La transizione siriana
La transizione siriana
Solo uno sciocco propagandista può chiamare rivoluzione quella che a tutti gli effetti è una transizione concordata a tavolino. E’ quanto accaduto in Siria dove i cosiddetti ribelli non hanno incontrato nessuna resistenza da parte dell’esercito regolare e sono arrivati quasi indisturbati a prendere la Capitale e i centri nevralgici del potere. Ciò significa che una parte del vecchio regime, alcuni suoi settori in particolare, ha collaborato alla cacciata di Assad che è stata in realtà una “partenza organizzata”. Prima ancora di questi accordi segreti tra cosiddetti ribelli e apparati dello Stato siriano, sono state le varie potenze alleate e nemiche della Siria ad aver stabilito i termini del ‘regime change’ per interessi diversi e calcoli propri. Degli eroi si innamorano solo i romantici o i superficiali mentre la storia non tiene conto dei singoli uomini. Probabilmente i rapporti di forza si erano sbilanciati in maniera tale che altro destino non poteva essere riservato ad Assad, il quale però non ha fatto né la fine di Saddam Hussein e nemmeno quella di Gheddafi, il che dimostra il ruolo avuto dalla Russia e dall’Iran nell’evoluzione degli avvenimenti e quello che continueranno ad avere anche nei prossimi sviluppi. Queste ultime non hanno potuto salvare il presidente siriano, alla guida del Paese da oltre vent’anni, ma hanno scongiurato una fine ancora più ingloriosa e feroce. La Russia in ciò dimostra ancora una volta di essere più affidabile degli Americani, adusi a dimenticarsi dei propri amici, soprattutto nel momento del bisogno. Tenendo peraltro conto di una guerra civile sanguinosa che va avanti da più un decennio e che non finirà oggi perché sono arrivati al potere i tagliagole moderati, come vengono vergognosamente definiti gli insorti dai giornali occidentali. Qualcosa cambierà sicuramente ma non nel senso che credono i servi della stampa nostrana e quei tifosi invasati e prezzolati che qualcuno si ostina a chiamare esperti di geopolitica.
Forse, Russia e Iran avrebbero anche fatto a meno di questo epilogo ma considerate le circostanze hanno pensato a guardare avanti per non dissanguarsi oltremodo in una missione ormai senza approdi e senza obiettivi raggiungibili. I media occidentali presentano quanto accaduto come una sconfitta di Putin e dell’Iran, ormai destinato alla stessa fine, ma è solo una lettura ideologica dei fatti. Così come ideologico è credere che tutto dipenda solo dal “dittatore” di turno. Il presunto “dittatore” è sempre un organo collegiale, il terminale di un sistema di potere che non detiene il potere per sé stesso ma per chi rappresenta. Per questo diventa sacrificabile se mutano le circostanze e gli assetti che lo sostengono.
Ora bisogna capire dai risvolti cosa è realmente accaduto ma non per questo, anche se si presentasse come una battuta d’arresto, la storia tornerà indietro. Stiamo vivendo una fase di transizione verso il multipolarismo che non dipende né dalle sorti della Siria e nemmeno da quelle dell’Ucraina. Bisogna allargare lo sguardo e non farsi prendere dai palpiti del cuore.