Le dighe etiopiche sul Nilo: un caso di studio
In Globale Trends 2030:Alternatives Worlds, rapporto pubblicato dal National Intelligence Council, si indica tra i fattori principali delle tendenze globali il crescente nesso fra le risorse acqua, cibo ed energia. Un esempio da manuale è costituito dalla costruzione sul Nilo Blu, in Etiopia, della diga chiamata “Diga del Grande Rinascimento Etiope” (GERD dall’acronimo in inglese).
La diga, in costruzione dal 2011 da parte della italiana Salini Costruttori, misura 1800 m in lunghezza, 170 m in altezza, avrà 6000 Megawatt di potenza installata e si prevede entrerà in funzione nel 2017. Evidentemente l’opera preoccupa tutti i paesi che si affacciano sul Nilo e particolarmente l’Egitto che dipende dal Nilo per il 90% dei suoi approvvigionamenti d’acqua ed in particolare per l’85% dalle acque del Nilo Blu.
Il nome dato alla diga – le dighe solitamente prendono il nome dal fiume o dalla valle che sbarrano – si fa notare per la sua evocatività e per la sua esplicita volontà di mobilitare le aspirazioni nazionali dell’Etiopia, rinforzando la narrazione di un’Etiopia vittima per lungo tempo di forze esterne, segnatamente l’Egitto, che hanno impedito lo sviluppo della risorsa Nilo. Il Ministro della Comunicazione etiope Bereket Simon ha dichiarato l’anno scorso che la diga GERD è “frutto partorito dalla mente di Meles Zenadi (il Primo Ministro scomparso nell’agosto 2012, “padre della rinascita etiope” secondo l’ambasciatrice americana all’ONU Susan Rice – ndr) e noi vogliamo dimostrare fedeltà alla sua visione”.
A rinforzare l’aspetto nazionalistico dell’infrastruttura sta il fatto molto concreto che il finanziamento della diga GERD è assicurato da capitali interamente etiopi tramite emissione di obbligazioni offerte ai cittadini etiopi residenti ed esteri ed alle banche nazionali che sono state obbligate per legge a comprarle. E’ del tutto inusuale, e perciò tanto più significativo, che un progetto di tale dimensione non veda la partecipazione di investitori internazionali come la Banca Mondiale o la Banca Europea per gli Investimenti, tanto più in considerazione del fatto che l’Etiopia è lo stato che riceve la fetta maggiore degli aiuti internazionali destinati all’Africa. L’assenza di certezza e di continuità delle risorse finanziarie potrebbe evidentemente riflettersi negativamente sui tempi e sulla qualità della realizzazione.
Tutto questo è già abbastanza per preoccupare intensamente le altre nazioni rivierasche del Nilo, ma non è tutto se si rileva che il progetto idroelettrico dell’Etiopia (il Master Plan a 25 anni prevede 37.000 Megawatt di potenza installata al 2037) ha scopi commerciali dichiarati in almeno due aree: l’energia elettrica e l’agricoltura. L’Etiopia intende esportare energia elettrica negli stati dell’Africa Orientale con cui confina, per ricavarne reddito e valuta pregiata. Ci sono inoltre elementi concreti per pensare che il sistema di dighe pianificate, inclusa la GERD, abbiano lo scopo di assicurare la fattibilità dell’intenso piano di cessione-in-uso di terre fertili ed inutilizzate ad aziende e Stati stranieri interessati ad affittarle per soddisfare le forniture di cibo per le loro popolazioni.
La commercializzazione delle terre non è solo un affare interno ma anche una questione delicata per l’Egitto e le altre nazioni rivierasche del Nilo. E’ evidente che l’acquisizione di terre rese fertili dalle acque del Nilo da parte di governi stranieri e multinazionali dell’agro-business, minaccia l’accesso alle acque del Nilo da parte dell’Egitto. Se queste acquisizioni sono spesso indicate come acquisizioni di terre, esse in realtà sono anche acquisizioni di acque.
Ovviamente l’Etiopia, come tutte le nazioni sovrane, ha il diritto di sviluppare le sue risorse naturali per il benessere dei suoi cittadini. Ma questo diritto è soggetto ai limiti indicati dalle leggi internazionali quando potrebbe causare danni ambientali e sociali al di là dei confini etiopi, in Stati che condividono la medesima via d’acqua. L’equilibrio fra diritto e responsabilità è inoltre ulteriormente complicato dalla presenza di contratti commerciali che coinvolgono terze parti (Stati o aziende) per la commercializzazione di terreni, un’attività distinta dallo sviluppo.
In una situazione in cui l’accesso a risorse essenziali come acqua, cibo ed energia, diventa vitale per lo sviluppo delle nazioni, ed in particolare per due nazioni ancora al di qua del livello delle “emergenti” come Egitto e Etiopia, è facile immaginare come possano trovare spazio le “strategie del caos” della potenza egemone, gli USA, ancora una volta camuffandosi dietro questioni ambientali e ideologiche.
Una questione ulteriore, forse non tra le più urgenti, che i generali egiziani si troveranno ad affrontare se proseguiranno nel contenzioso con Obama.