L’Anti-Marx
L’Anti-Marx
Giancristiano Desiderio ha scritto un libro con tale titolo esageratamente ambizioso per le doti di un giornalista e insegnate, pubblicato recentemente da RuBettino. Ci vuole una certa incoscienza ed una sconfinata arditezza per spingersi là dove non si può.
L’autore del testo è un propagandista liberale che nulla sa di Marx e nulla di economia in generale. Infatti , fa un bel minestrone in cui mescola triste scienza e filosofia dimostrando soltanto un dilettantismo senza pari. In un video con La Grassa abbiamo già evidenziato la grossolanità di Desiderio che tenta di dare ragione a Dühring contro Marx con argomenti da trattoria che, peraltro, si ritorcono contro le sue stesse intenzioni di voler affermare la superiorità liberale su ogni altra teoria. Chi ha pazienza lo guardi e si faccia un’idea.
Leggete cosa scrive Desiderio nel suo saggio:
“in Marx il lavoro, ricoperto da un velo ideologico e metafisico, diventa l’architrave del suo hegelismo riassunto da questa misteriosa frase: «Il valore dei beni prodotti dal lavoro è uguale alla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrli». Che cosa significa? Il mistero della Santissima Trinità, al cospetto, è più chiaro.”
Desiderio nella sua foga di demolire Marx non si è reso conto che il pensatore tedesco ha mutuato detto concetto dal padre dell’economia classica, David Ricardo, il quale a sua volta scriveva:
“Il valore di una merce [quindi anche del lavoro che nel capitalismo è merce, nota mia], cioè la quantità di qualsiasi altra merce con cui si può scambiare, dipende dalla quantità relativa di lavoro necessario a produrla e non dal maggiore o minore compenso corrisposto per questo lavoro”.
È la teoria del valore(lavoro) che non ha nulla di metafisico o così astruso per una mente di media intelligenza , tanto che sarà sempre Marx ad affermare: “Già nel 1871, il signor N. I. Sieber (Ziber), professore di economia politica alla università di Kiev, nel suo scritto Teorija cennosti i kapitala D. Rikardo (La teoria del valore e del capitale di D. Ricardo) aveva dimostrato che la mia teoria del valore, del denaro e del capitale è, nelle grandi linee, il necessario sviluppo della dottrina di Smith e Ricardo. Ciò che, nel leggere questo denso volume, stupisce l’europeo occidentale, è che si attenga con coerenza al punto di vista rigorosamente teorico. Il metodo usato nel Capitale è stato poco compreso, a giudicare dalle interpretazioni contrastanti che se ne sono date. Così la ce Revue Positiviste» mi rimprovera, da una parte, di trattare l’economia in modo metafisico, dall’altra — immaginate un “po’ — di limitarmi a un’analisi puramente critica dei fatti, invece di prescrivere ricette (comtiane?) per la trattoria dell’avvenire. Contro l’accusa di metafisica, il prof. Sieber osserva: «Per quanto riguarda la teoria in senso stretto, il metodo di Marx è il metodo deduttivo dell’intera scuola inglese, i cui difetti e i cui pregi sono comuni ai migliori teorici dell’economia».
Dunque Marx dà a Ricardo il merito di aver riconosciuto il fondamento dell’economia borghese nella :”determinazione del valore mediante il tempo di lavoro”.
Tuttavia Marx pur partendo da questa scoperta teorica riesce ad andare oltre grazie ad una maggiore precisione scientifica. Gli economisti “classici” (Smith e Ricardo, soprattutto), avevano elaborato la teoria del valore lavoro. In essa si considera il valore dei beni prodotti in base al tempo di lavoro occorso nel produrli e il prezzo effettivo, in base all’andamento della domanda e dell’offerta, oscillante attorno al valore. Marx riprende questa teoria ma la rielabora in funzione di alcuni concetti determinanti, “sfuggiti” ai grandi economisti citati. In Marx vi è distinzione tra lavoro quale la fonte del valore e forza lavoro che ha essa stessa un valore/lavoro, “una merce che può erogare unità di lavoro (il pluslavoro) oltre a quelle corrispondenti al proprio costo di riproduzione (Macchioro).”
Questa specificazione gli permetterà di elaborare la teoria del plusvalore, forma astratta del pluslavoro che realizza un plusprodotto, tratto distintivo del solo genere umano, l’unico animale ad avere una storia. Sono le forme di creazione e appropriazione di questo plusprodotto a creare la (sua) Storia. Tanto i classici che Marx ragionano su questa “storia” che una volta compiutasi si perpetua, evolvendosi, sulla testa dei singoli individui, i quali sono presi dentro rapporti economici che per Marx sono soprattutto sociali. I neoclassici, invece, abbandonano questo approccio sociale oggettivo per far discendere la stessa “socialità economica” da elementi psicologici soggettivi che essi hanno la presunzione di chiamare scelte razionali dei singoli.
Detto ciò mi chiedo come sia stato possibile arrivare ad un tale livello di incompetenza che trova così tanta facilità di pubblicazione.