LA TOSATURA. Ma le pecore non stavano sui Monti? (di Jacopo Berlendis)
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Un amministratore delegato di Intesa-San Paolo e super manager in CIR, un presidente del Comitato Militare della NATO, un membro del CDA di Telecom, un ex ambasciatore in Israele e ora negli USA, un ex consigliere della Banca Mondiale e membri di organizzazioni ecclesiali, il tutto coordinato da un advisor di Goldman Sachs, nonché presidente europeo della Commissione Trilaterale e membro del gruppo Bilderberg. Ecco il nuovo governo, insediatosi nell’euforia generale, per la soddisfazione di tutti, o quasi.
Obama è senz’altro il più soddisfatto. Il capo della servitù, divenuto tale dopo decenni di onorato servizio (si ricordi il celebre viaggio di Napolitano a Washington del 1978), ha fatto un ottimo lavoro con i sottoposti. Il cameriere di Arcore ha apparecchiato la tavola, mentre gli chef internazionali, o meglio ancora, europei, Draghi e Monti, hanno preparato succulente ricette (economiche) per il padrone, che, insieme al suo fido pastore tedesco, farà dei nostri settori strategici tanti prelibati Bocconi. Che io sappia, niente panfili questa volta. Poco male, quando si papperanno il porto di Genova come hanno fatto con il Pireo avranno tutto lo spazio per ogni festicciola che vorranno.
Cameron e la Merkel sono soddisfatti. Certo, la cancelliera avrebbe volentieri piazzato all’Economia un bel Giuliano Amato (che oggigiorno è senior advisor della Deutsche Bank), tuttavia si dovrà accontentare del solito uomo Goldman Sachs (il padrone non comanda certo per caso). Entrambi chiedono riforme: non ci vuole Nostradamus per capire dove vogliono andare a parare.
Sarkozy è soddisfatto: con il nuovo governo, parimenti ai suoi due colleghi anglo-tedeschi, i suoi referenti potranno papparsi altri pezzi delle nostre industrie. Oppure, si trova a dover benedire Monti perché sta facendo un lavoro simile a quello fatto da Berlusconi qui da noi e sa benissimo che il prossimo a lasciare la poltrona a qualche tirapiedi di Obama sarà proprio lui. – Insieme ce la faremo – dice rivolgendosi all’Italia. Se l’obiettivo è diventare un territorio semi- coloniale, allora sì, ce la faremo senz’altro.
Bersani e Cicchitto sono soddisfatti, ma ovviamente non pensano lontanamente a mettere piede nel governo, così come Casini e Di Pietro: partecipando direttamente alle manovre di smantellamento dello stato e tosatura dei soliti “pecoroni”, gli elettori nel 2013 potrebbero non essere troppo contenti di votarli. Si limiteranno ad un appoggio “passivo” ma compatto in parlamento. Perché siamo tutti d’accordo sul fatto che il poppolo abbia la memoria corta, ma quando il portafoglio si alleggerisce come non mai non ci sono santi che tengono, meglio defilarsi. Questo fatto, da solo, lascia presagire la portata di ciò a cui stiamo andando incontro.
Anche Bossi è soddisfatto: sapendo che il governo ha già un larghissimo appoggio parlamentare e la sua defezione non pregiudicherà in ogni caso la tenuta del governo stesso, può giocare a fare l’opposizione e riempire il vuoto di rappresentanza lasciato dal blocco PDL, diventando il (temporaneo) riferimento delle piccole e medie imprese e di quel ceto produttivo che Monti e i suoi sgherri si apprestano a smontare per bene. Troppo pericoloso sarebbe lasciare il motore del paese senza una rappresentanza, anche fasulla e provvisoria: dopo il 1994 e l’accidente storico berlusconiano devono aver imparato la lezione. In ogni caso, dovesse esserci bisogno dei voti nordisti per la più disparata ragione, i nostri Prodi legaioli (non nel senso di coraggiosi, ma nel senso di Romano; sì sì, proprio lui, quello che succederà a Napolitano) non si tireranno indietro: da una prima posizione di lotta senza quartiere al governo tecnocratico sono già passati ad un più mansueto “valuteremo caso per caso”.
Allo stesso modo anche la Camusso è soddisfatta: facendo un po’ di sano ed effimero can can contro le riforme che verranno (qualche dichiarazione roboante condita da qualche scioperetto) salvo poi scattare sull’attenti e penna in mano, potrà continuare a far finta che la CGIL sia un sindacato, almeno per quei beoni che ancora ci credono (con la vecchia ma efficace strategia di defilarsi apparentemente da CISL e UIL, le quali non hanno neppure provato a dissimulare propria la vena collaborativa verso il governo). Soprattutto, la CGIL potrà rafforzare il ruolo di “bacino di contenimento” di una parte consistente del lavoro dipendente, incanalandone il consenso e, così facendo, neutralizzandolo. Non che i nostri amici atlantisti siano intimoriti da quel ceto medio semicolto (come lo definisce La Grassa) che affolla le manifestazioni di piazza che si usa chiamare “pop(p)olo della sinistra”, ma si sa, meglio non correre il rischio di qualche instabilità.
Bagnasco e Bertone saranno soddisfatti. Si sa che la CEI e la Segreteria di Stato vaticana sono ben lungi da costituire un blocco monolitico, ma quando si tratta di fiancheggiare il futuro vincitore tutta la Chiesa si muove all’unisono. Risulta ora chiara la funzione degli attacchi di Bagnasco al governo risalenti a qualche mese fa. Altro che “nuova DC”, o “I vescovi fanno un partito” (vero Sallusti?): stavano preparandosi ad assumere un ruolo rilevante nella cordata dei “badogliani”. Tra banche e assicurazioni, uomini UE e NATO, loro un posto lo trovano sempre. Oltre a svolgere una chiara funzione legittimante a favore del neo-governo, naturalmente la Santa Chiesa non vuole mancare alla svendita dello Stato. Inoltre per i simpatici prevosti e le loro organizzazioni si prospetta un periodo di prosperità: i tremendi tagli ai servizi, combinati al marcato impoverimento a cui stiamo andando incontro, lasceranno loro spazi d’azione ancor più immensi di quelli odierni, specialmente nel settore dell’assistenza sociale. Per qualsiasi cosa, giù il cappello di fronte a Sua Eminenza, ed egli ci darà una mano.
Zagrebelsky, Bocca e compagnia cantante sono soddisfatti. Strano, quando Berlusconi attaccava la costituzione tutti a levare gli scudi e a parlare di fascismo; quando invece è il compagno Napolitano detto “il migliorista” (e qui Amendola, pur con tutti i suoi limiti, si rivolta nella tomba) a stravolgere in maniera ben più grave la prassi (dimissionando il governo, imponendo di fatto il nuovo premier prima ancora di verificare l’esistenza di una maggioranza), ovviamente nessuno fiata.
Sartori non è del tutto soddisfatto, ma credo lo sarà presto. Certamente avrebbe preferito essere lui il Ministro delle Riforme, cosicché avrebbe potuto finalmente cambiare a suo piacimento la legge elettorale, dando all’Italia la tanto agognata governabilità. Ma sono certo che i principii sartoriani ispireranno il legislatore e, dopo il Mattarellum e il Porcellum, avremo finalmente il Sartorium, una legge elettorale chiara e semplice, composta da due soli articoli:
Art. 1. A tutte le liste o coalizioni in cui sia presente un candidato il cui cognome cominci per “B” e finisca per “erlusconi”, verrà assegnato automaticamente lo 0% dei seggi, qualsiasi sia il responso elettorale.
Art. 2. Alla lista o coalizione che ottenga la maggioranza relativa dei voti, verrà assegnato il 95% dei seggi, sia per la Camera che per il Senato, eccezion fatta per il caso previsto dall’articolo 1. Il restante 5% non sarà assegnato, così si starà meno stretti.
Se non è stata approvata subito è perché il governo è ancora troppo acerbo.
Anche la maggioranza del poppolo è soddisfatta. Almeno finché non si troverà con una pressione fiscale altissima, tasso di crescita del PIL in negativo, servizi dismessi, reddito ridotto, pensione a 70 anni con due spiccioli, senza parlare dei licenziamenti diretti di dipendenti statali in salsa greca, naturalmente diretti univocamente verso la base, senza intaccare minimamente il mastodontico impianto dirigenziale, se non per sistemare qua e là qualche figura poco gradita. Non cito nemmeno la svendita di Eni e Finmeccanica poiché vale il solito discorso: se non si tocca il portafoglio in maniera diretta allora non importa a nessuno. Già mi immagino certi geni identificare le nostre due aziende di punta come il fulcro degli sprechi, delle clientele di tutta l’italica penisola. Altri saranno felici perché… “diciamo no al petrolio e alle armi!” Altri ancora non saranno felici, ma diranno che, in fondo, è stata colpa di Berlusconi.
Io invece non sono soddisfatto, e non lo sarò nemmeno dopo che, del tutto o in parte, i fatti ci avranno dato ragione. Siamo in una di quelle situazioni in cui non c’è molto da rallegrarsi nell’averci azzeccato. Soprattutto se alla lunga il risultato sarà una reazione di stampo populistico-nazionalista. Intanto, nell’immediato, prepariamoci al prossimo inverno, perché senza la lana potrebbe essere molto freddo.