcati nella memoria storica di questo popolo che ha imposto agli altri molte sventure ma che ne ha subite davvero poche. Senza un episodio di tal fatta (lasciando perdere le dietrologie sul coinvolgimento di apparati governativi Usa o della stessa CIA, ovviamente da non escludere) sarebbe stato difficile far digerire al popolo americano il sacrificio (anche economico) derivante dalla conduzione di una strategia di “guerra perpetua” in ogni parte del globo. Insomma, è a partire dall’ 11 Settembre che il governo Usa ha potuto agire con le mani libere senza dover più fornire tante giustificazioni circa il suo operato. Anzi, persino le menzogne più palesi possono scorrere, da quel punto in poi, senza incontrare resistenza alcuna ed anche quando si rivelano per quello che realmente sono, e cioè spudorate bugie (come le armi di distruzione di massa in Irak o il coinvolgimento diretto dei Taleban nell’attacco alle Torri gemelle) sono immediatamente sostituite dalle madre di tutte le “ragioni” (ragioni solo per gli Usa e i suoi alleati, s’intende), ovvero quelle dipanantesi dalla difesa ad oltranza del “west way of life” contro il regno del terrore islamico. Saddam Hussein non ha le armi di distruzione di massa? Poco male perché in quanto mussulmano non poteva che essere in combutta con Al Quaida e quindi il regime era necessariamente un potenziale nemico dell’occidente (poi non stiamo a qui a puntualizzare sul fatto che Hussein era sunnita ed abbastanza laico da rappresentare un argine vero contro l’integralismo religioso islamico). Gli Afgani non c’entravano nulla con le Torri Gemelle? Pazienza, essendo talebani avrebbero potuto benissimo compiere quel gesto e poi davano protezione al principe del male Usama Bin Laden. Così la guerra preventiva trova a posteriori le sue giustificazioni passando attraverso diverse menzogne graduali, dalla guerra al terrore internazionale sino alla barbarie dei costumi derivante dall’applicazione della legge islamica che impone ai difensori della civilità
l’impiantamento, a suon di bombe, della democrazia di tipo occidentale per far risorgere questi popoli come civiltà superiori (il cui grado di civiltà è inversamente proporzionale al grado di sottomissione al paese predominante, più si civilizzano più sono schiavi). Quest’ultima idiozia, tra le tante baggianate raccontate dagli americani, è davvero la più insopportabile. Intanto, di guerra in guerra, gli Usa si sono costruiti degli avamposti privilegiati in tutte le aree strategiche dell’orbe terraqueo, sia per il controllo delle materie prime sia (soprattutto direi) per tenere sotto stretta sorveglianza alcune potenze risvegliatesi dal loro lungo sonno post guerra fredda. Insomma, appare vieppiù chiaro il disegno geostrategico americano – dietro la coltre ideologica dell’esportazione della democrazia (la migliore forma della dittatura “borghese”) e della guerra al terrorismo – che ha come obiettivo l’allargamento della propria sfera d’influenza e la collocazione delle proprie guarnigioni nelle aree più critiche dello scacchiere mondiale.
C’è da dire che questo disegno Usa viene da lontano, cioè dai primi anni ’90 e dal governo di Bush padre, il quale ha subito intensificato la propria presenza in diverse zone del mondo con un’attenzione particolare per l’Eurasia e per il bacino strategico del Mar Caspio, individuando quest’ultima zona come una delle più importanti per i futuri assetti mondiali. Questa regione è determinante dal punto di vista delle risorse energetiche (ma non solo), quali petrolio e gas. E’ facile anche intuire che per gli Usa era vitale controllare l’intera fascia caspica per ragioni che non sono solo di approvvigionamento energetico. Il governo americano voleva impedire che, nella prospettiva di una futura riorganizzazione politico-militare ed economica, la Russia (l’unica potenza dell’area con un consistente potenziale militare) potesse avere ad un tiro di schioppo imponenti risorse naturali e per di più in un’area così delicata dove s’ingrossano gli appetiti indipendentisti delle “canaglie” mediorientali. In secondo luogo si temevano, altresì, eventuali accordi tra Russia e Iran, sia per lo sfruttamento comune di tali giacimenti energetici (la linfa per l’approntamento delle strategie geopolitiche) sia perchè il Mar Caspio è in comunicazione diretta con il Mar Bianco, il Mar Nero e il Mar Baltico e, attraverso una fitta rete di canali e vie d’acqua interne, questo mare costituisce una porta verso l’Europa settentrionale (dove si stagliano i campi petroliferi di Baku, sulla penisola di Apseron). Gli altri paesi che si affacciano sul Mar Caspio sono le ex-Repubbliche sovietiche dell’Azerbaigian, del Kazakistan, del Turkmenistan e dellUzbekistan.
La dissoluzione dell’URSS ha consentito, proprio a partire dagli anni ’90, alle multinazionali americane (Unocal, Chevron, quest’ultima dirige il Consorzio dell’oleodotto del Caspio, ma anche Exxon e Amoco) di estrarre il gas e il petrolio a prezzi stracciati grazie alla compiacenza dei governi quisling delle Repubbliche dell’exUrss in completo disfacimento politico ed economico. A questo punto chi ha una visione strettamente economicistica penserà che il più è stato fatto al solo scopo di favorire queste imprese con grande capacità di “contrattazione” economica, le multinazionali senza scrupoli che con i loro sovrapprofitti sono capaci di corrompere i governi ed affamare, conseguentemente, interi popoli (cosa che è incontestabile del resto). Noi, invece, siamo un po’ meno economicistici e vogliamo capire come l’agire politico e l’agire economico (sfere diverse dove si muovono differenti “soggetti” dominanti ma tra loro strettamente intrecciati (G. La Grassa, “DUE RISPOSTE, UN CHIARIMENTO, UNA DELIMITAZIONE DI CAMPO”, www.ripensaremarx.it)) s’intersechino fino a garantire la predominanza (e la forza di penetrazione geostrategica) di un paese (e di una
formazione sociale particolare) contro altri segmenti dominanti (paesi portatori di altrettante formazioni sociali peculiari ). Di fatti, per poter agire indisturbate, le suddette multinazionali hanno necessitato dello stabilimento di relazioni politiche privilegiate tra il governo americano e i governi (assai deboli e poco recalcitranti) di queste ex colonie societiche. Adesso non vorremmo perdere tempo a chiederci se è nato prima l’uovo o la gallina, l’unico fatto certo è che politica ed economia (gli agenti politici e quelli economici americani) si sono mossi nell’alveo di una strategia comune (il che non significa affatto che gli agenti dominanti della sfera politica e di quella economica del paese predominante siano arrivati concordemente all’elaborazione di quella strategia, quest’ultima è sempre il precipitato di conflitti aspri tra fazioni di decisori nell’ambito di un contesto di promiscuità territoriale che il più delle volte coincide con la nazione) per estendere la propria influenza su un altro paese e su un altro segmento di classe (sub)dominante. Probabilmente, non viene prima né l’uovo né la gallina, ma i dominanti della sfera economica (produttiva e finanziaria) non possono occuparsi anche dei rapporti più strettamente politici per cui è ovvio che spetta (non su mera committenza) agli agenti della sfera politica (ed ideologica) agitare il bastone e/o la carota contro le “classi” decisorie degli altri paesi. Ne consegue che la visuale migliore nell’azione geostrategica, nel movimento tellurico tra segmenti (in orizzontale)di classi dominanti, è prerogativa peculiare degli agenti della sfera politica. Agli agenti economici spetta reperire quante più risorse possibili per “pagare” (in cambio d un lauto tornaconto) la realizzazione di tali progetti strategici.
Ma torniamo ai rapporti tra il governo Usa e i governi delle province ex-sovietiche. Durante la presidenza Clinton si sono stati stretti molti accordi militari con questi regimi (senza che ci si preoccupasse troppo della forma di governo, democratica o meno, di questi paesi). Dopo l’ 11 settembre, e con il rifiuto opposto dall’Arabia Saudita agli Usa circa l’utilizzazione delle basi dislocate sul suo territorio al fine di attaccare l’Afghanistan, l’amministrazione Bush si è prodigata per accelerare il processo di “enclavizzazione” di paesi come l’Uzbekistan, il Tagikistan e per impiantare qui nuove basi militari sotto il comando USA.
Nel 2002 le manovre statunitensi si sono concentrate sull’Azerbaigian (dove sono presenti riserve pari a circa 20 milioni di barili di petrolio). Il segretario Usa, Mira Ricardel, ha offerto il proprio aiuto al governo azerbaigiano per rinforzarne la capacità navale e proteggere così la sua zona di pertinenza territoriale ed economica. Ma proteggere da chi? Ci sono solo due potenze nell’area tanto “pericolose” per l’indipendenza azerbaigiana e queste sono Russia e Iran. Appare palese, allora, che gli americani abbiano voluto alzare “scudi” militari di protezione per arginare le mire dell’Iran, ma, soprattutto, della Russia putiniana finalmente rinata al suo ruolo di grande potenza orientata all’egemonia sull’Eurasia. L’Europa che ha fatto contro questa ingerenza militare statunitense nei confronti dell’Azerbaigian? Naturalmente si è schierata al fianco del padrone americano e della Nato.
Gli Usa, padroni di questa fase monocentrica, stanno penetrando nell’Eurasia senza trovare alcuna resistenza (eccettuando quella opposta dalla Russia), con l’imprimatur di un’Europa completamente inerte e senza nessuna prospettiva politica di lungo respiro. Il problema più grosso per il nostro continente è rappresentato proprio dalle ex-repubbliche sovietiche che dal socialismo pianificatore sono passate al liberismo più sfrenato sotto il diretto controllo economico (e l’appoggio militare) di Washington. Gli americani si
servono di questi paesi per i propri piani espansionistici, sia in termini di appoggio logistico sia in termini di vero e proprio aiuto militare. Il 6 febbraio 2003 la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca firmarono un documento di appoggio incondizionato, nell’ambito del Club degli Otto (Spagna, Italia, Portogallo, Regno Unito e Danimarca) agli Usa. Una settimana più tardi vi si accodarono Romania, Slovacchia, Lituania, Estonia, Bulgaria e Lettonia. Quando il 20 marzo del 2003 scoppiava la guerra contro l’Irak gli Usa avevano già a disposizione una coalizione di appoggio a tale iniziativa di aggressione. E l’Europa? Sempre più accodata e senza alcuna presa di posizione autonoma. Sembra che l’entrata delle ex repubbliche sovietiche nell’Ue non abbia fatto altro che peggiorare la nostra situazione di sudditanza. La Bulgaria (nuovo membro dell’UE) si offrì di accogliere i soldati americani quando questi lasciarono le loro postazioni in Germania. Quando anche la Turchia si rifiutò di concedere le proprie basi per attaccare l’Irak, fu in Bulgaria che gli americani concentrarono le loro truppe per sferrare l’attacco contro il regime di Hussein. La Romania, invece, siglò un accordo separato con gli Usa garantendo l’immunità ai soldati americani che si fossero trovati sul suo suolo. Gli sgherri statunitensi possono ora rifugiarsi in questo paese per evitare di essere giudicati da qualsivoglia corte penale internazionale. Stiamo parlando di un paese che fa parte dell’Unione Europea e che solo per questo avrebbe dovuto essere sbattuto fuori a calci nel culo (l’accordo parla di immunità contro qualsiasi atrocità che i soldati Usa possano commettere: il genocidio, l’aggressione, i crimini contro l’umanità ecc.). Tutti questi atti di gravissima ingerenza impediscono all’ Europa di avere un’autonoma progettualità politica, economica e militare. Gli Usa ci controllano dietro la porta di casa e i nostri governanti non alzano un dito contro tutti questi affronti alla sovranità dei popoli europei. E’ come se ci avessero messo un cane da guardia in casa, addestrato a sorvegliare non per nostro conto ma contro i nostri liberi movimenti nello spazio che ci appartiene. Quante altre umiliazioni dovranno ancora subire i popoli d’Europa a causa delle proprie meschine classi dirigenti?