Le facce della democrazia nella fase multipolare di Luigi Longo
Mi fa male qualsiasi tipo di potere, quello conosciuto, ma anche quello sconosciuto, sotterraneo, che poi è il vero potere. Mi fanno male le oscillazioni e i rovesci misteriosi dell’alta finanza. Più che male mi fanno paura, perché mi sento nel buio, non vedo le facce. Nessuno ne parla, nessuno sa niente: sono gli intoccabili. Facce misteriose che tirano le fila di un meccanismo invisibile, talmente al di sopra di noi da farci sentire legittimamente esclusi. È lì, in chissà quali magici e ovattati saloni che a voce bassa e con modi raffinati si decidono le sorti del nostro mondo: dalle guerre di liberazione, ai grandi monopoli, dalle crisi economiche, alle cadute dei muri, ai massacri più efferati.
Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale.
Mi fa male la democrazia, questa democrazia che è l’unica che io conosco.
Mi fa male la prima repubblica, la seconda, la terza, la quarta.
Mi fanno male i partiti, più che altro… tutti.
Mi fanno male i politici, sempre più viscidi, sempre più brutti. Mi fanno male i loro modi accomodanti, imbecilli, ruffiani. E come sono vicini a noi elettori, come ci ringraziano, come ci amano. Ma sì, io vorrei anche dei bacini, dei morsi sul collo… per capire bene che lo sto prendendo nel culo. Tutti, tutti, l’abbiamo sempre preso nel culo… da quelli di prima, da quelli di ora, da tutti quelli che fanno il mestiere della politica.
Che ogni giorno sono lì a farsi vedere. Ma certo, hanno bisogno di noi che li dobbiamo appoggiare, preferire, li dobbiamo votare, in questo ignobile carosello, in questo grande e libero mercato delle facce… facce, facce, facce che lasciano intendere di sapere tutto e non dicono niente.
Facce che non sanno niente e dicono… di tutto!
Facce suadenti e cordiali, col sorriso di plastica.
Facce esperte e competenti che crollano al primo congiuntivo.
Facce compiaciute, vanitose, che si auto incensano come vecchie baldracche.
Facce da galera, che non sopportano la galera e si danno malati.
Facce che dietro le belle frasi hanno un passato vergognoso da nascondere.
Facce da bar che ti aggrediscono con un delirio di sputi e di idiozie.
Facce megalomani, da ducetti dilettanti.
Facce ciniche da scuola di partito, allenate ai sotterfugi e ai colpi bassi.
Facce che hanno sempre la risposta pronta e non trovi mai il tempo di mandarle a fare in culo!
Facce che straboccano solidarietà.
Facce da mafiosi, che combattono la mafia.
Facce da servi intellettuali, da servi gallonati, facce da servi e basta.
Facce scolpite nella pietra che con grande autorevolezza sparano cazzate!
Non c’è neanche una faccia, neanche una che abbia dentro il segno di qualsiasi ideale. Una faccia che ricordi il coraggio, il rigore, l’esilio, la galera. No, c’è solo l’egoismo incontrollato, la smania di affermarsi, il potere, il denaro, l’avidità più schifosa, dentro a queste facce impotenti e assetate di potere.
Facce che ogni giorno assaltano la mia faccia in balia di tutti questi nessuno.
E voi credete ancora che contino le idee? Ma quali idee…
La cosa che mi fa più male è vedere le nostre facce con dentro le ferite di tutte le battaglie che non abbiamo fatto.
E mi fa ancora più male vedere le facce dei nostri figli con la stanchezza anticipata di ciò che non troveranno.
Sì, abbiamo lasciato in eredità forse un normale benessere, ma non abbiamo potuto lasciare quello che abbiamo dimenticato di combattere e quello che abbiamo dimenticato di sognare.
Bisogna assolutamente trovare il coraggio di abbandonare i nostri meschini egoismi e cercare un nuovo slancio collettivo magari scaturito proprio dalle cose che ci fanno male, dai disagi quotidiani, dalle insofferenze comuni, dal nostro rifiuto! Perché un uomo solo che grida il suo no, è un pazzo. Milioni di uomini che gridano lo stesso no, avrebbero la possibilità di cambiare veramente il mondo.
Giorgio Gaber*
Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri […]
Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi.
Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale[ ?, mio interrogativo], può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi.
Karl Marx*
1.Premessa
Stiamo entrando con sempre maggiore decisione nella fase multipolare che delinea con più chiarezza le potenze (Russia e Cina) che mettono in discussione l’attuale egemonia mondiale degli USA. Si confrontano configurazioni di poli di potenze con visioni, culture e strategie diverse nell’intendere le relazioni mondiali. Ricordo che sto parlando di potenze mondiali come espressione di capitalismi diversi e di agenti strategici dominanti con una loro visione di potere e di dominio, sia nazionale sia mondiale, storicamente dati. Non parlo di nazioni e di relazioni tra nazioni come espressione di soggetti portatori di un’altra visione di relazioni sociali e di rapporti sociali che si confrontano in una logica multilaterale e multiculturale ( i termini vogliono semplicemente indicare un confronto tra mondi e culture diversi): in questo tempo e in questo spazio storico, i soggetti portatori non esistono; forse storicamente essi non sono mai esistiti né nella polis democratica di Atene né nei populares dell’antica Roma, né nella Comune di Parigi del 1871 né nella rivoluzione russa del Novembre 1917.
Comunque va sottolineato che la Russia e la Cina sono per un mondo multilaterale, per un mondo relazionale mentre gli USA sono per un mondo unilaterale e sono ferocemente determinati ( la loro strategia del caos mondiale lo sta a dimostrare: oggi, in particolare, in Siria, in Libia, in Turchia ) a contrastare l’inizio del loro declino egemonico e a rilanciare una nuova sfida con una nuova visione delle relazioni mondiali che abbia come centro di coordinamento gli USA; così Zbigniew Brzezinski: << Come la sua epoca di dominio globale finisce, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale […] La prima di queste verità è che gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale […] Il fatto è che non c’è mai stata una vera e propria potenza “dominate” globale fino alla comparsa dell’America (gli Stati Uniti, mia precisazione) sulla scena mondiale. La nuova, determinante realtà globale è stata la comparsa sulla scena mondiale dell’America come giocatore allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente. Durante l’ultima parte del 20° secolo nessuna altra potenza gli si è nemmeno avvicinata. Quell’epoca sta ormai per finire ( corsivo mio) >> (1). Robert Kagan precisa che per gli USA il << […] “multilateralismo” indica una politica volta a sollecitare attivamente e ottenere l’appoggio degli alleati. Gran parte degli americani, persino coloro che si dichiarano “multilateralisti”, considera l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sempre desiderabile ma mai essenziale (“multilaterale se possibile, unilaterale se necessario”, corsivo mio). Si tratta, insomma, di un mezzo per raggiungere il fine, cioè l’appoggio degli alleati. Per la stragrande maggioranza degli americani il multilateralismo non è un fine in se stesso >> (2). Joseph Nye afferma << Il National Intelligence Council […] ha pubblicato un rapporto in cui si prevede che nel 2030 gli Stati Uniti saranno ancora il paese più potente al mondo, ma non ci saranno paesi “egemoni”. La fase unipolare è finita, e gli Stati Uniti non saranno potenti come in passato. Tuttavia, un certo declino relativo non significa la fine dell’era americana >> (3). Costanzo Preve chiarisce << Per dirla in modo chiaro, la speranza che in un futuro non troppo lontano i rapporti fra Europa ed USA possano passare dal nesso fastidioso e diseguale Unilateralismo/Subalternità al nesso virtuoso Partnership/Eguaglianza fra i Contraenti è a mio avviso privo di fondamento, perché l’Americanismo è un Progetto Messianico, mentre l’identità culturale europea di oggi, comunque la vogliamo declinare e comunque vogliamo elencarne le cosiddette “componenti storiche”, non è un progetto messianico, ma un Progetto Relazionale. E chi non capisce la differenza qualitativa fra Progetto Messianico, strutturalmente unilaterale, ed un Progetto Relazionale, strutturalmente multilaterale, non può effettivamente cogliere il bandolo della matassa ( corsivo mio) […]>> (4).
Nella fase multipolare il ruolo dello Stato con le sue articolazioni territoriali, inteso come luogo dove gli agenti strategici dominanti esercitano la propria egemonia di potere e di dominio in una situazione di equilibrio dinamico, diventa meno flessibile e agisce in una logica di accentramento dei poteri in tutte le sfere sociali, in particolare in quella politica, istituzionale e militare, mettendo mani formalmente alle Costituzioni nazionali.
Al contrario, nella fase unipolare, la presenza di un centro di coordinamento garantisce più libertà di movimento; né è un esempio la storia occidentale ad egemonia USA che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla fine del secolo scorso; altra cosa è la storia orientale dell’URSS durante la guerra fredda con le sue sfere di influenza, dove la rigidità del sistema a socialismo irrealizzato ha assunto ben altre caratteristiche di potere e di dominio ( sarebbe utile approfondire e produrre un’analisi comparata sulla costruzione storicamente data dello Stato da parte degli agenti strategici dominanti delle due potenze mondiali protagoniste dell’intero Novecento fino all’implosione dell’ex URSS avvenuta formalmente nel periodo gennaio 1990 – dicembre 1991) (5).
In questa fase multipolare in Italia si sta verificando quanto segue: << […] A Pisa, dove due anni fa è stato costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), si sono intensificati da mesi i voli dei C-130J che partono per ignote destinazioni carichi di armi e rifornimenti. Tali operazioni sono segretamente autorizzate dal presidente Renzi scavalcando il parlamento. L’articolo 7 bis della legge n. 198/2015 sulla proroga delle missioni militari all’estero conferisce al presidente del consiglio facoltà di adottare << misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi, con la cooperazione di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa >>, col solo obbligo di riferire formalmente al << Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica >>. In altre parole, il presidente del consiglio ha in mano forze speciali e servizi di intelligence da usare in operazioni segrete, con il supporto dell’intero apparato militare. Un potere personale anticostituzionale, potenzialmente pericoloso anche sul piano interno. […] il presidente del consiglio Renzi, nel quadro della strategia USA/Nato, porta l’Italia in altre guerre e a una crescente spesa militare a scapito delle esigenze vitali del paese. Spesa a cui si aggiunge quella segreta per le operazioni militari segrete da lui ordinate.>> (6).
Per quanto riguarda la riforma costituzionale, oggetto di referendum prossimo, Alessandro Pace afferma che << […] In definitiva il d.d.l Renzi privilegia la governabilità sulla rappresentatività; elimina i contro-poteri esterni alla Camera senza compensarli con contropoteri interni; riduce il potere d’iniziativa legislativa del Parlamento a vantaggio di quella del Governo; prevede almeno sette tipi diversi di votazione delle leggi ordinarie con conseguenze pregiudizievoli per la funzionalità delle Camere; nega, come già detto, l’elettività diretta del Senato ancorché gli ribadisca contraddittoriamente la spettanza della funzione legislativa e di revisione costituzionale; sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato rendendo irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune; pregiudica il corretto adempimento delle funzioni senatoriali, divenute part-time delle funzioni dei consiglieri regionali e dei sindaci.
Mi fermo qui, ma potrei continuare ancora a lungo: dall’esclusione del Senato nella deliberazione dello stato di guerra (leggi: l’invio all’estero delle missioni militari) ai difficili raccordi del Senato delle autonomie con lo Stato, con le stesse Regioni (i governatori stanno là e non a Palazzo Madama!) e infine con l’Unione europea >> (7). Questi due esempi di accentramento dei poteri in atto vanno inquadrati nella questione di servitù volontaria italiana (ed europea) alla potenza mondiale degli Stati Uniti. Se non si affronterà la questione dell’autonomia nazionale, fondante e prioritaria, non si capiranno nè il progetto di ri-costruzione di una Europa come soggetto politico, intesa come federazione di Stati, che dialoga con l’Occidente e con l’Oriente; nè l’accentramento dei poteri in atto (sia nelle istituzioni nazionali sia nelle istituzioni mondiali) al servizio delle strategie statunitensi per ritardare il loro declino e ri-lanciare su basi diverse un nuovo disegno mondiale di egemonia che può prevedere, in una prima fase, un Progetto Relazionale ( il conflitto delle elezioni presidenziali statunitensi si gioca tra il progetto messianico di Hillary Rodham Clinton e il progetto relazionale di Donald Trump. Mi auguro che vinca Donald Trump.).
Niccolò Machiavelli scrive: << E’ non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate da la fortuna e da Dio che li uomini, con la prudenza loro, non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose ma lasciarsi governare dalla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì fuora di ogni umana coniettura, a che pensando io, qualche volta mi sono in qualche parte inclinato nelle opinioni loro. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi. E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che quando si adirano allagano e’ piani, rovinano li arbori e li edifici, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all’impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare. E benchè sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessimo fare provvedimento e con ripari e con argini in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o l’impeto loro non sarebbe né sì dannoso né licenzioso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle e quivi volta e’ sua impeti dove la sa che non sono fatti gli argini né e’ ripari a tenerla. E se voi considerrete la Italia che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcun riparo, che, s’ella fussi riparata da conveniente virtù come è la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatto le variazioni grande che la ha o la non ci sarebbe venuta. E questo voglio basti aver detto quanto allo opporsi alla fortuna in universali >> (8).
- Facce della democrazia
Parlerò delle facce della democrazia nella fase multipolare attraverso due esempi.
Il primo esempio riguarda la potenza mondiale USA ad egemonia declinante con le facce dei Clinton nell’esperimento del Kosovo tratto dal libro di Diana Johnstone (Hillary Clinton, regina del caos, Zambon editore, Francoforte sul Meno, 2016, pp.146-149).
Il secondo esempio concerne l’Italia, territorio geografico espressione degli USA, con le facce del tribunale di Torino che ha condannato a due mesi di carcere con la condizionale una ex studentessa del corso di Laurea Magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica (interateneo) della Università Ca’ Foscari di Venezia per aver usato il noi partecipativo nello scrivere la tesi di laurea su << Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità >>. Il fatto è tratto dall’appello di libertà di ricerca e di pensiero << Mai scrivere “noi” >> pubblicato sul sito www.effimera.org.
Quattro precisazioni a mò di chiarezza.
La prima. Intendo le facce delle persone come espressione delle relazioni sociali ( le maschere sociali) e come funzioni che svolgono nei rapporti sociali storicamente dati (le funzioni-tipo) (9).
La seconda. Non condivido le analisi e la lotta del movimento NO TAV perché stanno tutte nella logica del conflitto capitale-economia, capitale-natura, capitale-territorio e per capire il processo di infrastrutturazione del territorio nazionale ed europeo, in questa fase multipolare funzionale alle strategie degli USA-NATO, occorre mettersi nel campo del conflitto strategico (10).
La terza. Difendo la libertà di pensiero e di ricerca, per quella che ci è concessa individualmente e per quella che si riesce a conquistare socialmente, soprattutto nelle università italiane dove, dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, è stata sempre più ridotta fino ad essere eliminata. La difendo a prescindere dal fatto che oggi nelle Università italiane non si fa quasi più ricerca.
La quarta. Non credo nella separazione dei poteri come bilanciamento delle storture e degli abusi di potere e di dominio da parte degli agenti strategici. Credo nella costituzione di agenti strategici delle sfere sociali che lottano per la propria egemonia e trovano nei luoghi istituzionali ( lo stato con le sue ramificazioni territoriali) l’equilibrio dinamico atto ad affermare la propria visione sociale, la realizzazione del modello di sviluppo sociale, la gestione del proprio potere ( le singole sfere sociali) e la strategia del proprio dominio ( l’insieme delle relazioni sociali ) sia interno (nazionale) sia esterno (mondiale).
2.1 L’esperimento del Kosovo
Durante la presidenza Clinton, tra il 1993 e il 2000, la Jugoslavia fu utilizzata dall’establishment della politica estera come laboratorio sperimentale per il collaudo di tecniche di controllo, sovversione e “regime change” a opera degli Stati Uniti destinate a essere poi impiegate altrove. L’uso della Jugoslavia come una mini-URSS, con la Serbia nella parte della Russia, e la frantumazione della Jugoslavia e quindi della Serbia stessa ( attraverso il distacco del Kosovo) costituirono la prova generale del processo che abbiamo recentemente visto all’opera in Ucraina, con la Russia come obiettivo.
Vi si possono ravvisare le stesse tecniche:
Hitlerizzazione. L’aggressione inizia come guerra di propaganda, condotta da media mainstream organicamente legati a esponenti governativi e think tank di primo piano. Nella prima fase, il paese preso di mira scompare praticamente sotto l’ombra del suo leader, bollato come “dittatore” ( anche se regolarmente eletto), che viene raffigurato come l’incarnazione del male sulla terra e che “ se ne deve andare”. La parte del nuovo Hitler è stata affibbiata alle personalità più diverse quali Slobodan Milosevic’, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Bashar al-Assad e ora Vladimir Putin.
Sanzioni. Le sanzioni economiche contro l’Hitler di turno servono a stigmatizzare il malvagio, a destabilizzare le sue relazioni e ad arruolare gli alleati interni che esitano ancora a ricorrere alle armi ma sono disposti ad accettare questo presunto metodo “pacifico” per fargli cambiare atteggiamento. Una volta fallite le sanzioni, l’opinione pubblica è ormai stata preparata a considerare “necessario” l’uso della forza militare.
Clienti locali. Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di alleanze con i peggiori elementi degli Stati presi di mira, forze che non si fermano davanti a nulla. In Serbia, gli Stati Uniti fornirono sostegno politico e militare a criminali senza scrupoli. Nei paesi musulmani, gli USA hanno appoggiato e armato fanatici islamici. In Ucraina, la campagna anti-russa poggia sul controllo delle piazze da parte di miliziani nazisti impenitenti.
ONG dei diritti umani. Le cosiddette Organizzazioni Non-Governative, che in realtà sono strettamente legate o perfino finanziate direttamente dal governo USA ( in particolare dal National Endowment for Democracy e dalle sue filiali), svolgono una funzione centrale nel presentarsi come l’incarnazione della vera democrazia strangolata dall’”Hitler” nel mirino, quando la polizia interviene contro i disordini provocati dai “veri democratici”. Gli scenari elaborati dal politologo Gene Sharp sulla base delle esperienze di movimenti rivoluzionari o progressisti vengono utilizzati come manuale di addestramento in vista di azioni atte a suscitare simpatia provocando la repressione dello Stato, e prive di qualunque contenuto politico al di là dell’opposizione al leader in carica. Le agitazioni messe in atto in Serbia dal gruppo giovanile “Otpor”, addestrato a Budapest da specialisti USA, costituirono un modello che venne in seguito adattato alle “rivoluzioni colorate” successive.
Sabotaggio della diplomazia. Per preparare la guerra in Kosovo, il Segretario di Stato Madeleine Albright organizzò falsi negoziati tra il governo jugoslavo e i nazionalisti albanesi del Kosovo nel castello di Rambouillet, mantenendo segregate le due parti, sostituendo il capo della delegazione albanese professor Ibrahim Rugova con il suo cliente, il criminale Hashim Thaci, e presentando un ultimatum (totale occupazione militare della Serbia) che obbligò i serbi a rifiutare e ad assumersi così la responsabilità del “rifiuto di negoziare”. E’ ormai un’abitudine per i rappresentanti USA alle Nazioni Unite sabotare i negoziati ricorrendo a filippiche, insulti e bugie.
Criminalizzazione. In relazione al conflitto in Jugoslavia, l’influenza preponderante degli Stati Uniti consentì a Washington di dare inizio alla pratica dell’uso dei tribunali internazionali per trattare i nemici alla stregua di criminali comuni invece che come avversari politici. Il concetto di “impresa criminale collettiva” (“joint criminal enterprise”), utilizzato nel diritto penale statunitense contro la mafia, fu introdotto nel Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, creato ad hoc, per essere applicato ai serbi, con il presupposto implicito che la semplice difesa degli interessi serbi costituiva un crimine. In seguito, gli Stati Uniti sono riusciti a influenzare la Corte Penale Internazionale ( alla quale gli USA stessi non aderiscono) perché incriminasse nemici quali Muhammar Gheddafi sulla base di accuse prive di fondamento. Questa procedura contribuisce a escludere a priori ogni negoziato di pace, dal momento che, si sostiene, non è possibile negoziare con un criminale sotto accusa.
Spauracchio del “genocidio”. Ogni qual volta gli Stati Uniti prendono posizione in un conflitto etnico o politico in atto in una data regione, la procedura abituale consiste nell’accusare la parte avversa di tramare di “genocidio”. Tale accusa esclude la possibilità che entrambe le parti stiano combattendo per raggiungere specifici obiettivi territoriali o politici che, se adeguatamente compresi, potrebbero essere oggetto di mediazioni.
Media e propaganda. La chiave dell’intero sistema di aggressione è costituita dalla padronanza con cui gli Stati Uniti maneggiano un enorme apparato di propaganda, incentrato sui media mainstream. La colonna sonora è fornita dall’industria dello spettacolo, in particolare da Hollywood, che sforna a getto continuo prodotti che glorificano l’uso della violenza per schiacciare il nemico. I videogiochi rappresentano un potente nuovo strumento atto a rendere normale l’istinto omicida. Realtà e finzione si fondono nelle fantasie visive di innumerevoli battaglie tra il Bene e il Male, confezionate e vendute al pubblico americano.
Bombardamento. Questa è l’argomentazione decisiva, la spada di Damocle che pende su qualunque controversia. Per il Pentagono, la NATO, la CIA, la NED, i media mainstream e l’establishment della politica estera USA, la guerra del Kosovo costituì un’ottima esperienza didattica, un terreno di prova, un allenamento per future avventure. Fu la “guerra per fare le guerre”.
Per i Clinton, il Kosovo rappresentò un diversivo rispetto ai loro scandali privati e un’occasione per salire sul palcoscenico delle grandi questioni mondiali. In Kosovo, Bill Clinton è venerato come il padre fondatore di questo piccolo protettorato USA strappato alla Serbia. Una statua dorata alta tre metri del benefattore venuto dall’Arkansas saluta i passanti in viale Bill Clinton, nei pressi di una boutique chiamata “Hillary”. Mentre nel mondo gli Stati Uniti sono sempre più odiati per i loro interventi militari e il loro incessante bullismo, questo intervento ha creato un’enclave di fanatici filoamericani. Durante la sua visita a Pristina nel 2010, il Segretario di Stato Hillary Clinton ebbe modo di crogiolarsi nell’adulazione. Il fatto che i paesi più entusiasticamente filoamericani del pianeta siano oggi il Kosovo e l’Albania la dice lunga sul declino degli USA agli occhi del mondo. Non è qualcosa di cui andare fieri.
2.2 Mai scrivere “noi”
Il 15 giugno 2016, il tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua testi di laurea, conseguita nel 2014. Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi d’imputazione. A differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo, nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come “concorso morale” ai reati contestati. Di fatto, i video e le foto scattate durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate ha preso parte a momenti di tensione. Né bisogna dire che tutti i momenti di tensione contestati dall’accusa hanno trovato riscontro nel materiale video fotografico acquisito dalla procura. Durante l’azione dimostrativa tenutasi davanti alla ditta Itinera di Salbertrand che fornisce il cemento al cantiere di Chiomonte le due ragazze partecipano ma rimangono ai margini. Di sicuro il pm Antonio Rinaudo ha chiesto 9 mesi per entrambe, ma mentre Franca è stata assolta da tutti i capi d’imputazione, Roberta è stata condannata. Roberta, infatti, avrebbe dimostrato un “concorso morale” con le condotte contestate dall’accusa, non a caso in alcuni passaggi della sua tesi raccontò l’accaduto in prima persona plurale. Quello che per la difesa era un “espediente narrativo” – nella ricerca etnografica il posizionamento del ricercatore rispetto all’oggetto della ricerca è una scelta soggettiva che fa parte di ciò che si chiama storytelling – diventa, per l’accusa, la prova di collusione rispetto ai reati contestati.
Siamo indignati: che ci risulti, è la prima volta dal 25 aprile 1945 che una tesi di laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna. Ci domandiamo, increduli, quale perversione attraversi un paese che porta nelle aule di un tribunale le parole di una tesi di laurea. Ci sconvolge che tutte le tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei magistrati e che la Procura di Torino si senta legittimata a sanzionare penalmente l’uso di un pronome personale a tutti gli effetti fondante della grammatica italiana quando usato in riferimento a un tema politico ad essa non gradito. L’accusa di “concorso morale” in riferimento all’analisi situata di un problema politico va intesa come sintomo dell’accanimento contro chiunque osi raccontare quanto avviene in Val di Susa senza criminalizzare la determinazione di una comunità a lottare contro la devastazione del suolo, della salute dell’ambiente e del territorio. Ricordiamo che all’interno dello stesso procedimento altre 45 persone, tra cui 15 minorenni, sono state rinviate a giudizio. Questa storia va intesa inoltre per ciò che è: un inaccettabile atto intimidatorio contro la libertà di pensiero e la libertà di ricerca, ancor più grave in quanto portato avanti contro giovani studenti accusati di mettere troppa passione in ciò che fanno e minacciati di essere pesantemente sanzionati se prendono posizione, “partecipano” o osano fare politica.
Rivolgiamo questo appello in modo particolare al mondo universitario italiano per rompere il silenzio e denunciare la violazione della libertà di ricerca e di opinione. Nessuno dei classici difensori delle libertà democratiche si è fatto, fino a ora, sentire. Nessun esponente di rilievo del mondo accademico né del ministero dell’Università e della Ricerca ha ritenuto necessario dover rilasciare una dichiarazione. Vogliamo rivolgerci in particolare al mondo accademico per chiedere quanto a lungo intenda accettare esplicite intimidazioni e minacce di ritorsioni. Se il fine di questo processo è sigillare la colpevolezza di chi racconta le ragioni di chi lotta contro la violenza e i soprusi, siamo tutti colpevoli. “Per uno scrittore il reato di opinione è un onore” ha scritto Erri De Luca, il primo assolto per un crimine che non esiste ma che l’Italia odierna punta pericolosamente a restaurare: il reato d’opinione. Sentiamo l’esigenza di prendere parola in difesa della libertà di ricerca e di pensiero in Italia e chiediamo a tutti di moltiplicare le iniziative in questa direzione. Ribadiamo che nessuna intimidazione o minaccia di ritorsioni potrà distoglierci dalla nostra narrazione, dal nostro storytelling, dal nostro impegno di ricerca perché il nostro mestiere lo conosciamo e lo amiamo, nonostante tutto.
3.Conclusioni
La democrazia e la libertà sono relazioni sociali che vanno conquistate e costruite quotidianamente in tutti i luoghi del vivere sociale ( dalla famiglia allo Stato). La quotidianità non è il pragmatismo rozzo del vivere biologico dell’umanità storicamente dato, essa è la sintesi pratica e teorica di tutti i livelli della società: dal microcosmo del singolo individuo al macrocosmo dei sistemi sociali e delle visioni culturali che li sottendono. E’ un processo di democratizzazione della vita quotidiana nell’accezione lucacciana del termine. Viviamo in una società capitalistica dove la democrazia è asimmetrica e vi è un terribile scarto tra la forma e la realtà. Quando c’è lo scarto tra forma e sostanza siamo in un processo di rapporti sociali dove vengono meno, per la maggioranza della popolazione, gli elementi fondamentali del vivere sociale. Lo scarto storicamente assume forme di flessibilità a seconda delle varie fasi storiche ( unipolare, multipolare, policentrica). Mai si annulla. Per annullarlo occorre un processo di cambiamento dei rapporti sociali che ha come obiettivo reale la partecipazione della maggioranza della popolazione alle decisioni inerenti il suo vivere sociale. La democrazia non è solo partecipazione come cantava Giorgio Gaber ma è autocoscienza critica sessuata che conosce, interpreta e progetta in maniera aporetica un’altra idea di società.
La democrazia capitalistica può diventare un vettore verso vere e reali forme di libertà e di democrazia. Anche se la storia ha dimostrato che così non è mai stato qualunque sia stato il processo rivoluzionario messo in atto. E con questo non voglio negare i vantaggi per l’umanità intera che questi grandi cambiamenti hanno apportato in tutti i settori della vita sociale:<< Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d’interpretarlo. E, ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinchè il mondo non continui a cambiare senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi.>> (11).
Viviamo in una triste fase storica come tutte le fasi multipolari e policentriche storicamente determinate ( con questo non voglio dire che le fasi unipolari sono gioiose ma quantomeno non prospettano un orizzonte di guerre ( regionali e mondiali) che sono comunque mezzi della politica; anche se nell’era nucleare la guerra come continuazione della politica va ripensata: ahinoi!).
Né le finestre che la storia può aprire, soprattutto nelle fasi policentriche ( per esempio la rivoluzione del Novembre russo del 1917), possono far intravedere per la grande maggioranza della popolazione cose buone perché il problema centrale è come si arriva all’appuntamento delle finestre storiche.
Vladimir Ilic Lenin, intelligente uomo rivoluzionario, ebbe una intuizione significativa quando affermò che lo Stato << potrà essere diretto da una cuoca >>. L’affermazione va inquadrata nel contesto teorico di elaborazione della fase di estinzione dello Stato e di trapasso alla fase del comunismo (12). E Gianfranco La Grassa dà una corretta interpretazione della questione quando sostiene che << L’idea della “cuoca” capace di gestire gli affari di Stato è la meno felice di quelle maturate nel geniale cervello di Lenin. Certo, egli si riferiva ad uno Stato ormai quasi estinto, quasi arrivato alla fine del socialismo in quanto fase di transizione al comunismo. Poiché tuttavia tale fase non si è mai vista, né mai si sarebbe potuta riscontrare nel presunto “socialismo” dell’Urss, essa è stata sfruttata per sostenere tesi cervellotiche >> (13). Gianfranco La Grassa, però, non coglie il particolare, sfuggito anche a Vladimir Ilic Lenin, che è quello della soggettività femminile ( la donna come soggetto altro dall’uomo) restando così nel limite dell’uguaglianza e della emancipazione femminile velate ed annullate nel concetto di classe; ovviamente parlo di quando esistevano le classi non di oggi dove esiste una ammucchiata di gruppi sociali (14). Lascio parlare una delle madri del pensiero femminile << In una donna la grandezza c’era da prima, era sua da prima, non appariscente, come un’avventura segreta, come un abito di tutti i giorni ma disegnato da Valentino. Occorre però che lei accetti il suo privilegio e lo coltivi, come hanno fatto i nobili in certe epoche e in certi paesi. Se lo sa portare, allora cattedra o cucina non fa una differenza sostanziale, le fiabe lo insegnano. C’era questa intuizione nella celebre immagine usata da Lenin per far intendere che cos’è il comunismo, la cuoca che diventa capo di Sato? O, al contrario, mancava proprio questa intuizione e la sua era fede nell’emancipazione? E’ naufragato per questo il movimento comunista, per non aver saputo misurare la fortuna che le donne sono per l’umanità, ossia per aver suscitato energie femminili che sono straripate dai suoi confini, e non averle seguite in quell’andare oltre?. >> (15).
Il problema resta sempre la costituzione di soggetti sessuati di cambiamento che possono deviare il flusso oggettivo della storia che è sempre sedimentazione delle relazioni umane date. Perché, come ci ricorda Gianfranco La Grassa, i cambiamenti reali non avvengono solo con le idee.
Le epigrafi riportate sono tratte da:
Giorgio Gaber, Mi fa male il mondo in Album “ E pensare che c’era il pensiero”, 1995, www.giorgiogaber.it .
Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pag.6.
NOTE
- Zbigniew Brzezinski, Toward a global realignment, Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido., 17/4/2016. Stralci dell’intervista sono compresi anche nell’articolo di Mike Whitney, La scacchiera spezzata. Brzezinski rinuncia all’impero americano, www.megachip-globalist.it, 28/8/2016.
- Robert Kagan, Il diritto di fare la guerra. Il potere americano e la crisi di legittimità, Mondadori, Milano, 2004, pp.46-47. Si veda anche la parte dell’intervista a Henry Kissinger compresa nell’articolo di Umberto Pascali, La disperazione degli USA e il ritorno di Kissinger, www.controinformazione.it, 24/8/2016.
- Joseph Nye, Fine del secolo americano?, il Mulino, Bologna, 2016, pag. 99. Si segnala la lettura critica del libro perché analizza l’egemonia reale degli Stati Uniti sia nelle sfere fondanti (produzione, ricerca, tecnologia, cultura, armamenti) sia nelle istituzioni mondiali della cosiddetta governance.
- Costanzo Preve, Il marxismo e la tradizione culturale europea, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2009, pag.110. Sull’unilateralismo americano si veda Charles A. Kupchan, La fine dell’era americana. Politica estera americana e geopolitica nel ventesimo secolo, Via e Pensiero, Milano, 2003, Capitolo V.
- Su questi temi rimando agli atti del seminario di Conflittiestrategie su “Stato, interesse nazionale. Perché scegliamo in questa fase l’autonomia nazionale”, tenutosi a Bologna il 16-17 aprile 2016 e pubblicati in www.conflittiestrategie.it .
- Manlio Dinucci, Le macerie della democrazia, il Manifesto del 6 settembre 2016.
- Alessandro Pace, Le insuperabili criticità della riforma costituzionale Renzi-Boschi, Cosmopolitica del 20/2/2016 e ripresa da Micromega ( www.micromega.it, 1/3/2016) e da Megachip ( www.megachip-globalist.it, 9/9/2016). Si veda anche Alessandro Pace, La riforma Renzi-Boschi: le ragioni del no, www.rivistaaic.it, 17/6/2016.
- Niccolò Macchiavelli, Il Principe, a cura di Ugo Dotti, Feltrinelli, Diciasettesima edizione, Milano, 2011, pp.220-222.
9.Per questi temi rimando a Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975; Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, Mondadori, Milano, 1973; Luigi Russo, Personaggi dei promessi sposi, Laterza, Bari, 1965; Gyorgy Lukacs, Saggi sul realismo, Einaudi, Torino, 1976.
- Luigi Longo, TAV, corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.
- Gunther Anders, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita dell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pag.1.
- Vladimir Ilic Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti, Roma, 1974, Capitolo V, pp.157-179.
- Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorica, Mimesis, Milano-Udine, pag. 87.
14.Vladimir Ilic Lenin è stato in relazione con le donne. Una relazione significativa l’ha avuta con Inessa Armand. Ha scritto sulle donne, per esempio, L’emancipazione della donna ( Editori Riuniti, Roma, 1977). Ma, come Karl Marx, non è andato oltre un ragionamento di emancipazione e di uguaglianza.
- Luisa Murarro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma, 2011, pag.16.