LE BATTAGLIE CONTRO L’EURO SONO SEMPRE STATE UN ABBAGLIO

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L’economista antieuro Alberto Bagnai si è candidato con la Lega. Quest’ultimo partito è sempre stato euroscettico anche se, in previsione delle elezioni, ha ammorbidito la sua posizione. Prontamente, il professore, che mi è sempre sembrato alquanto tetragono sul tema, ha dichiarato qui : “Con le istituzioni europee dobbiamo comunque avere un atteggiamento di dialogo, non di scontro frontale, pur mantenendo come obiettivo prioritario quello di difendere i nostri interessi”. Bagnai ha anche aggiunto: “Non mi dispiace affatto che Berlusconi abbia dei referenti europei e che mantenga con questi buoni rapporti”. Troppa ragionevolezza superflua, all’improvviso. Del resto, sempre in un fiat, lo stesso professore, in illo tempore, transitò dalle politiche dell’offerta a quelle della domanda. Nel 1997 addebitava la disoccupazione europea alla scarsa flessibilità del mercato del lavoro, oggi il suo profilo keynesiano (o postkeynesiano) gli fa dire probabilmente l’opposto. Transeat, le contraddizioni fanno parte degli uomini ed un vecchio adagio riferisce che solo gli stupidi non cambiano mai idea. Adagio però.
La verità è che chi ha cavalcato in questi anni la battaglia contro l’euro ha alzato un inutile polverone. In buona fede? Chissà. Uscire dalla moneta unica non avrebbe dato, in ogni caso, all’Italia quelle chances di rinascita politica di cui ha urgente bisogno. Con l‘entrata del mondo nel multipolarismo ci vuole ben altro che la sovranità monetaria per affrontare le sfide geopolitiche in appressamento. Semmai l’ordine delle priorità va decisamente capovolto. La politica (di potenza) innanzi alla finanza (pubblica e privata), rafforzando la prima si governa la seconda. Come ha giustamente scritto La Grassa ieri: “Verrà presto meno la ben nota fregnaccia del predominio dei soldi, di coloro che li possiedono e li manovrano nelle varie organizzazioni finanziarie mondiali. Vinceranno anche nel “commercio”, nella “ricchezza”, i paesi che sapranno organizzare meglio proprio la conquista delle “sfere d’influenza”, conquista attuata con adeguata preparazione bellica e infine la vittoria nel confronto diretto e aspro in quest’ambito”.
C’è dell’altro. Le posizioni di Bagnai non sono solo politicamente inessenziali (e controproducenti) ma sono anche economicamente arretrate. Ecco cosa afferma al proposito: ““Mi chiedo che senso abbia andare a Roma in un supermercato francese per comperare una mela che viene dal Cile. Ha senso tutto questo? Io rispondo di no. E’ giusto per esigenze economiche, strategiche ed ecologiche che si punti ad un modello diverso, basato su filiere più corte e basi industriali diversificate fra paesi. Una protezione intelligente in quest’ottica è assolutamente necessaria. Del resto i nostri partner europei già la praticano questa protezione. Sa benissimo quanti ostacoli incontrano i capitali italiani quando tentano di acquisire un cliente francese. Dal punto di vista teorico la globalizzazione non ha fondamenta solide, dal punto di vista pratico appare evidente quanto per noi significhi beccarsi tante porte in faccia”.
Queste sono forme di protezionismo straccione. Davvero crediamo che sia utile mettersi a difendere processi produttivi scarsamente tecnologici o settori maturi dai quali ormai non si ricava alcuna proiezione strategica sui mercati internazionali? In questi campi, appartenenti ad ondate industriali precedenti, la concorrenza con i paesi meno sviluppati è un gioco al massacro e non c’è imposizione di dazi che tenga. Si possono adottare misure transitorie che avranno effetti di poco conto e per poco tempo. Queste campagne esaltano il volgo ma non servono a rilanciare l’economia nazionale che si fonda su asset di tutt’altro genere. La Grassa, recuperando alcune teorie dell’economista tedesco List, ne ha parlato in un libro che vi invito a leggere.
List, pur non mettendo in discussione le basi teoriche del libero commercio internazionale, ritenne che fosse necessaria una fase intermedia nella quale anche i paesi rimasti indietro nello sviluppo industriale, potessero avvicinarsi al grado di crescita e innovazione raggiunto dai cosiddetti first comers.
Si tratta di un aspetto imprescindibile perché, come ben individuato dall’economista tedesco, senza questo preventivo livellamento nei gradini dello sviluppo tra nazioni (di una certa area geografica che List chiama “temperata”) si corre il rischio che “le nazioni più forti usino lo strumento della ‘libertà di commercio’ per ridurre in stato di dipendenza il commercio e l’industria di quelle più deboli”. List però non pensa alle mele, alle pere o anche ai salotti come Bagnai. List si dice favorevole all’introduzione di dazi doganali sui prodotti industriali mentre rifiuta quelli sui prodotti agricoli (in quanto questi non erano determinanti in una fase in cui occorreva proteggere la propria industria nascente). “Tale autore – afferma La Grassa – può servire ad iniziare un discorso critico sul neoliberismo e sulle sue smanie globalizzatrici; ma anche sul suo contrario (antitetico-polare) che è il neokeneysismo, in definitiva piegato in senso statalista (dunque non propriamente keynesiano a mio avviso), ideologia tipica della sinistra che si ritiene radicale”. Parole profetiche. De te fabula…Bagnai.